Godersi il RdC ai Caraibi? Ecco perché non conviene

Piacerebbe a tutti quelli che ricevono il reddito di cittadinanza goderselo su una spiaggia, senza il fastidio del centro per l'impiego che ci infastidisce con le sue offerte di lavoro e di formazione. Lo ha pensato una signora beccato dalla guardia di finanza che adesso dovrà pagare cara la sua voglia di libertà.

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A proposito del reddito di cittadinanza pensavamo di avere sentito di tutto. Ci mancava però la signora che dopo avere ottenuto il sussidio si è trasferita ai Caraibi a godersi la vita sulle spiagge assolate di qualche atollo. Salvo tornare in patria per chiedere il rinnovo e farsi pizzicare dalla Guardia di Finanza.

Diciamolo subito: non è una buona idea pensare di trasferirsi in qualche paradiso, magari con la scusa che lì fa sempre caldo e così si risparmia anche sul riscaldamento.

Le regole del reddito di cittadinanza, infatti, prevedono che si debbano avere alcuni requisiti primo fra tutti quello della residenza in Italia. Residenza che deve essere posseduta e deve essere effettiva, non solo sulla carta, sia al momento della richiesta che per tutto il periodo in cui si gode dell’assegno.

Seconda regola è che ci si deve rendere disponibili a lavorare. E pur ammettendo che soprattutto nel settore del turismo, magari ci sono più occasioni di lavoro ai Caraibi che in Italia, anche questo requisito non viene rispettato da chi si trovi stabilmente all’estero.

Che cosa è il reddito di cittadinanza

Si tratta di un provvedimento, introdotto   e voluto principalmente dal Governo guidato dai Cinque Stelle che ne hanno fatto la propria bandiera nel corso delle elezioni e che continuano a difenderlo strenuamente, nonostante i fatti di cronaca spesso lo rendano difficile da sostenere.

Lo scopo di questo sussidio come precisato nel Decreto Legislativo numero 4 del 2019 è quello di

combattere la povertà e  nello stesso tempo favorire l’occupazione o la rioccupazione per le categorie che a causa di disagio sociale congenito, o legato ad avvenimenti transitori si trovano in condizioni di povertà estrema.

Obiettivo del sussidio, che viene concesso sotto forma di un assegno mensile, per un periodo di diciotto mesi rinnovabile è quello di dare un po’ di respiro alla famiglia o al singolo in difficoltà, e nel frattempo offrirgli gli strumenti per ottenere un lavoro e rendersi autonomo.

Condizione per ottenerlo è tra gli altri quello d dare la propria disponibilità a cercare lavoro, ad accettare l’aiuto che  viene offerto in questo senso dagli esperti e inoltre quello di mettersi in gioco, per esempio partecipando a corsi di formazione, o aderendo a esperienze lavorative che non vengono pagate, come quelle della partecipazione ai lavori socialmente utili organizzati dal proprio comune.

Il reddito di cittadinanza è una politica per il lavoro

L’articolo 1 del dl 4 del 2019 precisa che

il reddito di cittadinanza è una politica attiva per il lavoro. Il suo obiettivo si raggiunge attraverso una serie di iniziative che hanno lo scopo prioritario di contrastare la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione dalla società. A questo scopo si propone di agire sulla cultura, sull’integrazione e sulla formazione.

Già questa premessa mette in luce che qui non stiamo parlando, almeno in teoria, di un sussidio fine a sé stesso: qualcuno riceve una somma di denaro e la spende come meglio ritiene.

Qui si parla anche di una serie di servizi accessori che sono legati all’assegno. Accessori, ma non facoltativi: a meno che ci siano specifiche ragioni per essere esonerati, l’obbligo a lavorare c’è per tutti.

Questi servizi evidentemente possono essere fruiti, e gli obblighi che ne conseguono possono essere onorati, solo da chi si trovi in Italia. Chi non lo fosse non potendo accedere a formazione, e attività di inserimento non dovrebbe neppure essere ammesso a presentare la domanda.

Per avere il reddito di cittadinanza bisogna presentare la DID

Non si tratta di una cosa di secondo piano il fatto che chi riceve il reddito di cittadinanza debba partecipare in modo attivo alle attività che dovrebbero essere proposte da chi lo assiste nella ricerca del lavoro.

La legge prevede tra le cause di revoca del beneficio proprio quella di non presentare la dichiarazione di Immediata disponibilità, oppure il non partecipare ai colloqui a cu è invitato del proprio centro per l’impiego.

Forse in questo la possibilità di fare il colloquio on line potrebbe aiutare a nascondere la propria posizione, ma in caso di chiamata per un lavoro le cose sarebbero difficili da giustificare.

Revoca anche per chi non accetta le offerte di lavoro che secondo le linee guida fissate per legge sono considerate congrue. Inoltre per chi, senza una ragione valida, si rifiuti di partecipare alle attività organizzate dal proprio comune sotto la categoria dei lavori utili.

È evidente che chi non viva in Italia, non potrà partecipare a nessuna di queste attività rendendo di fatto del tutto inutile una misura che ha lo scopo, non tanto di fare dell’assistenzialismo, quanto di rendere autonomo che si trovi in una condizione di povertà, magari sia economica che culturale.

I soldi del reddito di cittadinanza vanno spesi in Italia

C’è anche un altro elemento, che da solo dovrebbe escludere che reddito di cittadinanza e vita ai Caraibi siano compatibili. Si tratta delle regole che sono state fissate a proposito del modo in cui si può spendere la somma che ogni mese viene caricata sulla card. Limitazioni ci sono sia a proposito di che cosa acquistare, si del dove, che delle modalità di pagamento.

La legge ci dice che tranne una piccola somma, che mensilmente può essere prelevata in contanti per coprire le piccole spese, la quota restante deve essere utilizzata solo con sistemi di pagamento tracciabili. Inoltre in negozi tradizionali con sede in Italia, così da sostenere anche l’economia. 

Per avere il reddito di cittadinanza ci vuole la residenza

Ma andiamo oltre: è lo stesso legislatore a precisare in modo esplicito che chi ottiene il reddito di cittadinanza deve avere anche la residenza in Italia. All’articolo 2 il Dl 4 del 2019 ci dice che

chi chiede il beneficio al momento della domanda e per tutto il periodo in cui ne gode deve essere in possesso cumulativamente della cittadinanza italiana o di quella di un paese che fa parte dell’Unione Europea, oppure avere un permesso di soggiorno italiano o di uno dei paesi dell’unione, ce sia di lunga durata.

Oltre a questo deve aver risieduto in Italia per almeno dieci anni, gli ultimi due dei quali in modo continuativo. Si ribadisce poi, che mentre i due anni devono essere trascorsi alla data della domanda, la residenza deve essere mantenuta per tutto il periodo in cui si mantiene il sussidio.

Cosa significa residenza ai fini del reddito di cittadinanza

Per residenza il nostro ordinamento fa riferimento all’articolo 43 del codice civile dove viene definita come il luogo dove una persona ha la dimora abituale. Può essere diversa dal domicilio che è il luogo dove si hanno gli interessi principali. Quest’ultimo può essere il proprio luogo di lavoro.

La residenza è il posto nel quale siamo rintracciabili anche a fini fiscali, o legali, non è necessariamente un luogo fisico. Tanto è vero che per chi sia senza fissa dimora si parla di residenza fittizia, che è possibile ottenere dall’ufficio anagrafe del comune quando non si abbia un luogo che possa essere definito casa. 

Anche in quel caso, però deve in qualche modo essere dimostrare che si viva in Italia: appoggiandosi a strutture di assistenza o sotto un ponte. Diverso invece è il caso di chi viva stabilmente all’estero, neppure se formalmente non ha mai spostato la residenza dell’Italia.

Ricordiamo poi che esiste anche la possibilità che se nel corso di verifiche da parte degli ufficiali dell’anagrafe una persona non dovesse essere trovata, dopo ripetuti controlli, magari svolgendo anche indagini tra i vicini, o verificando se ci siano utenze di luce e gas attive, quella persona sia dichiarata irreperibile e essere cancellata dai registri comunali.

Mentire per avere il reddito di cittadinanza è un reato

Veniamo adesso a quali sono le conseguenze per chi finga di essere residente in Italia per intascare l’assegno mensile del reddito di cittadinanza. Le troviamo all’articolo 7 del dl 4 del 2019 che commina la sanzione da un minimo di due a un massimo di sei anni a tutti coloro che al fine di ottenere il sussidio facciano delle dichiarazioni false o presentino o falsifichino dei documenti.

Stessa sanzione, poi calibrata dal giudice a seconda dei casi, per chi ometta di rendere note informazioni di rilievo, o di comunicare cambiamenti successivi.

Al momento in cui si rilevi una di queste violazioni viene disposta immediatamente la revoca del beneficio. La revoca sarà retroattiva, cioè partirà non dal momento in cui si abbia avuto notizia dei fatti, e neppure da quello in cui si sono verificati, se sono successivi alla domanda, ma dal momento in cui la richiesta è stata accettata. Consegue che tutto quanto è stato ricevuto e anche speso dovrà essere restituito.

Quando mentire per avere il reddito di cittadinanza è truffa aggravata

La legge sul reddito di cittadinanza precisa che le sanzioni stabilite dalla stessa si applicano, salvo il caso in cui i fatti contestati costituiscano un reato più grave. In quella ipotesi ai applicheranno le sanzioni maggiori che prevede il codice penale.

Una delle ipotesi applicabili in questo caso, è quella della truffa aggravata ai danni dello stato. Si tratta di un reato previsto dall’articolo 640 del codice penale che

punisce il soggetto che ricorrendo ad artifici o raggiri, induce altri in errore, e grazie a quel comportamento procura a sé o ad altri soggetti un profitto che sia ingiusto. 

Si tratta di un reato piuttosto complesso perché prevede innanzitutto che per commetterlo si metta in piedi una qualche macchinazione, che sia diversa, per esempio dall’astenersi dal correggere l’errore in buona fede della vittima. Basta però essere consapevoli dello stato dei fatti ed approfittarne.

Serve poi che la vittima subisca un danno che sia considerato ingiusto. Nel caso di chi metta in atto comportamenti tali da frodare lo Stato la sanzione applicabile dal giudice sarà della reclusione compresa tra un minimo di due anni fino a massimo di cinque anni, e in aggiunta la multa da 309 a 1.549 euro. Rimane fermo l’obbligo di restituire il maltolto e eventualmente le sanzioni accessorie che vietano per un certo periodo di richiedere sussidi pubblici.