La pubblicazione nel week-end dei primi dati ufficiali riferiti agli acquisti di corporate bond da parte della Fed ha sorpreso non poco i mercati. Per vari fattori. Primo: ci si aspettava che il Qe sul credito favorisse i costruttori automobilistici Usa e soprattutto Ford e General Motors ma, a fianco di questi, si è registrata la presenza di emittenti stranieri, quali Daimler Toyota e Volkswagen. Secondo: la nazionalità Usa resta certamente in testa ma il 18% degli acquisti è esterno e riferito cioè a società di altri Paesi. Terzo: il 58% del totale è rappresentato da bond con rating BBB. Quarto: il 36% ha scadenze 4-5 anni, le più lunghe ammesse nell’operazione. Quinto: i maggiori acquisti della Banca centrale Usa sono stati effettuati su obbligazioni emesse da UnitedHealth Group, At&t, Anthem, Comcast e Ibm, mentre sono stati trascurati nomi significativi per esempio del comparto telefonico e della grande distribuzione.
I maggiori effetti
La conseguenza del tutto è che i relativi emittenti si sono improvvisamente accreditati dell’ipotetica designazione “Fed attested”, il che rappresenterà un inevitabile impulso per l’intera serie delle relative obbligazioni. In realtà si sono già sentite voci polemiche nei confronti della scelta di estendere gli acquisti fuori dai confini nazionali ma occorre tenere presente che – in particolare nel comparto delle quattroruote – le aziende straniere accettate nel paniere Fed hanno rilevanti fabbriche pure negli Usa, il che le ha certamente favorite.
Analisi di quelli automobilistici
Considerando la bassa liquidità dei bond di alcuni emittenti auto quotati su Tlx è inevitabile per chi investe dall’Italia dover guardare oltre il regolamentato di casa nostra, seppur ciò non sempre sia facile per molti investitori. Nell’ambito dei bond Ford – reduci da eccellenti performance negli ultimi due mesi – gli yield sono per la stragrande maggioranza delle emissioni superiori al 6%. Non volendo esporsi su “duration” eccessive un buon compromesso è rappresentato dal 9,625% scadenza 2025 (Isin US345370CX67 – taglio 2.000), che pur quotando sui 118/120 Usd garantisce il 6,8%. Puntando a restare invece su quotazioni sotto 100 in primo piano si colloca il classico 4,75% scadenza 2043 (Isin US345370CQ17 – taglio 2.000), che sugli 80 ha un rendimento del 6,5%. Nell’ambito dei General Motors la curva è nettamente più spostata sul lungo rispetto a quella di Ford. Di fatto una sola emissione si colloca sopra il 6% ed è la 6,75% scadenza 2046 (Isin US37045VAL45 – taglio 2.000 Usd), che quota sui 105-106. Volendo invece non esporsi in termini di “duration” un certo appeal lo merita la 6,125% scadenza 2025 (Isin US37045VAV27 – taglio 2.000 Usd), trattata sui 112, con yield al 3,5%. Situazione differente per le emissioni in Usd della tedesca Daimler, di cui una sola supera il 3% di yield, sebbene si tratti della 8,5% scadenza 2031 (Isin US233835AQ08 – taglio 1.000 Usd), comunque carissima e non quotata su Tlx, dove l’emittente è assente relativamente alla divisa Usa. Il miglior compromesso lo offre così la 1,7% scadenza 2023 (Isin USU2339CDW56 – taglio 150.000 Usd): quota infatti attorno a 100. Tutte le altre si fermano sull’1,5-1,6%. Per Toyota la disponibilità è molto ridotta sul mercato del dollaro e le uniche due degne di interesse sono le “step-up” in Usd presenti anche su Tlx, di cui la più generosa 2025 è tornata sopra i 108, mentre la 2026 (Isin XS2056488013 – taglio 2.000) naviga ancora sotto 100. Infine Volkswagen registra una situazione simile a quella di Toyota, non disponendo di emissioni in Usd sul regolamentato di casa nostra. Sull’“Otc” vale attenzione la 3,2% scadenza 2026 (Isin USU9273ACX10 – taglio 200.000), unica che sulla curva dei rendimenti riesce a mantenersi sopra il 2% con una “duration” limitata.
La discriminante rating
Il panorama complessivo presenta qua e là ancora qualche boccone succulento ma è indubbio che la vera separazione sta nella valutazione “investment grade” e “non investment grade”: a questa seconda appartiene infatti Ford, che resta appunto la più generosa in termini di rendimenti a scadenza. E’ pur vero che in contesto anomalo, come quello di un Qe del credito Usa molto più diversificato rispetto alle aspettative iniziali, le distinzioni di rating contano poco ma quanto potrà durare una simile forzatura dei mercati? Qualche anno certamente.