Bond oggi: allerta inflazione! Se così fosse che si fa?

Risveglio a gennaio e soprattutto pesanti previsioni dalla Germania. Come muoversi con le obbligazioni. Senza farsi prendere però dalla paura o dalla fretta. I veri rischi sono per ora ancora altri. 

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I numeri appaiono alquanto contradditori, con una diffusione a macchia di leopardo. L’inflazione in area euro è salita a gennaio su base annua al positivo 0,9% contro il negativo 0,3% di dicembre 2020. Un balzo improvviso e netto, ancor più significativo se si considera che l’effetto rialzo del prezzo del petrolio non si è sentito, con una sua incidenza tuttora negativa del 4,1%, sebbene meno pesante rispetto ai mesi autunnali, quando ancorata a oltre il -8%. A macchia di leopardo tuttavia, come si diceva, se si pensa che a trainare l’inflazione sono stati soprattutto i Paesi ricchi dell’Unione europea, con in testa Olanda (+1,7% su base annua), Germania (+1,6%) e Finlandia (+0,9%). L’Italia si attesterebbe invece – sempre su base annua – allo 0,5%. Naturalmente tutto questo si riferisce alla rilevazione di un mese proiettata sul periodo annuale: necessita quindi di ben altre conferme per essere interpretata come segnale effettivo di lungo termine. 

Da Berlino arriva una minaccia 

A fianco dei numeri ci sono però le dichiarazioni e quelle provenienti dal numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, pesano, eccome se pesano. Giovedì scorso infatti ha proclamato che la Banca centrale tedesca vede l’indice dei prezzi salire quasi al 3% nel proprio Paese entro fine anno. Si tratterebbe di una svolta rilevante, attribuibile in parte a fattori interni e più in particolare al taglio dell’Iva e alla nuova tassa sulle emissioni. Motivi solo nazionali quindi? Non proprio, se si considerano un effetto onda sulle nazioni circostanti e soprattutto l’imprevedibilità dell’andamento dei prezzi nel dopo pandemia. Interi settori economici potrebbero infatti essere attratti dalla necessità di aumentarli per compensare i danni da Covid. È indubbio che Weidmann sta poi togliendosi un po' di sassolini dalle scarpe criticando la Bce e le sue previsioni sempre fallaci relative all’inflazione. Il rischio allora è reale? Per ora no, seppur ci sia un fattore imprevedibile, quello delle quotazioni del petrolio in continua crescita. Nelle ultime ore il Wti ha superato quota 60 $ e il Brent si è avvicinato ai 64 $, motivo certamente di preoccupazione.

Da nulla a troppo

L’improvvisa svolta deve far meditare ma non preoccupare. Perché si manifesti un’inversione così pesante dell’inflazione occorrerebbe infatti una congiunzione di fattori ancora tutti sotto coperta. Per l’investitore scatta comunque un segnale, poiché l’esasperata compressione dei rendimenti obbligazionari potrebbe comportare una svolta sui mercati con vendite dei tassi fissi, pur compensate dagli enormi acquisti ancora in atto dalla Bce. Fidarsi tuttavia è bene ma non fidarsi è meglio! In un simile contesto cominciare quindi a guardare al futuro diventa necessario. Mantenere per esempio in portafoglio bond a rendimento negativo non ha più senso: meglio vendere progressivamente e switciare su “inflation linked” indicizzati all’inflazione europea, che talvolta hanno anche prezzi più bassi. Ecco qualche esempio. Il Btp€i 15/5/2026 (Isin IT0005415416) quota sui 108,2 e non ha tratto finora vantaggi dal surriscaldamento dell’inflazione europea, che ha effetti ritardati. Su scadenze 2026 i Btp a tasso fisso hanno invece tutti rendimenti negativi e prezzi più alti, salvo nel caso dello 0,5% Fb26 (Isin IT0005419848). Passiamo a scadenze più lunghe. Situazione simile per il Btp€i 2030 (Isin IT0005387052) con un’avvertenza: non si leggano i dati riportati da alcuni media sui rendimenti degli “inflation linked” legati all’inflazione europea. Sono sbagliati, poiché tengono conto dello yield calcolato sulla cedola in corso ma non (e non potrebbero) dell’effetto rivalutazione del capitale, che dipende dal coefficiente di indicizzazione, il quale aumenta il valore finale di rimborso. L’attuale situazione di incertezza va certamente a loro favore, soprattutto nel caso di quelli italiani, molto più convenienti rispetto ai colleghi per esempio tedeschi e francesi. Infine una raccomandazione: valutare quanto capitale trasferire da tassi fissi a tassi variabili inflattivi richiede tempo. Guai a ragionare in maniera affrettata, passando dal nulla al troppo. Il rischio del rialzo del costo della vita è reale ma non deve trasformarsi in un assillo. Per ora i veri pericoli restano infatti ancora quelli degli imprevedibili effetti post pandemia su economia e consumi.