Bond oggi: di colpo i lunghi in $ non piacciono più. Ecco perché dollaro

Il timore è che la Fed riduca fortemente il suo Qe, come in effetti sta già facendo. Ciò potrebbe far scendere le quotazioni di T-Bond e corporate, all’opposto di quanto si sostiene da mesi. 

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A Wall Street da qualche giorno si avverte una preoccupante suspense, che riguarda il mondo obbligazionario. Si teme infatti che la Fed, di fronte a un coronavirus in arretramento, possa accelerare la frenata negli acquisti di Treasuries. Circola così una parola che non piace: “taper tantrum”. Per chi non conoscesse questa definizione occorre spiegarla. Si tratta di un programma di riduzione nella raccolta delle Banche centrali di obbligazioni, con cui si pompa denaro nel sistema finanziario, e perciò di lento abbandono degli stimoli monetari. La sola ipotesi farebbe andare gli investitori fuori di testa. Nell’arco di poco più di un mese la Fed ha raccolto 1,3 trilioni di dollari su un patrimonio globale di Treasuries emessi stimato in circa 17 trilioni, con un peso rilevante nello spingere le quotazioni soprattutto delle scadenze medie e lunghe. In effetti dalla Fed è arrivata la notizia che gli acquisti stanno lentamente contraendosi, con una media di circa 15 miliardi ogni giorno (dati riferiti alla scorsa settimana). 

La vera preoccupazione

Il dubbio maggiore concerne la possibilità che il mercato non riesca a compensare il calo degli acquisti pubblici, accentuando una correzione delle quotazioni. Sul Mot i Treasuries hanno registrato finora movimenti ribassisti marginali ma si nota una flessione delle transazioni che ha portato molte scadenze a non essere scambiate. Il T-Bond 2% Fb2050 Usd (Isin US912810SL35) ha perso in una settimana quasi 3 Usd, scendendo da 122,5 a 119,8 Usd, mentre molti altri titoli non hanno dato segnali di vita. Inevitabilmente la vera avvisaglia arriverebbe comunque dal rendimento del decennale Usa, che ieri è salito di quasi il 9%, attestandosi allo 0,65%, in presenza di una volatilità elevata nelle ultime sedute. Per ora non c’è motivo di reale preoccupazione, che si paleserebbe al sorpasso dello 0,70% e ancor più dello 0,75%, per poi muoversi verso l’1%.

Come si ragiona ai desk

Intanto si osserva la “yield curve”, che non dà particolari segnali di tensioni da questo punto di vista. Resta piatta fino ai 3 anni per poi rialzarsi in misura marginale sino ai 10 anni, avviso di recessione, non giustificando i timori di “taper tantrum”. E pur vero che gli operatori scrutano sempre il futuro, come successe in occasione della fine del precedente Qe, quando i timori di normalizzazione si manifestarono adeguatamente in anticipo rispetto ai tempi di reale concretizzazione. Si tratta quindi di pronostici di un futuro possibile ma non assodato. Le proiezioni economiche parlano di un Pil sotto del 30-35% nel secondo trimestre 2020, con disoccupazione in crescita al 15%, ma allo stesso tempo prevedono un veloce rimbalzo nel terzo trimestre. La Fed sembra perciò credere (ed è giusto che lo faccia) più alle aspettative di medio che a quelle di breve, mentre il mercato teme la svolta ma non è ancora passato al bottone “sell”. In questo contesto l’unica scelta di buonsenso per il piccolo e medio investitore sta nell’evitare scadenze esagerate. Meglio accontentarsi di meno come rendimento che trovarsi magari fra qualche mese con pesanti perdite in termini di quotazioni, sempre che effettivamente la droga della Fed riporti chiarore nei cieli dell’economia d’oltre Oceano.