Niente assegno di divorzio alla ex “spendacciona”: cosa hanno deciso i giudici

Assegno di divorzio negato all'ex spendacciona. Lo ha confermato la Cassazione nella sentenza in cui ha chiarito le ragioni della sua decisione.

Sciogliere il vincolo matrimoniale non è una valida ragione per avanzare la pretesa di un assegno di divorzio di elevato importo. Infatti, come chiarito dalla Corte Civile, l’ex non può pretendere di ottenere una cifra considerevole se non possiede i requisiti previsti dalla legge. Peggio ancora se notoriamente “spendacciona”.

Assegno di divorzio negato all’ex spendacciona

Ha fatto discutere molto il caso di una donna che, dopo aver divorziato dal marito, continuava a percepire un assegno di divorzio dalla cifra considerevole. Il marito ha quindi deciso di appellarsi alla Corte di Appello di Roma sperando nella clemenza del giudice.

Dopo aver accolto l’appello dell’uomo mediante la sentenza numero 6068 del 2019, la Corte ha analizzato il caso nello specifico e ha stabilito che all’ex coniuge non spettava l’assegno divorzile. Vediamo il dettaglio della sentenza.

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Cos’è successo in fase di separazione

In fase di separazione le due parti, marito e moglie, avevano chiarito la loro posizione economica. Entrambi risultavano, infatti, indipendenti dal punto di vista economico. Inoltre avevano preso accordi consensuali per regolare i loro rapporti economici.

Nella sentenza di primo grado però la donna aveva deciso, avendo perso il posto di lavoro, di chiedere all’ex coniuge l’assegno di divorzio.

A questa richiesta la donna aveva presentato la documentazione in suo possesso comprensiva delle mail che aveva inviato per candidarsi a nuove offerte di lavoro. Candidature a cui però nessuna azienda aveva risposto per convocarla in sede di colloquio. Le e-mail però non venivano accettate come prova di ricerca attiva del lavoro. Approfoiamo il dettaglio del caso.

Perché il giudice non ha riconosciuto il diritto a percepire l’assegno di divorzio

Il giudice aveva evidenziato che, nella documentazione presentata, la donna non aveva presentato nessun documento valido in grado di certificare la ricerca attiva di una nuova occupazione lavorativa della stessa. Questo primo elemento metteva in dubbio se fosse giusto riconoscere il diritto a percepire l’assegno di divorzio.

Sono stati individuati, inoltre, altri elementi a suo sfavore. Nello specifico l’ex coniuge non era stato in grado di chiarire in che modo aveva provveduto a effettuare i seguenti pagamenti:

  1. 1.

    500 euro di affitto;

  2. 2.

    circa 368 euro di rimborso relativi a rate di finanziamento su base mensile;

  3. 3.

    mantenimento della vettura;

  4. 4.

    circa 500 euro di spese mensili per l’uso di una carta di credito;

  5. 5.

    oltre 5.000 euro annui di spese sanitarie.

Il giudice ha quindi chiarito che:

questi cinque elementi lasciano intendere che l’ex coniuge attinga a fonti non dichiarate che finora le hanno consentito di fronteggiare gli oneri in eccesso.

Inoltre, la Corte Distrettuale aveva rilevato un nuovo elemento a conferma dell’ipotesi. La Corte evidenziava l’assenza sia del deposito concernente l’accordo raggiunto in fase di licenziamento che i documenti del trattamento di fine rapporto. Sebbene entrambi fossero stati sollecitati in varie occasioni, ciò è stato ritenuto sufficiente a confermare la mancanza di lealtà processuale, quale dovere civico per entrambi i coniugi, a cui la donna si sarebbe sottratta.

Luana La Camera
Luana La Camera
SEO Copywriter, classe 1986.Vivo nella città di Cosenza, in Calabria. Laureata in Scienze Politiche presso l’Università della Calabria, sono appassionata di scrittura. A febbraio 2022 ho pubblicato “La Carta che non si ricicla” con la casa editrice 4 Punte Edizioni. Si tratta di un piccolo manuale dedicato ai principi fondamentali dello Stato italiano. Inoltre sono ideatrice del corso “Diritto costituzionale da zero” presente sulla piattaforma di Udemy. Collaboro con professionisti dell’ambito giuridico nella realizzazione di testi per siti web.
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