Powell Man of the Year 2020?

A patto però che riconosca una realtà evidente a tutti: il livello dei tassi di interesse in ultima analisi lo decide non la Federal Reserve, ma il mercato. Che però in questi undici anni si è docilmente allineato alle dimensioni dei bilanci delle banche centrali.

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A patto però che riconosca una realtà evidente a tutti: il livello dei tassi di interesse in ultima analisi lo decide non la Federal Reserve, ma il mercato. Che però in questi undici anni si è docilmente allineato alle dimensioni dei bilanci delle banche centrali.

Il leggendario Ray Dalio sta sudando le proverbiali sette camicie nel tentare di persuadere i suoi interlocutori circa l’irrazionalità del mercato azionario: vittima dell’esuberanza delle banche centrali, pronte ad inondare il sistema di liquidità. Dalla platea sembra levarsi una esortazione: «dicci qualcosa che non sappiamo». Nel momento in cui, stando al Daily Sentiment Index, il 93% degli investitori nutre aspettative bullish sul mercato azionario; spiegare le prospettive di ulteriore apprezzamento sulla base del Quantitative Easing globale in atto, risuona come un disco rotto.

Abbiamo una notizia da condividere: è dal 2009 che il fenomeno descritto si manifesta senza soluzione di continuità. Secondo le nostre stime alla fine di maggio la dimensione dei bilanci delle principali cinque banche centrali occidentali (Fed, BCE, BoJ, BoE e BNS) sfiorava i 20 trilioni di dollari, al culmine di un’espansione che ha conosciuto poche, contenute eccezioni. Il MSCI ACWI in questi undici anni non avendo fatto altro che replicare tale dinamica. A dirla tutta, a quest’ora le borse mondiali dovrebbero collocarsi già su nuovi massimi assoluti, anziché evidenziare tuttora un certo ritardo rispetto al picco di inizio anno.

Il buon Powell, che a questo punto meriterebbe la copertina di “Men of the Year” sui rotocalchi patinati, si affanna non poco nello spiegare che le misure adottate a marzo siano provvisorie, e saranno rimosse non appena l’economia dimostri di sapersi reggere sulle proprie gambe. Come se la decisione spettasse a lui, e non al mercato. Deve essersi dimenticata la lezione del 2019 quando, lungi dall’aumentare ulteriormente i tassi di interesse, come proclamato solennemente ad inizio anno, fu costretto ad assecondare a più riprese le prescrizioni degli operatori. Sarà il mercato a sancire quando troppo sarà troppo: nel momento in cui l’inflazione dovesse rischiare di sfuggire di mano.

Piazza Affari nel frattempo mostra segni di ripartenza, dopo un sacrosanto riposo conseguente al raggiungimento della resistenza opposta dalla media mobile a 200 giorni. Il superamento dei massimi di inizio giugno indurrebbe un allungo fino alla successiva proiezione mostrata nel rapporto di oggi.

Bisogna ricordare che la borsa italiana ha cambiato marcia da quando lo scorso 20 maggio ha segnalato la volontà di sprintare: formalizzando un raro ma efficacissimo setup, a suo tempo proclamato, che anticipa sempre i rialzi di un certo tenore. In effetti sotto questa prospettiva lo strappo di ieri non desta alcuno stupore; al contrario, interviene proprio quando era dovuto. Sul Rapporto Giornaliero il percorso da intraprendere ulteriormente nei mesi a venire.

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