I temi economici continuano a dettare la tendenza in Borsa

Ora potremmo contemplare la possibilità di un consolidamento, e di un dovuto riallineamento rispetto alle prescrizioni dei modelli previsionali.

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Ora potremmo contemplare la possibilità di un consolidamento, e di un dovuto riallineamento rispetto alle prescrizioni dei modelli previsionali. Allo stato attuale soltanto 11 dei primi 30 indici al mondo, si collocano a non più del 5% dai rispettivi picchi decennali.

I mercati azionari si concedono una pausa, dopo una parte centrale del mese tradizionalmente benigna: nella settimana passata Piazza Affari vedere limare le quotazioni di poco più di un punto percentuale, lo S&P500 cede in misura frazionale, mentre l’Eurostoxx50 riesce addirittura a conseguire un ulteriore progresso, seppur marginale, sospinto dal settore finanziario.

I temi economici continuano a dettare la tendenza. Goldman Sachs ha rivisto al rialzo le stime di crescita americana per il 2021 (+7.0%) e il 2022 (+4.5%). JP Morgan a sua volta ha fornito venerdì un upgrade per il GDP del quarto corrente: da +5.3 a +6.4% annualizzato.

Allo stesso tempo la stagione degli utili del quarto trimestre 2020 ha sempre più confermato le eccellenti indicazioni dei primi giorni: gli EPS sono ora attesi in crescita addirittura del 6% rispetto allo stesso quarto dell’anno precedente. A fronte delle previsioni della vigilia il monte utili si è innalzato di quasi 20 punti percentuali: più che una sorpresa, un autentico shock che premia ancora una volta la capacità anticipatrice del mercato.

Lo stesso mercato che ora sulla politica monetaria sta fornendo un orientamento netto, che tende però ad essere minimizzato: un annuncio è atteso da parte della Fed alla fine dell’anno, il tapering dovrebbe avere luogo nel 2022 ed esaurirsi l’anno successivo, mentre nel 2024 sono scontati ben tre aumenti del Fed Fund rate. Una previsione che non va nella direzione tracciata dalla guidance.

Uno scontro, quello in atto, ancora in punta di fioretto; che però per certi versi ricorda la contesa che ebbe luogo sul finire del 2017: quando Powell assicurava che la banca centrale americana avesse impostato il pilota automatico nel processo di aumento dei tassi di interesse. Poche settimane dopo, il governatore della Fed si sarebbe drasticamente ricreduto. Nulla è più potente e persuasivo dei mercati. Nemmeno le banche centrali.

Ora che abbiamo archiviato la finestra temporale dell’8-19/02, ancora una volta dal saldo positivo come sempre avvenuto negli ultimi vent’anni; potremmo contemplare la possibilità di un consolidamento, e di un dovuto riallineamento rispetto alle prescrizioni dei modelli previsionali. Lo S&P500 ha fatto registrare una limatura inferiore al mezzo punto percentuale, in ciascuna delle ultime quattro sedute. Venendo da un nuovo massimo storico, è tipico in simili circostanze sperimentare ancora qualche giorno di consolidamento.

A proposito di massimi assoluti, allo stato attuale soltanto 11 dei primi 30 indici al mondo per capitalizzazione, si collocano a non più del 5% dai rispettivi picchi decennali. Una misura generosa, ma ben inferiore al dato estremo raggiunto all’inizio del 2018: quando le borse in questa condizione furono il doppio. Massimi storici, sì; condizioni tirate, non diremmo.

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