Il mining di Bitcoin sarà bandito in Europa?

Il mining di Bitcoin sarà davvero bandito in Europa? Andiamo a vedere i possibili scenari che questo chiacchiericcio porta con se

In questi giorni, in quelli passati e sicuramente anche in quelli futuri, si è fatto e si farà sempre un gran parlare del mining di Bitcoin e della sua fame energetica.

L’Europa in particolare sembra averla presa parecchio a cuore questa tematica, specialmente alla luce della crisi energetica che galoppa e delle conseguenze della guerra.

Tutto questo spaventa i miners, i quali potrebbero vedersi obbligati a chiuderei battenti, ma anche Bitcoin in generale, il quale viene spinto verso il proof of stake.

In ultimo, la paura non può far altro che fluire anche negli investitori, i quali si chiedono cosa ne sarà del loro amato oro digitale in caso fosse obbligato a sostanziali cambiamenti.

In quest’articolo l’obiettivo è fare un po’ il punto della situazione, cercare di capire se è possibile risolvere il problema e quali conseguenze ci saranno da ogni decisione.

Inutile dire che qui nessuno ha la sfera di cristallo, quindi sono chiacchiere e speculazioni da bar, ma restano scenari altamente probabili visti i binari su cui si sta marciando.

Bitcoin è davvero a rischio? Lo possono davvero obbligare a passare a proof of stake? Cos’accadrebbe al prezzo in quel caso? Tutte queste domande e molte altre ancora troveranno risposta qui.

In questo video Crypto Ita spiega differenze tra PoS e PoW.

Perché l’Europa pensa di bandire Bitcoin

Iniziamo col capire bene una cosa, il fatto che l’Europa possa e voglia bandire il mining di Bitcoin, non significa che voglia bandire la moneta dal circolare.

No, qualunque legge apparentemente in fase di studio, non sembra assolutamente orientata a minare il mercato delle criptovalute in generale, ma solo il mining.

Detto questo, è chiaro che Bitcoin stia diventando un problema non di poco conto nel mondo moderno, specialmente alla luce degli ultimi avvenimenti.

Il suo metodo d’estrazione si basa sul proof of work, fondamentalmente computer potentissimi che operano a ciclo continuo utilizzando dei bei chilowattoni.

Questo è un metodo utilizzato anche da altre monete come Monero o Doge, ma assolutamente  on a livelli tali da essere anche solo paragonabile in quanto a dispendio energetico.

Il proof of stake invece, comporta che il network viene mandato avanti da persone che bloccano ingenti quantità di Bitcoin sulla blockchain, tagliando fuori il lavoro dei PC.

Non ci vuole certo un grande matematico per capire che, tolti quegli esosi computer dall’equazione, il mondo potrebbe servirsi di quest surplus d’energia risparmiato.

Si perché, sebbene non ci sia uniformità di pensiero su questo, si calcola che Bitcoin assorba da solo più energia di un piccolo stato, una quantità davvero enorme.

Di conseguenza si capisce che, essendo il mondo a corto di potenza, tagliare via una sanguisuga come Bitcoin farebbe tirare una boccata d’ossigeno alle parti in causa.

Quanto è possibile che il mining venga bandito?

Questa è una domanda a cui è davvero difficile dare una risposta, in quanto ci sono fin troppi fattori in gioco che vanno al di fuori della capacità di un calcolo spicciolo.

Facendo un po’ di speculazioni e tirando ad approssimare però, si potrebbe tranquillamente dire che le probabilità aumentano di giorno in giorno, proprio come l’hashrate.

L’hashrate di Bitcoin è quella linea che sale sempre e sembra non scendere mai (salvo quando la Cina ha decretato il ban) e indica la difficoltà delle operazioni eseguite dai vari PC minatori.

Il codice di Bitcoin diventa sempre più difficile all’aumentare delle parti minanti, il che significa un aumento pressoché costante durante tutta la storia recente.

Oggi la difficoltà è 100, domani 101, tra un mese 110 e così via. Questo significa che i vari computer dovranno essere potenziati per continuare a lavorare, assorbendo ancora più energia.

Quindi, se un qualunque membro della Commissione Europea si è preso la briga di dare una sbirciata a questo dato, allora è molto probabile che abbia capito che il problema diventerà sempre maggiore.

Quindi, se Bitcoin ha sempre più fame e l’energia scarseggia ogni giorno di più, quante probabilità ci sono che l’Europa voglia davvero proibire il mining?

Impossibile dirlo, ma facilmente vanno di pari passo con quel maledetto grafico dell’hashrate, ovvero salgono giorno dopo giorno in modo costante.

Quanto si sia effettivamente vicini al ban non è dato saperlo ma, a meno di una svolta epocale nella capacità di produrre energia a buon mercato, sembra un destino inevitabile.

Quanto sarebbe grave il ban del mining di Bitcoin?

Anche qui si possono solo fare speculazioni, ma è molto probabile che le ripercussioni di questa decisione sarebbero molto maggiori di quelle prese dalla Cina.

Questo perché la Cina è sempre stata una compagna di letto di Bitcoin piuttosto volubile, che andava e tornava a suo piacimento ma sapevano tutti che non sarebbe mai stata fedele.

L’Europa di contro è sempre stata un punto fermo di questo business, sebbene non sia un fattore rilevante come L’America o, ai tempi, la Cina.

La vera problematica sarebbe legata al fatto che, una grande porzione del mondo libero, si troverebbe improvvisamente contro la più grande rappresentante delle criptovalute.

Questo sicuramente non farebbe piacere ai grandi investitori ma, probabilmente, allontanerebbe ancora di più gli scettici e la possibile adozione di massa.

Se qualcosa diventa illegale in qualche forma, le persone tendono ad aumentare conseguenzialmente la diffidenza verso questa determinata cosa, poco importa se il mining sia diverso dalla moneta.

Molte persone non hanno idea di cosa sia Bitcoin o come funzioni, quindi la sua illegalità sarebbe probabilmente vista come segno di pericolo.

Inoltre, a questo problema, si andrebbe a sommare uno ancora più grande, ovvero la decentralizzazione del sistema stesso e la sua salute generale.

Il mining e la decentralizzazione di Bitcoin

Bitcoin è la criptovaluta per eccellenza perché è la più decentralizzata, sicura e rilevante nel mercato, oltre al fatto che è anche stata la prima a comparire.

Il bello di Bitcoin è il fatto che, oltre a essere appunto decentralizzato per via dei tanti nodi che la mantengono in salute, lo è anche perché sparso ai 4 angoli del mondo.

Il mining è infatti un’industria che viene mandata vanti un po’ ovunque (seppur in proporzioni differenti) e questo è uno dei grandi punti di forza che lo contraddistinguono.

Mettere un cappio alla gola di Bitcoin è difficile perché soggetto a così tante differenti legislazioni che, anche una legge in un singolo paese, non sarebbe un dramma.

Questo rimane vero anche nel caso L’Europa voti per il ban, Bitcoin sopravvivrebbe sicuramente, ma inizierebbe a centralizzarsi un po’ troppo.

Dove andrebbero le mining farm che emigrano dall’Europa? Molto probabilmente negli Stati Uniti, proprio dove se ne sono andate quelle scappate dalla Cina.

Qualcun’altro in Kazakistan o Iran ma, alla fine dei conti, si aggregherebbero ad altri poli importanti e già ampiamente collaudati per evitare problemi.

Quindi, la logica conseguenza di questo, sarebbe una “centralizzazione del mining“, la quale diventerebbe ancora più pronunciata se qualcun’altro seguisse l’esempio europeo.

Questo potrebbe succedere? Non esiste nessuna certezza ma non è difficile credere che, molti paesi, potrebbero volersi sbarazzare di questo peso.

Cosa causerebbe? Nulla in termini diretti, ma la favola della moneta democratica e decentralizzata potrebbe iniziare a scricchiolare pesantemente.

Come Bitcoin può evitare il ban?

Prima di tutto, Bitcoin può davvero evitare il ban? Allo stato attuale delle cose sembra che si trovi nella sgradevole posizione dell’essere preso tra incudine e martello.

Da un lato ci sono i paesi che non possono e non vogliono sostenere al sua fame, dall’altro il fatto che Bitcoin sia connesso a doppio filo con il proof of work.

La sicurezza della rete, la fiducia riposta in esso, il business che sta dietro e anche l’essenza stessa di questa moneta, sono tutte racchiuse in questo sistema.

Quando Satoshi ha inventato Bitcoin, la crisi energetica non era ancora sul menù e difficilmente qualcuno se l’aspettava, quindi il codice non teneva conto di questo.

Oggi i miners si trovano di fronte alla possibilità di dover passare al proof of stake, il quale risolverebbe il problema dell’energia ma ne creerebbe uno ancora più grande.

Gli investitori vorranno ancora mettere i loro capitali in una critpovaluta che ha perso la sua essenza? Forse, ma sarebbe comunque lecito aspettarsi un primo tracollo e, forse, una futura ripresa.

Certo, c’è chi dice che Bitcoin non rompe le scatole a nessuno perché utilizza fonti rinnovabili e bla bla bla… Vero, ma il mondo ha bisogno di quei chilowatt.

Forse il Consiglio Europeo non capisce l’importanza del proof of work, forse non ritiene il dispendio energetico un buon investimento per questo business o forse ancora è semplicemente con l’acqua alla gola.

Resta comunque cruciale capire che, l’estrazione di questa moneta, è una forma d’impresa che paga le tasse proprio come un’acciaieria o un centro commerciale e fa girare capitali enormi.

Quello che è certo è che, se la decisione sarà di tagliare la testa a Bitcoin, l’Unione Europea guadagnerà qualche chilowatt ma tutte le parti in causa ne usciranno impoverite. 

Redazione Trend-online.com
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