In Borsa le buone notizie non fanno notizia

Dal 2000 in avanti quando i tassi di interesse sono saliti a fine seduta, lo S&P500 ha conseguito un saldo medio giornaliero del +0.4%; del -0.3% quando i rendimenti obbligazionari hanno terminato la seduta in declino.

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Dal 2000 in avanti quando i tassi di interesse sono saliti a fine seduta, lo S&P500 ha conseguito un saldo medio giornaliero del +0.4%; del -0.3% quando i rendimenti obbligazionari hanno terminato la seduta in declino. Un fenomeno ancor più marcato da marzo 2020 in avanti.

Gli indici azionari americani conseguono dunque un nuovo massimo storico: per lo S&P500 si tratta dell’undicesima volta, quest’anno. Soltanto il Nasdaq risulta attardato, sebbene sia più probabile che il Composite colmi il ritardo che lo separa dai vari Dow, S&P e Russell, che non l’opposto.

La brillante ripartenza di questa settimana segue un consolidamento che rispondeva all’esigenza di riallineamento del mercato azionario, rispetto alle prescrizioni dei modelli previsionali. Questo naturalmente i media non lo potevano sapere, e così inevitabilmente si sono prestati a spiegare il declino con la bizzarra ipotesi dell’effetto penalizzante dei più elevati tassi di interesse: come se da agosto in avanti fosse andato in scena un altro film.

La realtà era opposta. Come già rilevato un mese fa, dal 2000 in avanti quando i tassi di interesse sono saliti, lo S&P500 ha conseguito un saldo medio giornaliero del +0.4%; del -0.3% quando i rendimenti obbligazionari hanno terminato la seduta in declino. Un fenomeno ancor più marcato da marzo 2020 in avanti: +0.7% e -0.2%, rispettivamente. Ma i media sono sempre a caccia di una narrativa che si limiti apparire più verosimile, che vera. E non mancheranno di strapparci ulteriori sorrisi, ne siamo certi.

Curioso come la giustificazione più plateale, scontata e per noi ad un certo punto anche imbarazzante, per pudore non sia citata. Non si fa in tempo ad approvare un pacchetto fiscale da 1.9 trilioni di dollari, che Biden promette un piano di investimento altrettanto massiccio. Questo sta spingendo verso l’alto le previsioni di crescita dell’economia americana per il 2021: +5.4%, il massimo dal 1984, dal +3.7% mediamente pronosticato da Bloomberg non prima di novembre. Questo prevedibilmente gonfierà fatturato e profitti delle società quotate ma, si sa, le buone notizie non fanno notizia.

L’apprezzamento del rischio da parte degli investitori, è viceversa ben riflesso dall’accartocciamento delle relative misure. In Italia il Credit Default Swap è sceso ieri sotto i 70 punti base: in parole povere, occorrono soltanto 70 dollari all’anno, ogni 10.000 dollari di sottostante, per assicurarsi dal rischio teorico di insolvenza dell’emittente Italia. Una misura del rischio così esigua non la si registrava dal 2009: spiega meglio di tante argomentazioni il rialzo delle quotazioni di Piazza Affari di questi ultimi dodici mesi.

Negli Stati Uniti il CDX è tornato a flettere, dopo aver sollecitato la resistenza dinamica che da un anno ne accompagna il declino. Ogni test di questa media mobile essendosi tradotto in opportunità di ingresso a basso rischio. Il vero pericolo per gli investitori sopraggiungerà quando il CDX.NA.IG.5y scenderà sotto i 45 punti base, al pari di quanto occorso ad inizio 2020 e a gennaio 2018: a quel punto sarà il momento di tirare i remi in barca.

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Alessio Zavarise

15 mar 2024