È bear market sì o no?

Non più di otto mesi fa, gli analisti erano concordi nell’aspettarsi soltanto un aumento del Fed Funds rate nel corso di quest’anno.

Al di là delle etichette formali, resta un mercato in condizione precaria, con ampie segnalazioni di debolezza emerse sin da novembre: quando il modello di asset allocation ha iniziato a tagliare l’esposizione in Equity. Le scadenze cicliche del Delta System e la stagionalità.

Non più di otto mesi fa, gli analisti erano concordi nell’aspettarsi soltanto un aumento del Fed Funds rate nel corso di quest’anno. Oggi, le aspettative sono per una decina di interventi sul costo ufficiale del denaro nel 2022. La circostanza ha indotto un feroce innalzamento delle condizioni finanziarie complessive: di 80 punti base, calcola Goldman Sachs, peraltro in un arco di tempo alquanto ristretto.

Ciò produce una revisione delle aspettative di crescita, con rischi di una contrazione del PIL nella seconda parte dell’anno. Una prospettiva che avrebbe effetti prevedibili sulla capacità delle aziende di generare profitti, ed in ultima analisi sulla struttura portante del mercato azionario.

Gli strategist si dividono: JP Morgan e la stessa Goldman minimizzano, mentre Morgan Stanley e Bank of America sostengono che il mercato Orso può manifestarsi appieno. Lo S&P500 continua a flirtare con la soglia oltre la quale l’evento temuto si paventerebbe, ma al di là delle definizioni formali, è evidente che la discesa dai massimi sia risultata particolarmente virulenta – appena 130 giorni ci separano dal picco di inizio anno, a fronte di un tempo medio di 244 giorni per conseguire un arretramento del 20% dai massimi – per cui l’onere della prova spetta ai rialzisti.

Wall Street consegue una capitolazione per la seconda settimana di fila. Lo S&P500 ha mantenuto l’impegno di conseguire un minimo in occasione della scadenza ciclica del Delta System del 20 maggio, per cui è verosimile attendersi qui una reazione fino al prossimo appuntamento ciclico. Ci sono però alcuni rilievi da evidenziare. Il primo è che la borsa americana è scesa per sette settimane consecutive. I precedenti non sono affatto confortanti, come rileviamo nel Rapporto Giornaliero di oggi.

Il secondo aspetto riguarda proprio la sterilità rialzista, con lo S&P salito in appena 42 sedute negli ultimi cento giorni. Come evidenzia il rapporto di oggi, bisogna risalire all’inizio del secolo per ritrovare una proporzione così contenuta. Non sorprende che gli investitori internazionali siano letteralmente in fuga dai listini americani: 90 miliardi di dollari sono stati disinvestiti a marzo. Il doppio del deflusso record precedente, registrato peraltro a gennaio (e poi parlano male del “parco buoi”).

Con un contesto di politica monetaria a sua volta turbolento, grazie anche ai sempre più numerosi pronunciamenti critici di ex banchieri centrali, non possiamo non condividere le scelte operate dal nostro modello di asset allocation: che ci ha fatto uscire dal mercato azionario sin dalla fine di novembre scorso, conducendo ad una sottoesposizione che ha permesso di evitare le minusvalenze, dopo aver ammassato plusvalenze per tutto il 2021.

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