Latte, l’inflazione restringe le confezioni. Non i costi

L'inflazione si abbatte pesante sull'intera filiera alimentare, mettendo in ginocchio le imprese. E i consumatori scoprono le confezioni ridotte del latte.

L‘inflazione si abbatte pesante sull’intera filiera alimentare, mettendo in ginocchio le imprese. E i consumatori scoprono le confezioni ridotte del latte. A pesare sull’intero comparto sono i costi di produzione, che stanno continuando ad aumentare senza sosta, portando al collasso le imprese del comparto. Per contrastare in qualche modo questa inflazione, alcune multinazionali hanno deciso di attuare delle contromisure veramente pesanti: mantengono i prezzi invariati, ma riduco la quantità di prodotto venduto.

Stiamo assistendo a quella che viene comunemente battezzata come shrinkflation, che altro non che la crasi di shrink – ossia restringere – ed inflation – ossa inflazione -. Un comportamento che si traduce nel mantenere sempre uguale il prezzo della confezione, ma ridurre la quantità di prodotto che vi è contenuta. Uno degli esempi più classici è quello che riguarda il latte: quando andremo al supermercato ad acquistarlo, invece di trovare la confezione da un litro ne troveremo una più piccola. Ma che costerà sempre come quella da un litro. Stesso discorso nel caso in cui si dovesse andare a comprare un pacchetto di patatine: il prezzo finale sarà sempre lo stesso, ma le patatine contenute saranno di meno. Al consumatore sembrerà che non è cambiato niente, perché alla cassa dovrà pagare sempre la stessa cifra. Ma si starà portando a casa una confezione più piccola. Un sistema molto furbo (dal punto di vista del produttore, non di certo da quello del consumatore) per nascondere il costo dell’inflazione.

Inflazione, o paghi di più o bevi meno latte!

L’effetto dell’inflazione sul comparto agroalimentare si sta facendo sentire molto pesantemente. Aumentano i prezzi di produzione e, per il momento, i produttori sono spaventati dalle possibili conseguenze di un aumento dei prezzi dei prodotti finali, come latte, biscotti e pane. Si cerca, quindi, di mantenere i prezzi invariati, ma si riduce la quantità di prodotto contenuta all’interno delle confezioni. Questo significa che quando andremo a comprare una confezione di latte, pagheremo sempre quanto abbiamo pagato per un litro di latte, ma dentro ne troveremo di meno. In sostanza o si paga di più o si mangia di meno.

Ma proviamo a fare qualche esempio. Negli Stati Uniti, le confezioni di pasta sono rimaste le stesse, così come i prezzi. Ma il peso netto del prodotto all’interno è diminuito. Ricordiamo che la pasta viene prodotta con il grano tenero, del quale l’Ucraina è uno dei principali produttori al mondo. La Cadbury ha ridotto del 10% le dimensioni delle barrette di cioccolato Dairy Milk, ma il prezzo di vendita finale è rimasto invariato. A dire il vero, qualche anno – a causa dell’aumento del costo del cacao – furono rimpiccolite le barrette Toblerone: una mossa che fece scatenare l’ira di molti consumatori abituali. I grandi gruppi dell’agroalimentare stanno rispondendo all’inflazione con la shrinkflation: prezzi sempre uguali, ma prodotti ridimensionati nel peso e nella quantità.

Inflazione, su quali prodotti pesa di più!

A provvedere ad analizzare quali siano i prodotti sui quali l’inflazione sta pensando di più ci ha pensato la Coldiretti, che basandosi sulle rilevazioni dell’Istat, ha provveduto a stilare l’elenco dei prodotti che hanno subito il rincaro maggiore. Il rincaro più alto è stato registrato dall’olio di semi, il cui prezzo è lievitato del 23,3%, mentre più contenuto, anche se indubbiamente alto, è stato il prezzo dei gelati, che hanno visto crescere i prezzi del 6,2%. L’inflazione ha fatto lievitare, mediamente, i prezzi di cibi e bevande del 6,7%.

In vetta ci sono gli oli di semi, soprattutto quello di girasole – spiegano dalla Coldiretti – che risente del conflitto in Ucraina che è uno dei principali produttori e ha dovuto interrompere le spedizioni causa della guerra, mentre al secondo posto c’è la verdura fresca, con i prezzi in salita del 17,8%, di poco davanti al burro (+17,4%). Rincari a doppia cifra – continua Coldiretti – anche per la pasta (+13%) con la corsa agli acquisti nei supermercati per fare scorte, così come per frutti di mare (+10,8%) e farina (+10%). A seguire nella graduatoria degli aumenti, carne di pollo (+8,4%), frutta fresca (+8,1%), pesce fresco (+7,6%), con i gelati (+6,2%) a chiudere la top ten, dalla quale esce invece il pane, pur se in aumento del 5,8%.

Ecco la top ten degli aumenti dei prezzi, secondo la Coldiretti, su dati Istat di marzo 2022:

  • Olio di semi (girasole, mais, ecc.) +23,3%
  • Verdura fresca +17,8%
  • Burro +17,4%
  • Pasta +13%
  • Frutti di mare +10,8%
  • Farina +10%
  • Carne di pollo +8,4%
  • Frutta fresca +8,1%
  • Pesce fresco +7,6%
  • Pane +5,8%

Inflazione: tutta colpa del caro energia e della guerra

A pagare il dazio di questa pesante situazione sono le famiglie, che per colpa della guerra e del caro energia si ritrovano a pagare il latte e gli altri prodotti agroalimentari di più. Colpa dell’inflazione, colpa dei costi che quotidianamente aumentano, ma che non si ribaltano adeguatamente nelle tasche degli agricoltori e degli allevatori. Anche loro risultano essere delle vittime di quanto sta accadendo, non riuscendo più a coprire i costi di produzione.

Un’impresa su dieci è in una situazione così critica da arrivare alla cessazione dell’attività. Almeno il 30% delle aziende italiane, che operano nel settore agroalimentare, sono nella condizione di dover lavorare in perdita, per effetto dell’aumento dei costi di produzione.

Uno tsunami che si è abbattuto a valanga sulle aziende agricole con rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari che stanno mettendo in crisi i bilanci delle aziende agricole. Nelle campagne – spiega la Coldiretti – si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio con incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro in media ma con punte oltre 47mila euro per le stalle da latte e picchi fino a 99mila euro per gli allevamenti di polli, secondo lo studio del Crea.

Pierpaolo Molinengo
Pierpaolo Molinengo
Giornalista. Ho una laurea in Materie Letterarie, conseguita presso l'Università degli Studi di Torino. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin dal 2002, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, fisco, tasse e tributi, diritto, economia e finanza.
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