Mentre Mario Draghi si avvia verso gli ultimi due anni di mandato, occorre dire che i toni e la misura che lo hanno contraddistinto nella sua attività alla guida della Banca Centrale Europea, lo accompagneranno anche nella nuova fase particolarmente delicata: la riduzione graduale delle misure non convenzionali di quantitative easing (QE) a partire dal gennaio 2018, che caratterizzeranno tutto il prossimo anno.
Qualche riferimento ufficiale è atteso già per il meeting di giovedì 7 settembre, nel quale tra l’altro vi potrà essere un accenno ufficiale sui dati di crescita economica trimestrali e maggiori dettagli sulle previsioni di inflazione, rispetto al target prefissato del 2%. Ma poi, soltanto in ottobre avremo davvero maggiori dettagli sulle misure di tapering, alle quali il mercato è già stato preparato nei mesi scorsi, senza però sottovalutare che Draghi manterrà una qualche discrezionalità sull’effettiva attuazione della riduzione degli acquisti sul mercato.
E se sui tassi di deposito qualche tensione minimale potrebbe già evidenziarsi a fine 2018, la strada per Draghi è in parte segnata grazie ai buoni dati sulla crescita europea unanimemente definiti (OCSE e FMI compresi), e in virtù di un sostanziale annullamento del rischio di deflazione.
La fase attuale di rafforzamento dell’euro resta l’unico punto dolente di questo quadro strategico perché potrebbe avere un impatto sulla consistenza e i benefici effetti del trend in crescita del PIL europeo ed anche sul raggiungimento effettivo del target atteso.
Certamente il trend sull'euro è correlato non solo alle dinamiche antagoniste del dollaro Usa, che riflettono le difficoltà dell'Amministrazione Trump, ma è anche esasperato dalla variabile geopolitica che sta dominando le dinamiche valutarie a livello globale.