Quando si configura il reato di diffamazione

Subdolo e sottile: ci si può cascare in qualsiasi momento. Stiamo parlando di uno dei reati più antipatici che esistono: la diffamazione. Ecco quando è reato.

Subdolo e sottile: ci si può cascare in qualsiasi momento. Stiamo parlando di uno dei reati più antipatici che esistono: la diffamazione. Quando si offende la reputazione di una persona, che in quel momento è assente, e lo si fa in presenza di almeno due persone, si commette un reato. Ma attenzione, perché la diffamazione sussista realmente, devono coesistere i tre presupposti che abbiamo citato: l’offesa della reputazione, l’assenza della vittima e la presenta di due persone.

Per riuscire a capire quando esista realmente la diffamazione è, quindi, necessario essere a conoscenza dei cosiddetti elementi della fattispecie. Stiamo parlando delle condizioni previste direttamente dalla norma e per colpa delle quali scatta l’illecito penale. Ma cerchiamo di entrare nel dettaglio e scoprire quando effettivamente vi sia il reato di diffamazione e quando questo, in realtà, non esiste proprio per niente. 

Diffamazione: quando diventa un reato

Si devono venire a verificare tre elementi differenti, perché ci sia il reato di diffamazione.

  • Il primo è che la vittima non sia presente. La persona, che viene offesa, non deve essere presente nel momento si parla male di lui. Se proprio volessimo utilizzare un linguaggio comune e popolare, potremmo affermare che la diffamazione si viene a configurare quando si parla male di una persona, alle sue spalle.
  • Il secondo requisito consiste nell’arrecare un’offesa alla reputazione della persona assente, che a questo punto diventa una vittima.
  • Il terzo ed ultimo requisito è la presenza di almeno due persone, che abbiano assistito all’offesa nei confronti della vittima assente.

La presenza di tutti e tre questi requisiti è necessaria perché si generi il reato di diffamazione. Non è da escludere, comunque, che possano venirsi a creare illeciti di altro tipo. Nel caso in cui la vittima sia presente, si parlerà di ingiuria, che non è più un reato, ma è pur sempre un illecito civile. E come tale permette alla vittima di ottenere il risarcimento del danno. 

Prima di procedere, a questo punto, è indispensabile comprendere come la disciplina interpreti le tre condizioni, che abbiamo appena elencato. Riuscendo a stabilire quando questi tre requisiti sussistano, possiamo capire quando effettivamente ci sia il reato di diffamazione e quando questo in realtà non ci sia.

Diffamazione: quando proprio non c’è

Nel caso in cui la vittima è presente, viene a mancare il reato. La presenza non deve essere, necessariamente, di tipo fisico. Non ci sarà diffamazione se il colpevole sta parlando con la vittima al telefono, attraverso una chat, con un qualsiasi scritto o attraverso un disegno. In questi casi, se la frase pronunciata o scritta è offensiva, al massimo si tratterà di ingiuria.

Viene a mancare il reato se la frase, per quanto possa risultare forte, è un semplice esercizio di critica. E qui, forse, è necessario iniziare a fare alcune differenze, perché per riuscire a distinguere tra un’offesa ed una critica si deve fare riferimento alle intenzioni reali del soggetto che sta agendo. Nel caso in cui le parole siano mosse, unicamente, dall’intenzione di fare una critica all’opera di un’altra persona, tenendo dei toni pacati e senza arrivare a delle gratuite invettive contro la persona assente, a questo punto non vi è alcun reato. Al contrario, se l’offesa arriva ad essere un attacco gratuito alla morale dell’altra persona – o alle sue qualità intellettuali o fisiche – stiamo fuoriuscendo dal semplice diritto di critica. In questo caso siamo davanti ad una vera e propria diffamazione.

Sostanzialmente affermare che un determinato impiegato si sia lasciato corrompere è diffamatorio. Stesso discorso vale quando si afferma che un professionista non conosca il proprio mestiere, o che un individuo sia affetto da una malattia innominabile. Affermare che un cuoco è un pasticcione è diffamatorio.

Non ci sarà diffamazione affermare che l’amministratore di condominio ha sbagliato completamente i conteggi per le spese, sempre che questo sia vero. Non ci sarà diffamazione nell’affermare che un insegnante non sa spiegare bene le lezioni o ritenere che un avvocato abbia perso troppe cause.

Perché ci sia la diffamazione è necessario che l’offesa alla reputazione di una persona sia fatta comunicando con due persone, anche se questo non avviene contemporaneamente con tutte e due. In estrema sintesi il reato di diffamazione c’è, nel momento in cui ci si rivolge ad una platea di persone parlando male di qualcuno che non è presente. Il reato vi è, anche, se ci si rivolge ad una sola persona ed in un secondo momento ad un’altra: si può sostanzialmente affermare che, in questo caso, la comunicazione in pubblico avviene in maniera differita. Sarà diffamazione anche quando una persona comunica una frase ingiuriosa ad una persona, ben sapendo che questi andrà a riferirla ad altre persone.

La diffamazione non ci sarà, nel momento in cui una persona dovesse confidarsi con qualcuno, parlando male di una terza persona. L’offesa, in questo caso, resta riservata e viene a mancare il fondamentale requisito della comunicazione con più persone.

Ricordiamo, infine, che il mezzo attraverso il quale viene effettuata la comunicazione è indifferente: parole, scritti o disegni. Davanti alla legge sono tutti uguali.

Diffamazione: quando si è giustificati a farlo

La legge prevede che, benché ci sia una vera e propria diffamazione, il reo non può essere punito se le frasi incriminate vengono affermate in uno stato d’ira a seguito di un’offesa ricevuta dalla stessa vittima. Questo significa che chi è stato vittima di un’ingiuria o di una diffamazione potrà, a sua volta, diffamare, purché non faccia passare troppo tempo dal momento in cui ha subito l’illecito.

Non c’è diffamazione nemmeno nella facoltà di biasimo o di censura da parte di chi abbia un potere disciplinare. Questo succede nei rapporti di famiglia o di lavoro. In questi casi il rimprovero rivolto da un superiore ad un inferiore non integra i presupposti della diffamazione o dell’ingiuria. I due casi emblematici potrebbero essere il genitore che sgrida il figlio e il datore di lavoro che censura l’operato del dipendente. Tale facoltà non è comunque illimitata. Essa cessa in caso di abuso del potere di disciplina, abuso che ricorre allorché il biasimo non è necessario o è sproporzionato. 

Pierpaolo Molinengo
Pierpaolo Molinengo
Giornalista. Ho una laurea in Materie Letterarie, conseguita presso l'Università degli Studi di Torino. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin dal 2002, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, fisco, tasse e tributi, diritto, economia e finanza.
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