Cambiare destinazione d’uso: quando si può e costi

Quando si può fare il cambio di destinazione d'uso? Scopri i costi relativi alla procedura.

Conoscere in maniera approfondita le regole che riguardano il cambio di destinazione d’uso, potrà salvarti dalle sanzioni che vengono inflitte in caso di abuso edilizio.

Perciò, in questa guida mostreremo quando si può fare e quali sono i costi legati a questa procedura burocratica.

Che cos’è il cambio della destinazione d’uso

Il mutamento della destinazione d’uso viene disciplinato all’interno dell’art. 23 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001, riguardante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

Questo articolo è stato inserito all’interno del Testo unico dell’edilizia attraverso l’introduzione del Decreto Legge n. 133 del 12 settembre 2014, il quale è stato successivamente convertito in legge, con le opportune modificazioni, mediante l’emanazione della Legge n. 164 dell’11 novembre 2014.

La destinazione d’uso, in ambito urbanistico ed edilizio, rappresenta la finalità per la quale viene disposto un determinato fabbricato, edificio o immobile. Se quest’ultimo viene utilizzato per il 51% per scopi di produzione e per il 49% per scopi commerciali, allora dovrà essere adibito a scopo produttivo.

L’unico requisito se coesistono più finalità all’interno di un determinato immobile, è quello relativo alle due attività, le quali devono essere necessariamente collegate tra di loro: ovvero, non potrai utilizzare il 51% della tua attività per produrre generi alimentari e poi andare ad utilizzare il restante 49% per la vendita di abbigliamento.

Nello svolgere la propria attività, inoltre, la legge prevede che queste finalità possano essere realizzate, purché ci sia:

  • il rispetto di tutte le normative relative alla sicurezza;
  • la tutela dell’ambiente e del patrimonio paesaggistico;
  • il rispetto di tutte le normative relative all’urbanistica e all’edilizia;
  • ecc…

Tornando a noi e parlando, dunque, dell’argomento centrale di questo breve articolo, l’art. 23 del D.P.R. 380/2001 che si verifica un cambio di destinazione d’uso “rilevante” ogni qual volta che l’immobile in questione viene utilizzato per uno scopo diverso, rispetto a quello per il quale veniva utilizzato precedentemente.

Dunque, il mutamento può essere considerato “rilevante”, solamente se non avviene all’interno della stessa categoria, ma se avviene, per l’appunto, facendo un cambiamento della categoria.

Ecco quali sono le cinque categorie previste dalla legge:

  • residenziale, ovvero immobili di qualsiasi genere e natura, comprese le abitazioni/studi professionali e le abitazioni/affittacamere, purché siano destinati, in misura prevalente, ad essere utilizzati come abitazioni;
  • turistico-ricettiva, ovvero gli alberghi, gli hotel, i b&b, gli affittacamere, gli ostelli, i motel, le beauty farm, i villaggi turistici, i residence, le residenze turistico-alberghiere, i campeggi, le aree di sosta, le attività extra-alberghiere e qualsiasi altra struttura di tipo ricettivo e turistico;
  • produttiva e direzionale, ovvero le industrie, i magazzini, i corrieri, i laboratori artigiani, i laboratori di riparazione, le imprese edili, le carrozzerie, le officine, ogni altra tipologia di edificio che sia in grado di supportare, in misura prevalente, le attività di produzione di beni o servizi e l’attività di trasformazione di beni e di materiali, le banche, le assicurazioni, uffici privati, studi professionali, sedi amministrative di società o di enti che forniscono dei servizi, centri di ricerca, fiere, ecc…;
  • commerciale, ovvero il commercio all’ingrosso, i negozi di vicinato, i negozi, le attività commerciali di media distribuzione, le attività commerciali di grande distribuzione, i mercati, le esposizioni merceologiche, le attività che somministrano alimenti e bevande come ad esempio i bar, i ristoranti e i pub, ecc…;
  • agricola e funzioni connesse ai sensi di legge, ovvero la produzione di prodotti agrari, l’allevamento, le costruzioni per allevamenti zootecnici, la forestazione, i pascoli, i boschi, i vivai, le colture floro-vivaistiche, le serre, i campi coltivati, le abitazioni rurali, gli agriturismi, gli agri-campeggi e tutte le altre attività che sono connesse e simili a queste.

Ma che cosa si intende per “cambio della destinazione d’uso senza opere“? Questa particolare tipologia di mutamento viene considerata e classificata come “non rilevante”, dal momento che avviene senza il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra e senza effettuare alcun tipo di ristrutturazione edilizia.

Quando è possibile fare questo cambio

La legge prevede che bisogna cambiare destinazione d’uso quando quando si passa da una categoria all’altra, tra quelle che abbiamo elencato nel corso del precedente paragrafo, ma questa operazione si può effettuare solamente in presenza di requisiti specifici.

In particolare, il mutamento potrà essere effettuato soltanto quando le caratteristiche dell’edificio e degli ambienti si prestano per poter essere utilizzati con lo scopo di raggiungere la nuova finalità e quando le normative ed i regolamenti urbanistici comunali lo permettono.

Ma, nello specifico, ecco quali sono i requisiti che sono richiesti e che devono essere necessariamente osservati per poter cambiare destinazione d’uso:

  • le caratteristiche dell’edificio devono essere compatibili con la nuova finalità;
  • le caratteristiche dell’edificio devono rispettare le prescrizioni a livello igienico e sanitario, dal momento che queste ultime sono obbligatorie per legge;
  • il mutamento deve essere conforme a quanto è previsto all’interno del Piano Regolatore Generale (PRG), il quale è depositato presso il proprio Comune di appartenenza ed il quale potrebbe porre dei limiti al cambiamento;
  • il cambiamento non deve essere vietato da quanto viene disposto all’interno del regolamento condominiale, relativo al condominio nel quale è situato il proprio immobile, il quale è valido in questo ambito solamente se è stato approvato attraverso la maggioranza assoluta dei condomini; in caso contrario, invece, colui che intende effettuare il mutamento potrà effettualo, dal momento che è libero da vincoli nell’utilizzo e nello sfruttamento dei propri locali;
  • il mutamento potrà essere effettuato solamente con la preventiva approvazione deliberata da parte dell’assemblea condominiale, nel caso in cui il regolamento del condominio, non preveda un divieto, ma preveda una limitazione secondaria.

Per quanto riguarda i requisiti specifici, invece, questi saranno diversi in base alla categoria funzionale alla quale si vuole adibire l’utilizzo del proprio immobile.

Che cosa bisogna fare per cambiare la destinazione d’uso di un immobile

Questa procedura prevede degli adempimenti burocratici annosi, nei quali risulta particolarmente difficile riuscire a districarsi tra le varie carte ed i vari documenti riguardanti l’edilizia e l’urbanistica.

Ciò nonostante, per poter comprendere come effettuare questa procedura dobbiamo andare a distinguere due differenti mutamenti, ovvero:

  • il cambio di destinazione d’uso rilevante, il quale ha luogo quando vengono effettuati dei lavori di ristrutturazione edilizia oppure quando avviene il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra;
  • il cambio di destinazione d’uso non rilevante, il quale ha luogo quando non vengono effettuati dei lavori di ristrutturazione edilizia e quando non avviene il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra.

Nel primo caso, per poter effettuare il mutamento, bisognerà:

  • recarsi presso gli uffici comunali e fare la richiesta del rilascio del permesso di costruire;
  • recarsi presso l’ufficio del Catasto, in modo da aggiornare la propria documentazione fiscale ed in modo da registrare le modifiche apportate, mediante la variazione catastale, la quale modifica a sua volta i valori catastali dell’immobile in questione.

Nel secondo caso, invece, non bisognerà andare in Comune, ma bisognerà recarsi solamente presso l’ufficio del Catasto, in modo da aggiornare la propria posizione a livello fiscale.

Serve la SCIA o il Permesso di costruire?

La SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) deve essere presentata presso il Comune, quando viene effettuato un cambio di destinazione d’uso non rilevante.

Questa segnalazione deve essere asseverata da un tecnico abilitato e deve essere consegnata presso lo Sportello Unico per l’Edilizia (S.U.E.), presente all’interno degli uffici comunali. Questa documentazione ha efficacia immediata e darà, dunque, il diritto di effettuare da subito i lavori di ristrutturazione edilizia.

Se vuoi aver maggiori informazioni riguardanti la Segnalazione Certificata di Inizio Attività e, soprattutto su come rispettare la legge senza effettuare lavori abusivi, per i quali sono previste delle pesanti sanzioni, allora ti consiglio di prendere visione e di leggere un articolo a riguardo, cliccando tramite questo link.

Il Permesso di costruire deve essere richiesto, invece, presso il Comune, quando viene effettuato un cambio di destinazione d’uso rilevante.

A differenza della SCIA, per poter iniziare i lavori di ristrutturazione edilizia o per ultimare la mutazione delle finalità del proprio immobile, in questo caso, bisognerà attendere le verifiche del Comune e l’eventuale rilascio del Permesso di costruire.

Su questo aspetto è, però, intervenuto il Decreto Legge n. 133 del 12 settembre 2014, anche denominato Decreto “Sblocca Italia”, il quale ha previsto una semplificazione negli iter burocratici per cambiare destinazione d’suo.

In particolare, non sarà più necessario richiedere il Permesso di costruire, anche se vengono effettuati dei lavori di ristrutturazione edilizia, quando si effettua il passaggio tra le seguenti categorie, ovvero:

  • tra la categoria residenziale e la categoria turistico-ricettiva;
  • tra la categoria produttiva e la categoria dei servizi;

Quanto costa cambiare destinazione d’uso

Ecco quali sono i costi che bisogna sostenere per cambiare destinazione d’uso:

  • il costo relativo alle opere di ristrutturazione edilizia;
  • il compenso dei professionisti;
  • gli oneri di urbanizzazione (circa 100 euro al mq);
  • i diritti di segreteria (circa 100-350 euro);
  • il costo legato alle pratiche catastali.

Mentre gli ultimi tre sono dei costi fissi; i primi, invece, sono variabili.

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