Corte di giustizia: pari retribuzione per pari lavoro

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha deciso che la pari retribuzione deve valere non solo per le stesse mansioni, ma anche in tutti i casi un lavoro, se pur diverso abbia lo stesso valore e provenga dalla stessa fonte.

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Un importante principio in tema di pari retribuzione tra uomini e donne è stato fissato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ne ha dato diffusione con il comunicato numero 95 del 2021. Il rilievo di questa e delle altre decisioni della Corte sta nel fatto, che pur non potendo decidere direttamente su una questione di diritto, il suo parere ha comunque valore vincolante per il giudice che ne ha chiesto l’intervento. Dopo che il parere è stato pubblicato, non solo quel giudice, ma anche tutti gli altri a cui si presenterà una questione simile avranno analogo obbligo di rispettare quella decisione.

Secondo la Corte la parità di trattamento economico per il lavoro tra uomini e donne deve essere intesa non solo con riferimento allo stesso lavoro e a mansioni identiche, ma in senso più ampio. In questo modo si eviteranno i rischi eli ricorso a trucchetti di interpretazione della legge che eludano un principio esistente in tutti i paesi dell’unione, ma che di fatto molto spesso non viene applicato.

Nel caso specifico la Corte di Giustizia ha esaminato e deciso su un ricorso presentato da un gruppo di dipendenti di una grossa azienda operante nel Regno Unito con un’attività che richiedeva l’assegnazione di mansioni anche piuttosto diverse tra i dipendenti. Alcuni dei collaboratori dell’azienda, sia uomini che donne, hanno presentato nel 2018 un ricorso per discriminazione sostenendo che tra gli uomini e le donne non veniva rispettato il principio della pari retribuzione.  I lavoratori hanno lamentato che la società abbia violato sia le leggi nazionali che il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, e da quest’ultima violazione deriva la richiesta di intervento e di parere della Corte di Giustizia.

Contenuto del ricorso contro la violazione del principio della pari retribuzione

Nel caso presentato davanti alla Corte di Giustizia le donne dipendenti della società hanno sostenuto che in effetti le mansioni svolte all’interno dell’azienda dagli uomini e dalle donne che hanno lamentato la mancanza della pari retribuzione, non erano identiche. Facendo riferimento al testo del TFUE, però hanno desunto che in caso il lavoro derivi da una stessa fonte, cioè dalla stessa azienda vi sia comunque l’obbligo di applicare una pari retribuzione tutte le volte in cui il valore del lavoro svolto sia lo stesso. E questo indipendentemente dal fatto che la mansioni effettivamente svolte siano diverse tra loro, oppure che il lavoro sia fatto in reparti, o anche in strutture diverse.

Ha contestato questa tesi la parte chiamata in causa che ha escluso che il trattato potesse essere in questo caso applicato in modo diretto. L’obiezione era che si trattasse di una di quelle norme di contenuto generale, che richiedono di essere recepite e meglio specificate da ogni stato. Non quindi un’applicazione diretta, ma solo mediata dell’intervento del legislatore di ogni stato che ne definisca con precisione i contorni dando così al giudice gli strumenti per decidere con equità.

Cosa dice il TFUE a proposito di pari retribuzione

Di pari retribuzione tra uomo e donna il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea parla all’articolo 157 che stabilisce

ciascun Stato membro assicura l’applicazione del principio di parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. Per retribuzione si intende a norma di questo articolo, il salario o il trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo. La parità di retribuzione senza discriminazione fondata sul sesso comporta che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro a cottimo sia fissata in base alla stessa unità di misura e che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro.

Questo articolo ci dice innanzitutto che si deve guardare al valore delle mansioni svolte e dei risultati ottenuti offrendo pari retribuzione quando questi valori sono gli stessi indipendentemente dal fatto che il lavoratore sia una donna o un uomo. Di rilevo anche il fatto di precisare il modo in cui vada intesa la pari retribuzione. Non costituisce retribuzione solo la paga base, ma tutto quanto viene dato al lavoratore come controprestazione per il lavoro svolto.

Perché vi sia pari retribuzione tutto quanto riceve il lavoratore, deve essere inserito nel calcolo finale. Sia quanto viene consegnato in denaro, ma in Italia, non in contati perché la nostra legge richiede che i pagamenti siano tracciabili. Vanno valutati però anche i compensi fatti in natura, per esempio con sconti sui prodotti venduti dall’azienda, o in modo indiretto, con agevolazioni di vario tipo.

Eccezione alla pari retribuzione solo per garantire l’effettiva parità

Nell’ultima parte l’articolo 157 spiega in quali casi, al principio fondamentale della pari retribuzione, può essere derogato con legge da parte di ognuno degli stati dell’Unione Europea.

Allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità di trattamento tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali.

La norma fa riferimento a parità di trattamento, riferendosi quindi a qualcosa di più ampio rispetto alla pari retribuzione. Parla, inoltre di sesso sottorappresentato, sottintendendo che i vantaggi specifici possano essere diretti sia a uomini che a donne, a seconda di quale sia la categoria di soggetti esclusa dalla professione o dalla carriera su cui si vuol intervenire per ripristinare la parità. Infine, interventi di questo tipo sono riservati allo stato con una legge e non possono essere adottati in autonomia dalla singola azienda portandoli poi come giustificazione per spiegare una disparità di trattamento.

Parere della Corte di Giustizia sulla parità di retribuzione

La corte ha sostenuto che l’articolo 157 è applicabile anche nei rapporti tra privati in modo diretto, senza necessità che sia mediato da una legislazione locale. Ha inoltre sostenuto che vi sia inosservanza del principio della parità di retribuzione tra uomo e donna tutte le volte in cui un lavoro di pari valore non abbia pari retribuzione sia per gli uomini che per le donne.

La parità di retribuzione è un obbligo di risultato

La Corte di Giustizia Europea a proposito dell’articolo 157 afferma che si tratta di un articolo la cui formulazione lo rende una norma che impone un obbligo di risultato. Aggiunge che ha carattere imperativo e che lo è tanto per quanto riguarda uno stesso lavoro quanto con riferimento a un lavoro di pari valore.

Richiamando le proprie precedenti decisioni la corte aggiunge che l’articolo 157 produce effetti diretti creando, in capo ai singoli, diritti che i giudizi nazionali hanno il compito di tutelare, in particolare nel caso di discriminazioni che traggano direttamente origine da norme o da contratti collettivi di lavoro, nonché qualora il lavoro sia svolto nella stessa azienda o ufficio privato, o pubblico. Sarà il giudice, secondo la corte, l’organo investito del ruolo di valutare sia l’effettiva esistenza di una pari retribuzione, sia i casi in cui si parli di lavoro di pari valore.

Pari retribuzione solo se vi è un’unica fonte

La corte sottolinea che l’articolo 157 fa riferimento a un’unica fonte, intendendo con questo termine che il datore di lavoro sia lo stesso. Nel caso le differenze rilevate nella condizione retributiva di lavoratori che svolgono uno stesso lavoro o un lavoro di pari valore non possono essere ricondotte ad un’unica fonte, manca un soggetto che possa ristabilire la parità di trattamento, sicché una situazione di tal genere non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 157 TFUE. 

Nel caso i lavoratori, invece facciano riferimento a un’unica fonte, la corte sottolinea che non ha alcun rilievo il fatto che i lavoratori siano collocati in stabilimenti diversi. In questo caso il confronto tra il valore del lavoro è sempre possibile e di conseguenza è richiesta la pari retribuzione tra uomini e donne. La prima discriminante da tenere presente è sempre che chi paghi la retribuzione in cambio di prestazioni lavorative sia lo stesso soggetto.

Pari retribuzione e Costituzione italiana

Anche in Italia il legislatore si è preoccupato di introdurre il principio della pari retribuzione. Se ne è occupato già il costituente inserendo questo principio tra quelli che meritano di essere ospitati tra gli articoli della carta costituzionale. L’articolo 37 della Costituzione stabilisce che

la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

Nel corso degli anni, poi facendo seguito al disposto della Costituzione in Italia sono entrate in vigore delle norme con lo scopo di rendere effettiva la parità di retribuzione e di trattamento tra i lavoratori. Tra questi la legge 903 del 1977 che stabilisce che è vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, per quanto riguarda l’accesso al lavoro.

Nel 2010 con il decreto legislativo numero 5 si è ritenuto di ribadire il concetto, a riprova della difficoltà a mettere in pratica il disposto della Costituzione.  Nella norma si parla ancora di divieto di qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualsiasi sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della carriera professionale.