Comunione dei beni, ecco quali sono i diritti dell’altro coniuge sul tuo patrimonio

Che cosa è la comunione dei beni, quali diritti si acquisiscono sui beni dell'altro coniuge e quali si perdono sui propri.

È la comunione dei beni la scelta che viene fatta dalla maggior parte di coniugi. Anzi in realtà si tratta di una non scelta, perché molti non si pongono neppure il problema e si adeguano a quello che decide la legge per le coppie che non esprimono, al momento delle nozze, alcuna opinione. Ma quali sono i diritti del marito sui beni della moglie e viceversa?

In linea generale si potrebbe dire che chi decide di condividere la vita condivide anche i soldi e il patrimonio, ma in realtà le cose non stanno proprio in questi termini. Innanzitutto, perché non tutto ma solo quello che è acquistato in costanza di matrimonio diventa automaticamente di tutti e due. In secondo luogo, perché ci sono dei limiti alle operazioni che possono essere compute in autonomia, senza l’espresso consenso da parte dell’altro e questo indipendentemente da quale dei due lo abbia portato.

Che cosa è la comunione dei beni

La comunione dei beni è il regime legale previsto in Italia. Si tratta del modo in cui vengono gestiti i beni di chi sia sposato nell’ipotesi in cui non vi sia un accordo di natura diversa. Questo accordo è quello che prevede  la separazione dei beni conveniente per altre ragioni, e non necessita di particolari formalità, tanto che è sufficiente dichiararlo al momento della celebrazione del matrimonio, anche religioso.

L’articolo numero 177 del Codice Civile stabilisce che:

“Gli acquisti compiuti da uno o da entrambi i coniugi, i frutti e i proventi di attività prodotti in costanza di matrimonio e non ancora consumati al momento dello scioglimento e le aziende se gestite da entrambi e costituite dopo le nozze.”

Questo tipo di regime può essere in qualsiasi momento cambiato a favore della separazione, ma a tutela di entrambi le parti della coppia, ma anche dei terzi, non può essere derogato di fatto. La Corte di Cassazione con la sentenza numero 17175 del 2020 da deciso che per acquistare anche un solo bene in regime di separazione è necessario stipulare una convenzione alla quale sia data pubblicità.

Quest’ultima si considera attuata se ci sia un atto pubblico e se sia stata fatta un’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. Senza questi atti tornerà in vigore il regime iniziale e tutti i diritti previsti anche a favore dell’altro coniuge.

Anche con la comunione su quali beni non ha diritti l’altro coniuge

Il Codice Civile fa un elenco dei beni che entrano a far parte della comunione e su cui entrambi i coniugi hanno gli stessi diritti, indipendentemente da chi li abbia portati, e anche dalla capacità di contribuire all’incremento del patrimonio familiare. Ne discende che non tutto quello che appartiene al singolo entra in questo fondo, ma solo quello espressamente menzionato dalla legge.

Ne è escluso tutto quanto posseduto prima della celebrazione del matrimonio, anche se usato da entrambi, per esempio l’appartamento continua ad essere di proprietà esclusiva di chi lo ha comprato, anche se la coppia vi va a vivere in modo stabile trasferendo anche la residenza. Lo stesso vale per il conto corrente, o altri patrimoni immobiliari. Non invece per i proventi, per esempio il canone di locazione riscosso oppure gli interessi sui fondi investiti, che se percepiti in costanza di matrimonio diventano di entrambi.

Tra i beni acquistati prima di essere andati all’altare o anche dopo rimangono di proprietà esclusiva tutti quelli personali: per esempio abiti e oggetti di uso comune, e tutto quanto serve per l’esercizio della propria attività, per esempio gli attrezzi da lavoro di un manutentore. Gestiti in autonomia anche i beni ricevuti a titolo di successione, per risarcimento dei danni o a titolo di pensione per la perdita della capacità lavorativa.

Quali diritti esercita il singolo sui beni della comunione

In genere se durante la comunione c’è accordo non sorgono grossi problemi in merito all’esercizio dei diritti che spettano a ciascun coniuge. Le difficoltà si fanno vedere nelle ipotesi in cui ci siano delle discussioni e le iniziative di uno dei due non incontrino l’approvazione dell’altro. Sul presupposto che vi sia un progetto di vita comune e condiviso, il legislatore ha stabilito che la gestione ordinaria dei beni e dei capitali spetti ad entrambi disgiuntamente. Ognuno dei due in autonomia e senza chiedere una espressa autorizzazione all’altro può prelevare i soldi necessari alle spese ordinarie dal conto corrente, o incaricare un operaio per sistemare un tubo che perde.

Diversa invece è la gestione per quel che riguarda le spese straordinarie in quel caso il Codice Civile con l’articolo numero 180 dice che:

“Il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula di contratti con i quali si acquistano diritti di godimento spettano congiuntamente ad entrambi.”

Questo significa non solo che entrambi devono essere d’accordo, ma che devono dare in modo espresso il loro consenso. La Corte Costituzionale con la decisione numero 311 del 1988 ha sancito che contrariamente a quanto succede nella comunione ordinaria qui il consenso non è un atto unilaterale autorizzativo, ma una condizione essenziale per la validità dell’atto. Non basta dare una delega alla gestione del patrimonio, bisogna a tutela degli interessati e dei terzi approvare quello specifico atto, che altrimenti sarebbe nullo.

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