Partita Iva: cos'è, come aprirla e come verificarla
La partita Iva è un codice di 11 cifre assegnato a particolari categorie di lavoratori (autonomi) che intendono svolgere una determinata attività economica nel territorio dello Stato. A tal fine, sono obbligati all’apertura di una partita Iva quei soggetti che svolgono un’attività economica d’impresa commerciale, artigiana o industriale (abituale o autonoma) sotto forma di ditta individuale o di società, oppure tutti i liberi professionisti (iscritti o meno a un ordine professionale). In altre parole, la partita Iva è il regime fiscale al quale sono sottoposti i lavoratori autonomi e gli artigiani, ma anche gli imprenditori: coloro che offrono un servizio per conto proprio e senza vincoli di subordinazione. A regolare tali procedure è l’apposita legge numero 30 del 14 febbraio 2003.
Il codice di 11 cifre permette di identificare univocamente questi lavoratori e si compone di più parti. I primi 7 numeri, in particolare, servono a identificare la persona fisica; mentre i 3 numeri successivi riguardano il codice dell’Ufficio delle Entrate. L’ultimo numero è un codice di controllo.
Nel panorama economico italiano, la difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro come dipendente di un’azienda spinge sempre più persone ad aprire una partita Iva per dare il via a un’attività economica autonoma. Ma come si apre una partita Iva e quanto costa?
Come aprire una partita Iva
Per certe categorie di lavoratori aprire una partita Iva risulta molto conveniente in quanto consente al suo possessore di emettere fatture e versare contributi a titolo previdenziale. Quando il margine dei ricavi annuali di un lavoratore supera i 5.000 euro è utile regolamentare la posizione tramite l’apertura di una partita Iva, mentre in caso di ricavi inferiori potrebbe essere una scelta onerosa. Infatti, aprire una partita Iva è gratuito, ma per mantenerla si può incorrere in costi cospicui. La procedura di apertura è molto semplice. L’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno messo a disposizione – nell’apposita sezione dedicata – alcuni documenti utili a tal fine.
Il lavoratore autonomo che intende aprire una partita Iva dovrà quindi comunicare l’inizio della nuova attività entro 30 giorni dalla prima giornata operativa, compilando l’apposito modello AA9/7 (che si applica nel caso di ditta individuale o lavoratore autonomo). Il modello AA7/7, invece, permette alle società di effettuare l’operazione.
Per presentare i suddetti modelli si possono sfruttare diverse modalità: il lavoratore può recarsi personalmente presso gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate preposti a tali procedure, presentando i documenti richiesti per l’apertura della partita Iva. In alternativa, è possibile inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno (allegando a quest’ultima un documento di identità in corso di validità). Infine, è possibile utilizzare il software dedicato scaricandolo dal sito ufficiale dell’Agenzia delle Entrate.
In qualsiasi caso, comunque, occorre scegliere il codice ATECO (acronimo di ATtività ECOnomiche) opportuno che si riferisce all’attività da svolgere. La tabella di riferimento è stata stilata dall’ISTAT ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2008. Il codice ATECO si compone di Sezioni (1 lettera), Divisioni (2 cifre), Gruppi (3 cifre), Classi (4 cifre), Categorie (5 cifre), Sotto categorie (6 cifre). Ai fini della convalida della richiesta occorre anche scegliere un tipo di regime contabile tra quello forfettario o la contabilità ordinaria sulla base della propria attività, del business e dei ricavi annui. Se tutte queste operazioni sono state svolte nel modo corretto, l’Agenzia provvederà all’invio del codice al richiedente, che rimarrà invariato per tutto il decorso dell’attività. Infine, il lavoratore autonomo in possesso della nuova partita Iva è invitato a recarsi presso gli Uffici dell’INPS per regolare la propria posizione previdenziale e all’INAIL per assicurare il proprio lavoro.
I soggetti che sono invece tenuti all’iscrizione presso il Registro delle imprese o al Repertorio delle notizie economiche e amministrative (Rea) devono fare riferimento alla Comunicazione Unica (decreto legislativo numero 7/2007). In quest’ultima sono riportate informazioni di natura, previdenziale, assistenziale e fiscale. Assolti questi obblighi, la partita Iva è da considerarsi aperta. La procedura – divenuta obbligatoria da aprile 2010 – permette di compilare i modelli AA9/12 e AA7/10 e di inviarli direttamente al registro delle Imprese in via esclusivamente telematica. Anche in questo caso, però, occorre recarsi all’INPS per il trattamento previdenziale e all’INAIL per stabilire un’assicurazione obbligatoria sul lavoro.
Costi per il mantenimento della Partita Iva
Se aprire una partita Iva è completamente gratuito, lo stesso non si può dire per il suo mantenimento. Infatti, si possono distinguere due classi differenti di regime: quello forfettario e quello di contabilità ordinaria che potrebbero comportare costi onerosi. Il regime di contabilità ordinaria, in particolare, conviene per quei lavoratori autonomi che guadagnano a sufficienza per poter affrontare le spese correlate (imposte e costi ordinari). Tale regime è obbligatorio per specifiche persone giuridiche quali SRL, SPA, SRLS e SAPA. In ogni caso, devono aderire al regime ordinario quei soggetti i cui ricavi siano superiori a 400mila euro (se l’attività verte sulla prestazione di servizi) o maggiori di 700mila euro (in tutti gli altri casi).
Per effettuare l’iscrizione di una ditta presso la Camera di Commercio, ad esempio, il lavoratore potrà spendere tra gli 80 e i 100 euro all’anno, ai quali si devono sommare i costi sostenuti per il pagamento del commercialista (circa 1.000 euro all’anno), quelli da versare come contributi all’INPS, e i costi legati all’Irpef e Irap.
Per quanto riguarda il regime forfettario, invece, esistono vincoli stringenti per l’adesione. In particolare, a partire dal 1° gennaio 2019 possono aderire a questo regime contabile soltanto quei professionisti in possesso di un tetto massimo di ricavi pari a 65.000 euro all’anno. La platea di soggetti che possono usufruire di questo regime è stata allargata dalla Legge di Bilancio per il 2019. Questo tipo di contabilità, inoltre, prevede alcuni vantaggi legati all’esenzione dall’IVA e a una tassazione con aliquote ridotte (dal 15 al 5% per i primi 5 anni di attività). Ma a fronte di queste agevolazioni, non è possibile richiedere detrazioni per le spese sostenute che non riguardino i contributi previdenziali obbligatori. Sono inoltre esclusi dal regime forfettario tutti i titolari di partita Iva che percepiscono compensi da soggetti dai quali hanno percepito redditi da lavoro dipendente nei due anni precedenti o da soggetti agli stessi direttamente o indirettamente riconducibili.
Il costo annuale di mantenimento di una partita Iva, come detto, deriva dalla scelta del regime contabile ad essa collegato. Si possono identificare alcune variabili sulla base delle quali viene indicato il costo di mantenimento totale: volume dell’attività, tipologia di consulenza richiesta, regime contabile fiscale e costi di gestione di collaboratori o lavoratori dipendenti.
Le partite Iva con regime forfettario spendono dai 200 agli 800 euro all’anno per il mantenimento; per le ditte individuali (o società di persone) con contabilità semplificata, invece, il prezzo aumenta tra i 900 e i 5.000 euro all’anno sulla base del volume dell’attività svolta. Infine, per le partite Iva con regime contabile ordinario il costo di mantenimento sale ulteriormente posizionandosi tra i 3.000 e i 10.000 euro all’anno.
Partita Iva comunitaria e VIES
Per effettuare transazioni commerciali fuori dal territorio nazionale è necessario possedere una partita Iva comunitaria, ovvero autorizzata a comunicare in entrata e in uscita con l’estero. Per ottenere questa autorizzazione occorre effettuare l’iscrizione al VIES attraverso l’apposita sezione dedicata sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Anche questa procedura – così come l’apertura di una partita Iva – è gratuita. È possibile anche effettuare l’iscrizione al VIES nel momento stesso in cui si chiede l’apertura della partita Iva. In questo secondo caso basterà compilare la sezione “Operazioni intracomunitarie” dei modelli AA7 (per i soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (per le imprese individuali e i lavoratori autonomi).
Verifica e controllo della partita Iva
Ogni soggetto fiscale italiano o europeo titolare di partita Iva è iscritto in una sorta di archivio che è possibile consultare periodicamente sul web, collegandosi agli appositi siti dedicati. In questo modo i soggetti che operano a livello internazionale possono effettuare la verifica della validità della partita Iva con la quale devono effettuare una transazione. Non esiste allo stato attuale una banca dati comprendente tutte le partite Iva a livello comunitario: le richieste di verifica vengono inviate agli archivi dei singoli Stati.
Per effettuare il controllo sulla propria o altrui partita Iva (presente all’interno dell’Unione Europea) è possibile collegarsi al sito dell’Agenzia delle Entrate nella sezione “Controllo delle partite iva comunitarie”. A questo punto basterà scegliere lo Stato di residenza interessato e inserire il codice alfanumerico di 11 cifre (senza spazi) premendo infine “Invia”. La conferma dell’esistenza del codice può avere varia natura.
La dicitura “codice iva valido” sta a significare l’abilitazione del soggetto agli scambi intracomunitari. L’indicazione “codice iva non valido/non corretto”, invece, rivela che il codice non è stato digitato correttamente oppure la partita Iva non risulta inserita nella banca dati nazionali.
Per quanto riguarda invece i titolari di partite Iva extra europei occorre fare riferimento al regolamento della Comunità Europea numero 792 del 2002.
Come sapere invece se il proprio codice alfanumerico è corretto? Ogni Stato Europeo possiede un insieme di numeri che lo identificato univocamente sulla base del numero di caratteri, dei codici e degli operatori commerciali. In Italia si tratta di una sequenza di 11 cifre.
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