I motivi per cui gli investitori continuano a preferire le obbligazioni, pur in un contesto di rendimenti molto bassi, sono vari ma uno su tutti resta inconfutabile: si chiama cedola. La distribuzione continua di reddito costituisce infatti il richiamo sia di chi ne ha necessità per la propria vita sia di chi reinveste in chiave di incremento del capitale. Il problema sta però nel definire un equilibrio con altri fattori, fra cui la variabilità delle quotazioni in base all’andamento dei tassi risulta tutt’altro che marginale in situazioni normali, sebbene quelle che stiamo vivendo non lo siano.
Un cash flow regolare ma non solo
Fin qui quanto abbiamo detto è scontato, mentre molto meno lo è l’aspetto di definire su quali scadenze sia meglio collocarsi per garantire un equilibrato flusso di liquidità. Un consiglio un po’ banale ricorda di diversificare su titoli con diverse date di pagamento nel corso dell’anno, per garantire continuità di incassi cedolari. Ne deriva che puntare per esempio su una dozzina di bond e/o Etf scadenzati da gennaio a dicembre costituisce un modo per ottenere questo obiettivo. Dopo di che selezionando obbligazioni ad alto rendimento la strategia sarebbe completata. Il condizionale è d’obbligo considerando che – secondo ricerche effettuate intervistando proprio gli investitori – si accerta che il ruolo delle obbligazioni nel creare reddito è prioritario, dato che da loro dipende fra il 40 e il 70% dei proventi finanziari necessari per diverse esigenze. Quindi alti yield – non strettamente correlati però alla categoria dei bond “high yield” – e certezza di riscuotere diventano prioritari. Di qui la necessità di non assumersi troppi rischi, soprattutto in termini di rating e di durata delle scadenze.
Le migliori vite residue
Questi avvertimenti – in parte ovvi magari per gli obbligazionisti di lunga data – servono per giungere all’aspetto principale del modo di costruire un portafoglio solido e abbastanza redditizio. Consiste nelle scadenze da scegliere. Nella fase in corso si può ritenere che le più convenienti siano quelle fra 5 e 8 anni, con le quali si riesce a ottenere una combinazione corretta tra rendimento e rischio. Sotto i 5 anni gli yield si abbassano troppo e sopra gli 8 anni si entra in segmenti più esposti alla volatilità derivante da vari fattori. E’ il caso di verificare allora se alla teoria si accompagna la riprova pratica. Sul fronte Btp oggi – nella fascia 5-8 anni – conviene spostarsi sulla parte alta: un 8 anni rende infatti circa l’1,3%, poco sotto un decennale e quasi la metà in confronto a un cinquantennale, caratterizzato però da rischiosità molto più elevata. Situazione ancora più favorevole per i Treasuries Usa: dai 7 agli 8 anni di scadenza si resta poco sotto il rendimento del decennale, mentre la parte lunghissima si dimostra troppo esposta alle variazioni delle quotazioni, proprio come sta accadendo da qualche settimana. Nel caso invece di corporate e high yield si possono scegliere scadenze anche inferiori rispetto al segmento 5-8 anni ma in entrambi i casi occorre essere più flessibili. Per quelli in Usd ad esempio i 5 anni garantivano un interessante 2,93% lo scorso anno, mentre ora si attestano sull’1,8%, dopo però un periodo di forte volatilità, che ha consentito posizionamenti su livelli perfino del 4-5%. Il concentrarsi quindi in quest’area dà una certa sicurezza di rendimenti, senza esporre a eccessivi rischi, obiettivo prioritario per chi faccia dei bond l’asset con cui mantenere un tenore di vita regolare anche in presenza di scenari negativi.