Nel precedente articolo avevo svolto una analisi sui costi di produzione dell'argento e sul perché le miniere d'argento non chiudano sebbene i costi siano superiori al prezzo.
Oggi vorrei fare un paio di ragionamenti più operativi invece.
Intanto non è del tutto vero che le miniere primarie d'argento non chiudano proprio mai. Quelle nel quartile con i costi di produzione più elevati hanno iniziato a chiudere qua e là. Prendiamo ad esempio Bellekeno di Alexco Resources nello Yukon (l'unica miniera primaria di argento del Canada) e la Troy Mine di Revett Minerals in Montana (USA). Né le gradazioni molto elevate della prima, né la presenza di rame come co-prodotto della seconda hanno potuto fare nulla contro le piccole dimensioni di queste due miniere, un fattore negativamente correlato ai costi. Nella sua presentazione Alexco mostra anche alcuni costi di produzione a confronto di vari competitor (e mostra come i costi futuri dovrebbero ridursi grazie alla rinegoziazione della royalty posseduta da Silver Wheaton).

Il perdurare di un prezzo per l'argento nella presente fascia di oscillazione tra 15 e 20 dollari potrebbe far gettare la spugna anche ad altre compagnie. Oppure far ridurre i ritmi di produzione come nel caso di US Silver, che ha deciso di concentrare gli sforzi sulle sole riserve a maggiore gradazione della miniera Galena, licenziando 111 dei 351 minatori presenti. Sebbene le miniere che sospendono le operazioni sono solitamente quelle più piccole di dimensioni, e sebbene molto dell'argento prodotto nel mondo è un by-product di miniere di oro, rame, zinco e piombo, che continuerebbero a produrlo anche a prezzi miserrimi, un poco l'offerta dovrebbe finire per calare.