Bitcoin seguirà Ethereum nel passaggio al Proof-of-Stake?

Anche i Bitcoin come Ethereum verso un prossimo passaggio al Proof-of-Stake (PoS)?

Una delle notizie che ha sconvolto di recente il mondo crypto è la data attesa da anni e solo ora annunciata del passaggio di Ethereum al Proof-of-Stake (PoS), che avverrà entro luglio.

Il Proof-of-Stake è un protocollo di consenso con cui vengono convalidate le transazioni su una Blockchain che sta diventando sempre più popolare tra le criptovalute e che si contrappone all’attuale Proof-of-Work (PoW) usato ancora da Ethereum e dai Bitcoin.

La notizia è stata festeggiata perché questa modifica tecnologica riduce l’impatto ambientale e il consumo energetico necessario alla Blockchain per funzionare.

Se Ethereum quindi abbraccia la svolta ambientalista cosa faranno i Bitcoin il cui algoritmo di consenso resta basato su Proof-of-Work?

Di recente Greenpeace, con il supporto di Chris Larsen ex Ceo e cofondatore di Ripple, ha avviato una campagna perché anche i Bitcoin abbraccino il Proof-of-Stake e vadano verso la svolta green.

In realtà per adesso i Bitcoin, che sono per altro una comunità piuttosto conservatrice, non hanno nessun piano di passare a breve termine al PoS, anche perché, come vedremo, non hanno questa esigenza impellente come Ethereum.

Cosa rende i Bitcoin diversi da Ethereum e perché i BTC non hanno l’esigenza del Proof-of-Stake

Uno degli errori che si commettono approcciandosi ai Bitcoin è credere che siano identici ad Ethereum, cioè che siano semplicemente due criptovalute e rispettivamente la prima e la seconda come capitalizzazione di mercato.

In realtà non è affatto così, i Bitcoin sono una criptovaluta e sono la più antica della storia fondata nel 2009, la cui forza risiede nel capitale di mercato e anche in proprietà insite in natura come la scarsità, poiché di BTC se ne possono coniare solo 21 milioni cosa che li rende il nuovo oro digitale.

Se Bitcoin ed Ethereum sono fondati su una Blockchain pubblica, c’è però una differenza gigantesca e cioè che Ethereum non ha la sua forza nella criptovaluta, ma nel fatto di essere una Blockchain open source.

Ovvero la Blockchain Bitcoin viene da questi usata per le transazioni in criptovaluta in via esclusiva, Ethereum è stata invece la prima Blockchain open source, cioè messa a disposizione del pubblico perché vi si possano costruire sopra le applicazioni Blockchain.

La gran parte delle nuove criptovalute sono token ERC-20 cioè costruiti su Ethereum e lo stesso per la gran parte dei Non Fungible Token (NFT).

Per questa caratteristica Ethereum ha un problema che i Bitcoin non hanno e che le impone il passaggio al Proof-of-Stake, cioè i competitor come Solana e Binance Smart Chain che hanno anche loro una Blockchain open source e hanno già abbracciato la svolta ambientalista del PoS, rubando ai primi una fetta enorme di mercato. 

I Bitcoin ancorati al Proof-of-Work (PoW). Perché i BTC miners non sceglieranno mai il Proof-of-Stake (PoS)?

I Bitcoin non essendo una Blockchain open source non hanno il problema delle piattaforme analoghe che gli fanno concorrenza in questo senso.

Ovvero, di base il Proof-of-Work che usano tanto i Bitcoin quanto per adesso Ethereum, proprio perché richiede un enorme fabbisogno energetico e hardware potenti per funzionare, si traduce in costi per le commissioni sulle transazioni con queste criptovalute, le cosiddette gas fee, molto più alte rispetto alle Blockchain che usano il Proof-of-Stake.

In parole povere per gli alti costi di Ethereum sempre più spesso ormai i nuovi progetti sono lanciati su Blockchain concorrenti, quali Binance o Solana, che avendo già abbracciato l’alternativa sostenibile hanno anche costi per le commissioni infinitamente più bassi e hanno già sottratti ad Ethereum una grossa fetta di mercato.

I Bitcoin non si inseriscono in questo contesto perché non sono mai stati una Blockchain open source, di conseguenza “ambiente a parte”, la necessità del passaggio o meno al PoS deve nascere dalla comunità stessa, la quale per ora rimane ancorata al Proof-of-Work. 

Anche perché il cambio di protocollo imporrebbe ai Bitcoin miners di smettere il loro lavoro, cioè la comunità Bitcoin, poiché le criptovalute che usano il PoS non si minano e non richiedono hardware potenti, poiché la convalida delle transazioni avviene in base ad un algoritmo che sorteggia i nodi in base a quanta criptovaluta questi hanno in stake.

Insomma il passaggio al PoS imporrebbe una rivoluzione anche economica all’interno della comunità Bitcoin dove il mining diventerebbe inutile e che per adesso i miners non hanno nessuna intenzione di compiere. 

Il funzionamento del Proof-of-Stake è spiegato in modo molto chiaro nel video YouTube di Binance Academy:

  

Il problema “teorico” che contrappone Bitcoin e Proof-of-Stake (PoS)

Il Proof-of-Stake ha tanti vantaggi “ambientali” e in termini di costi per gli utenti, ma anche dei limiti tra cui alcuni teorici che la comunità Bitcoin difficilmente potrà superare.

Ovvero i Bitcoin e con loro le criptovalute sono nati all’insegna della decentralizzazione massima e il Proof-of-Work si basa sul concetto, più teorico che pratico, che chiunque dotato di un computer possa diventare un “nodo” e partecipare alla rete.

In pratica non è proprio così perché il Bitcoin mining richiede comunque un investimento iniziale piuttosto cospicuo visto che gli hardware richiesti costano migliaia di euro.

In ogni caso, il protocollo di consenso Proof-of-Stake richiede, per diventare “nodi” e convalidare le transazioni, un investimento enorme perché devono essere messi in staking migliaia di euro di criptovaluta nativa. Per dare un’idea per diventare un “nodo” della Blockchain Ethereum quando sarà completato il passaggio PoS servono circa 34 ETH in stake, dove 1 ETH vale circa 3.000 euro.

Spesso infatti il PoS è stato additato come un sistema dove i ricchi diventano ancora più ricchi e perciò al momento non c’è nessun progetto per i Bitcoin di migrare al Proof-of-Stake.

La comunità Bitcoin dice no al Proof-of-Stake (PoS) e volge verso soluzioni sostenibili per il Proof-of-Work (PoW)

La comunità Bitcoin non fa mistero per ora di non volere il Proof-of-Stake perché snatura il concetto stesso di criptovalute. Le valute digitali sono infatti nate allo scopo di “democratizzazione” massima del sistema finanziario ed in contrapposizione alle valute fiat.

Secondo uno studio condotto dal The Guardian la maggioranza dei “Bitcoiner” al momento non vuole il Proof-of-Stake.

Piuttosto la comunità dei Bitcoin miners sta cercando di risolvere il problema all’origine, cioè mantenendo un protocollo basato sulla Proof-of-Work, ma alimentando i processi di mining con energia rinnovabile e trovando soluzioni tecnologiche con hardware che richiedano meno energia elettrica per funzionare.

I Bitcoin verso la svolta sostenibile senza necessità di passare al Proof-of-Stake (PoS)

Michael Saylor, CEO e fondatore di MicroStrategy, l’azienda che detiene il più alto numero di Bitcoin al mondo, ha affermato di recente che l’unico modo per diventare davvero sostenibili è creare un’industria immaginaria.

Questo perché la comunità Bitcoin ritiene il dibattito ambientalista eccessivo e crede anche che il consumo di energia elettrica richiesto dal mining si ridurrà comunque nei prossimi anni. Prima di tutto a favore di questo giocherà il progresso tecnologico con hardware in grado di consumare meno energia e la stessa che sarà interamente estratta da fonti rinnovabili.

Poi, si deve considerare che il codice Bitcoin prevede un fenomeno chiamato halving che dimezza le ricompense dei miners ogni quattro anni circa e che lo stesso è scritto perché avvenga l’estrazione di soli 21 milioni di token. Man mano che si va avanti quindi l’estrazione di nuovi Bitcoin diviene sempre più difficile e si riduce anche il consumo energetico, fino a quando (nel 2140) saranno estratti tutti i BTC e allora resteranno solo le transazioni in criptovaluta a pesare sul fabbisogno energetico della Blockchain.

Alda Moleti
Alda Moleti
Collaboratrice di Redazione, classe 1984. Ho una laurea Filologia Classica e ho conseguito un dottorato in Storia Antica, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, con una tesi sull'opera frammentaria di Asclepiade di Tragilo. Sono autrice di pubblicazioni scientifiche sul mondo classico e coeditrice di due volumi accademici internazionali. Dal 2015, mi sono trasferita in Inghilterra dove ho lavorato come copywriter freelance e come croupier al casinò.Il mio motto è? Naples is the flower of paradise. The last adventure of my life"."
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