Separazione o comunione dei beni: quale conviene e perché

Quando conviene scegliere la separazione dei beni e quando la comunione, differenze tra regimi e pro e contro da valutare.

Forse nel momento in cui si sta per convolare alle nozze, con davanti agli occhi preventivi per ristoranti, fiori e abiti da sogno, il problema della gestione del patrimonio della coppia sembra qualcosa di tutt’altro che prioritario. Molti compiono l’errore di considerarlo come un dettaglio da poco conto, non tanto per superficialità, quanto perché convinti che i soldi non saranno mai oggetto di discussione in una coppia affiatata.

In realtà invece sarebbe opportuno porsi il problema già al momento in cui ci si appresta a sposarsi. Le scelte possibili sono due: 

  • la separazione dei beni;
  • la comunione dei beni.

Ogni regime patrimoniale ha effetti diversi dal punto di vista fiscale e della gestione familiare dei soldi, anche in caso di divorzio e separazione. Ecco pro e contro di ognuna e quale conviene!

Quando conviene la separazione dei beni

Facciamo subito una premessa. Scegliere per la separazione dei beni non è indice di mancanza di fiducia nei confronti dell’altro coniuge. Spesso si tratta di un modo per tutelarsi di fonte ad avvenimenti negativi che possono coinvolgere l’attività di uno solo dei due sposti. In altri casi è un modo, altrettanto legittimo, per usufruire di sovvenzioni o bonus (ad esempio per la prima casa).

Il caso più diffuso è quello in cui uno dei due abbia un’attività commerciale, aperta prima o dopo il matrimonio. Sappiamo che il nostro ordinamento prevede che per i debiti provenienti da un’attività si risponde con tutto il proprio patrimonio: sia quello aziendale che quello personale. Se le cose dovessero prendere una brutta piega, quindi, verrebbero intaccati, per far fronte ai debiti, anche i beni e i redditi dell’altro coniuge. Non lo sarebbero invece nel caso ci si trovasse in regime di separazione dei beni.

Altra ipotesi è quella in cui si vuole usufruire di bonus che viene concesso solo una volta a ogni proprietario. L’esempio più semplice sono tutti quelli rilasciati per l’acquisto o la ristrutturazione di immobili. In questo caso se, per esempio, la moglie ne ha già usufruito prima di convolare a nozze, non sarebbe possibile per lei farlo per un’altra casa dove i due andranno a vivere insieme, a meno che decida di vendere la precedente. Lo sarebbe, invece, in caso di divisone dei patrimoni.

Con la diffusione delle famiglie allargate, quelle, cioè dove a seguito di più matrimoni, o relazioni ci sono figli avuti con partener diversi potrebbe convenire questo regime anche a chi si sistemi con un coniuge che abbia già altri figli. In questo modo si ridurrebbero di molto le contestazioni e le discussioni in caso di morte di uno dei due per dividere l’eredità.

Leggi anche: Il contratto prematrimoniale è valido in Italia?

Quando conviene la comunione dei beni

La comunione rispetto alla separazione dei beni prevede che le due parti mettano in comune tutti i beni acquistati in costanza di matrimonio, salvo alcune eccezioni. Sottolineiamo subito la parola acquistati, perché tutto quanto posseduto prima di convolare a nozze continua a rimanere nella disponibilità di chi lo aveva.

Una scelta di questo tipo è certamente coerente con lo spirito che il nostro ordinamento dà alle nozze, cioè quello di attribuire ai due coniugi dei doveri anche dal punto di vista dell’assistenza di tipo economico all’altra parte. Conviene quindi nell’ipotesi in cui dal punto di vista reddituale vi sia una certa disparità tra i due. Il caso più comune è quello in cui uno dei due scelga di svolgere un’attività solo a tempo parziale oppure di lavorare solo in casa per accudire i figli e gestire la routine quotidiana. Evidente che con il regime di separazione non verrebbe riconosciuto a chi rimane a casa una parità effettiva.

Rimane sempre però la possibilità, per ragioni legate per esempio al rischio d’impresa, di scegliere l’altro regime ma contestualmente di garantire al coniuge più debole una partecipazione al reddito domestico ricorrendo a donazioni, assicurazoni sulla vita o altro.

Separazione o comunione: ecco quando si sceglie

Il nostro ordinamento, coerentemente col significato che ha attribuito al matrimonio – un contratto dal quale discendono una serie di obblighi e di doveri – prevede che il regime normale sia quello della comunione dei beni.

Non si tratta però di un obbligo, in nessun caso e indipendentemente dai rapporti di forza tra i patrimoni e la capacità di crearli dei due. Ricordiamo poi che qui si parla di proprietà e di gestione, non di diritto al mantenimento che è tutt’altra cosa e che non viene intaccato dal tipo di regime applicabile.

L’articolo 162 del codice civile dice che:

“La scelta del regime di separazione può essere fatta all’atto di celebrazione del matrimonio. Le convenzioni possono essere stipulate in qualsiasi tempo.”

In definitiva, le possibilità sono queste: chi decide per la comunione non deve fare nulla. Di fronte al silenzio dei due sposi il nostro ordinamento prevede che il regime applicabile sia questo in modo automatico. Diverso è il caso di chi opti per l’altra soluzione. In quel caso la possibilità è diversa, e anche con costi diversi. Nessun costo per chi scelga di dichiararlo nel corso della celebrazione. La dichiarazione verrà raccolta dal celebrante, sia che si tratti di un ufficiale di stato civile che di un sacerdote. Quest’ultimo dovrà annotare la scelta sull’atto di matrimonio.

Comunione e separazione: quando conviene farla dal notaio

Nel caso ci siano situazioni complesse che si preferisce regolamentare prima ancora di sposarsi è meglio farlo rivolgendosi a un notaio. In questo caso sarà necessario predisporre una convenzione che dovrà essere firmata davanti a due testimoni. Di questo atto sarà fatta registrazione sull’atto di matrimonio. Si tratta di un modo per rendere noto anche ai terzi su che cosa si potranno rivalere.

Possibile poi, decidere in ogni momento di cambiare il tipo di regime patrimoniale. In questo caso però entrambe le parti dovranno essere d’accordo. Escluso che solo uno dei due si rivolga al notaio senza neppure informare l’altro. Anche in questo caso dovranno essere presenti i testimoni e l’operazione sarà completata con l’annotazione sia sull’atto di matrimonio, che quando necessario sui registri immobiliari. Va precisato che questo atto non ha valore retroattivo.

Non essere retroattivo significa che un atto inizia a valere solo dal momento in cui si formalizza e che non può valere anche per tutto quanto avvenuto in date precedenti. Quindi decidere di cambiare regime non significa applicarlo dall’inizio del matrimonio, ma solo dal momento in cui si è passati dal notaio. Nulla toglie che in quell’occasione con un apposito accordo si scelga di dividersi i beni che sono stati acquisiti in regime di comunione.

Quali sono gli effetti della comunione 

Il nostro codice civile all’articolo numero 177 dice che:

“Sono oggetto della comunione gli acquisti compiuti assieme o separatamente dai coniugi, i frutti dei beni di proprietà individuale, i proventi delle attività dei singoli e le aziende gestite da entrambi se costituite dopo il matrimonio.”

La prima premessa da fare è che rientrano in questo regime solo gli acquisti, cioè quello entrato a far parte del patrimonio dopo che i due si siano sposati, tutto quanto è entrato in banca o nelle tasche in precedenza continua a essere gestito come se i due non avessero alcun rapporto.

Oltre a quelli sono esclusi i beni personali, cioè quelli che sono stati ricevuti in eredità o donazione, a meno che il testatore o il donante abbiano specificato che sarebbero andati anche all’altro coniuge. Inoltre i beni di uso strettamente personale e quelli ricevuti a titolo di risarcimento o pensione di invalidità.

In costanza di questo regime i due coniugi potranno agire in modo disgiunto sui beni che ne fanno parte. Potranno cioè svolgere senza avere il consenso esplicito dell’altro gli atti di ordinaria amministrazione. Ci riferiamo a quelli di tutti i giorni, per esempio far fare una piccola riparazione in casa, o prelevare soldi dal conto per fare la spesa o pagare le bollette.

Dovranno invece essere entrambi concordi per gli atti straordinari, per esempio la vendita del bene. Se non c’è accordo e quell’atto sia necessario per il benessere della famiglia sarà possibile rivolgersi a un giudice che conceda l’autorizzazione.

Effetti della separazione dei beni

Il nostro codice civile in una sola frase fornisce una definizione efficace e precisa di questo istituto. L’articolo 215 del codice civile dice che:

“I coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni che hanno acquisito nel corso del matrimonio.”

In sostanza i due dal punto di vista patrimoniale si comportano come se fossero degli estranei. Ognuno di loro ha delle entrate che continuano ad essere di sua proprietà e che può gestire in modo del tutto autonomo. Rimane ferma la possibilità di scegliere di gestirsi in modo diverso, per esempio dando all’altro la procura per la gestone di tutta o di una parte del patrimonio. Niente esclude poi che si possa scegliere di sottoporre a comunione solo alcuni beni, oppure di costituire un fondo patrimoniale.

In questa situazione i beni saranno protetti dall’aggressione dei creditori dell’altro coniuge, che non potranno in alcun modo rivalersi sugli stessi. Rimangono però intatti tutti i diritti che sono dati dalla legge ai coniugi, tra i quali quelli alla successione su quei beni, a seguito del decesso, oppure quelli ad avere la pensione di reversibilità. In caso di separazione o divorzio, pur con le valutazioni da fare caso per caso nessun diritto viene compromesso.

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