La Guerra Fredda dei Bitcoin! Russia e USA dietro il crollo

Il Prezzo Bitcoin si schianta toccando i minimi storici dopo importanti rivelazioni delle banche centrali di Russia e USA. Ma è davvero la fine dei BTC?

I Bitcoin sono entrati nel nuovo anno con pochi festeggiamenti e registrando una serie di picchi al ribasso, l’ultimo dei quali proprio tra il 19-20 gennaio, con il prezzo ad unità sotto i 40.000 dollari.

A causare questo crollo delle criptovalute sul mercato contribuiscono una serie di fattori, i due principali sono gli atteggiamenti mostrati dalle banche centrali di USA e Russia, con i Bitcoin che sembrano al centro di una nuova guerra fredda.

Già un primo picco a ribasso si era verificato qualche settimana fa quando la Federal Reserve Board (Fed), la banca centrale statunitense, aveva rivelato i verbali dell’incontro di dicembre in cui confermava i piani di alzare i tassi d’interesse delle obbligazioni.

Ma una nuova stoccata ai Bitcoin arriva giovedì 20 gennaio quando la banca centrale in Russia annuncia il prossimo ed imminente progetto di un ban per criptovalute e mining delle stesse, termine con cui si intende il processo di estrazione di una moneta digitale.

Tuttavia, nella lettura dei dati di mercato e della situazione attuale gli analisti divergono, poiché dove i nemici delle cripto vedono la fine delle valute digitali e la bolla speculativa, al contrario i sostenitori delle criptovalute sono convinti che questa situazione determina un impatto negativo sul prezzo Bitcoin a breve termine, ma potrebbe invece portare ad una spinta sul lungo periodo.

Questo perché i ban di Russia, Cina, Kosovo e Kazakistan stanno favorendo la fuga dei miners verso gli USA, dove il processo di estrazione (mining) è alimentato in buona parte da energia estratta da fonti rinnovabili ed è quindi sostenibile ed a basso impatto ambientale.

Questa situazione a dispetto della tendenza ribassista nell’immediato contribuisce alla svolta green dei Bitcoin, rendendo le criptovalute più appetibili a molti investitori, ora spaventati dall’impatto ambientale delle stesse, andando così a confermare una previsione rialzista a lungo termine. Insomma secondo buona parte degli analisti c’è ancora la speranza di vedere nel 2022 i Bitcoin al massimo storico di 100.000 dollari ad unità.

Bitcoin al minimo storico per colpa della Fed e della banca centrale Russa

Quello registrato venerdì 20 gennaio è il minimo storico degli ultimi sei mesi con i BTC sotto il punto critico dei 40.000 dollari ad unità.

Se i Bitcoin registrano quindi una perdita del 10% alle criptovalute rivali non è andata meglio, con Ethereum che ha perso il 13% e le altre principali altcoin coinvolte nella tendenza a ribasso: Cardano, Dogecoin, Shiba Inu, Solana, Polkadot.

Si stima che complessivamente il mercato delle criptovalute abbia perso un capitale pari a 200 miliardi, scendendo a 1,8 trilioni di dollari complessivi in 24 ore, cioè ben l’11%.

In questa fase di mercato sembra esserci una sorta di timore verso il mondo delle criptovalute, con l’ultimo colpo sferrato dalla Russia, anche perché nel Paese si concentra circa il 10% dell’attività globale di mining.

Dopo la botta presa dai Bitcoin a causa della Fed che pianifica l’aumento dei tassi d’interesse quest’anno, la banca centrale Russa ha affermato che Bitcoin e criptovalute in genere rappresentano un rischio per la stabilità monetaria della nazione, oltre ad esse uno strumento spesso usato per attività illegali.

La nuova legge era già stata anticipata anche se al momento pare che il ban si estenda a transazioni e mining, ma non implichi l’illegalità del solo possesso di criptovalute.

Il ban minacciato dalla Russia fa seguito alla decisione analoga presa da altri paesi, tuttavia dobbiamo fare una distinzione poiché la posizione di Putin ed Erdogan è sostanzialmente diversa da quella di paesi come Kosovo e Kazakistan.

Poche a spingere Russia e Turchia verso il ban ai Bitcoin non è solo ed esclusivamente l’enorme quantità di energia fossile e inquinante consumata dalle transazioni e dal mining di criptovalute, ma soprattutto la preoccupazione che questa possa minare la stabilità finanziaria delle monete fiat, cioè la valuta in corso legale.

Perché la Russia ha deciso di vietare transazioni e mining di Bitcoin?

Giovedì 19 dicembre la banca centrale russa ha annunciato le sue intenzioni di vietare mining ed transazioni in criptovalute, viste come una minaccia alla sovranità monetaria.

Ancora, a sostenere questi timori pare vi sia la preoccupazione delle attività illecite che possono celarsi dietro i Bitcoin, compreso il loro utilizzo per finanziare azioni terroristiche.

La proposta della banca centrale consiste in una Legge che imponga il divieto di effettuare transazioni in criptovalute, così come di poter realizzare i processi di mining sul territorio.

L’obiettivo russo è quello di imitare le azioni già intraprese dal governo Cinese dove è stato imposto un divieto totale per transazioni e mining di Bitcoin e altre valute digitali.

Elizaveta Danilova, capo del dipartimento di stabilità finanziaria della banca centrale in Russia, ha però confermato che a differenza di altri Paesi non sono previste restrizioni che riguardano il solo possesso di criptovalute.

La situazione dei Bitcoin in Russia è illustrata nei dettagli anche nel video YouTube a cura di Michael Pino:

  

Quali conseguenze sul prezzo Bitcoin nel lungo periodo?

Da un punto di vista del Bitcoin mining, la Russia è il terzo paese al mondo dietro solo ad USA e Kazakistan. Proprio di recente il Kazakistan ha vietato il mining di criptovalute a causa di una crisi energetica nel paese andando di fatto ad aumentare la concentrazione dei miners negli Stati Uniti.

Questo perché i divieti imposti da Cina e Kazakistan hanno portato ad una fuga dei miners verso gli USA, contribuendo secondo alcuni analisti al passaggio delle criptovalute verso la sostenibilità, poiché negli Stati Uniti esse sono estratte perlopiù attraverso un’alimentazione basata su fonti rinnovabili di energia.

Anche la banca centrale russa, annunciando il prossimo ban alle criptovalute, si è soffermata sul timore che il mining in Russia crei problemi energetici.

Tuttavia, Russia, Cina, Kosovo e Kazakistan hanno una differenza sostanziale rispetto agli USA, perché in questi Stati l’energia necessaria ad alimentare la nazione, compresi i processi di mining, si basa ancora quasi completamente sull’estrazione attraverso combustibili fossili non rinnovabili e altamente inquinanti.

Diversamente gli USA sono nettamente più avanti nella svolta green con un terzo dell’energia prodotta nel Paese, che proviene invece da fonti rinnovabili al 100% ed è quindi sostenibile.

I miners preferiscono gli USA non solo per motivazioni legate ai costi e all’estrazione dell’energia necessaria al mining, ma anche perché la legislazione americana è meno diretta nella sua opposizione al mondo cripto. Nonostante la Fed cerchi anche lei di proteggere il Dollaro, le azioni contro il mondo cripto sono indirette, cioè gli USA, dove peraltro si concentrano Bitcoin Bull del calibro di Saylor, non pensano neanche lontanamente ad un divieto completo del mining. 

I benefici a lungo termine sul prezzo Bitcoin della fuga dei miners verso gli USA

Insomma, se il ban di paesi come Russia e Cina crea una tendenza ribassista nei mercati a breve termine, proprio queste scelte però potrebbero rappresentare una nota positiva sulle previsioni a lungo termine del prezzo Bitcoin, questo quanto affermano gli analisti sostenitori delle cripto.

Poiché, la fuga dei miners verso gli USA avvia il Bitcoin alla sua completa trasformazione sostenibile, con cui esso attirerà molti più investitori istituzionali o privati di grosso calibro nel mercato, ora spaventati proprio dall’impatto ambientale dei Bitcoin. Una situazione che vorrebbe dire una crescita della moneta sul lungo periodo e che spinge ancora molti a confermare la previsione che vede i BTC a 100.000 dollari ad unità entro la fine di quest’anno.

Alda Moleti
Alda Moleti
Collaboratrice di Redazione, classe 1984. Ho una laurea Filologia Classica e ho conseguito un dottorato in Storia Antica, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, con una tesi sull'opera frammentaria di Asclepiade di Tragilo. Sono autrice di pubblicazioni scientifiche sul mondo classico e coeditrice di due volumi accademici internazionali. Dal 2015, mi sono trasferita in Inghilterra dove ho lavorato come copywriter freelance e come croupier al casinò.Il mio motto è? Naples is the flower of paradise. The last adventure of my life"."
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