Pagare in contanti sarà sempre più difficile: ecco perché il limite del 2023 durerà poco

In molti vogliono pagare in contanti, ma in futuro sarà sempre più difficile. E infatti nel futuro il limite imposto dal 2023 cambierà. Ecco perché

Per decenni l’uso del contante non è mai stato visto come un problema per banche ed esercenti, e tantomeno per lo Stato.

Ma col rischio che tale contante possa finanziare attività illecite, o venire riciclato così da inquinare l’economia sana, dagli anni Novanta in poi i vari governi hanno limitato sempre di più l’utilizzo del contante, preferendo sistemi di pagamento tracciabili.

E nonostante l’inversione a U voluta dal Governo Meloni, sembra che dopo il 2023 inevitabilmente la musica cambierà per tutti coloro che vogliono pagare in contanti a tutti i costi.

Pagare in contanti sarà sempre più difficile: ecco perché il limite del 2023 durerà poco

Se nel 1991 il limite al contante era di 10.329 euro (all’epoca 20 milioni di lire), nel corso degli anni tale limite è stato ridotto o aumentato.

A parte la parentesi del Governo Prodi II, in cui venne abbassato il tetto a 5.000 euro, i Governi Berlusconi II e IV lo ha portato fino a 12.500 euro. Solo con la crisi del 2008 il tetto venne abbassato fino a 5.000 euro.

Dopo il 2008, il tetto non ha fatto che scendere sempre di più, fino ad arrivare a 1.000 euro rispettivamente nel 2011 e nel 2022.

Solo dal 2023 il Governo Meloni ha riportato il tetto a 5.000 euro, nonostante le varie critiche da parte dell’opposizione.

Ma è un limite che difficilmente durerà nel tempo.

Perché l’emissione del contante, così come la sua gestione e i controlli anti-truffa, hanno dei costi importanti.

Banca d’Italia segnala infatti un costo totale annuo del numerario di oltre 7 miliardi di euro, di cui ben 3,8 miliardi sostenuti dagli esercenti, cioè oltre il 50% dei costi di gestione del contante, e circa il 55% di tutto il sistema dei pagamenti in Italia.

E parliamo di un flusso il cui valore ammontava a 245 miliardi e 474 milioni nel 2021. Cifra in aumento rispetto al 2020 dell’8,9%, per quanto riguarda tutto il circolante, ossia banconote e monete detenuti dal pubblico.

Il problema del contante è anche di tipo “fiscale”. Pagando in contanti, verrebbe meno l’ancoraggio del pagamento ad uno scontrino fiscale, anche se quest’ultimo obbligatorio da metà anni Ottanta, e quindi diventerebbe più facile evitare la fatturazione e il pagamento delle imposte.

Per questo la stessa Banca d’Italia ritiene che il contante sia tra i fattori che contribuiscano all’elevata evasione fiscale presente in questo paese.

Se con questo innalzamento del contante ci sarà una recrudescenza dell’evasione fiscale, così come un aumento dei costi del numerario, il Governo Meloni riceverà diverse critiche non solo da parte di Banca d’Italia, ma anche dall’Unione Europea.

Infatti il Governo Meloni dovrà tornare su questa strada, perché Unione Europea e Banca d’Italia da anni vogliono limitare il più possibile il contante. Anche se il tetto al contante internazionale imposto dalla UE sia a 10.000 euro, è indubbio che l’UE provvederà a farlo scendere ancora di più nell’immediato futuro.

Pagare in contanti o con la carta: ecco quale sarà il futuro

Da più d’un decennio pagare con la carta è diventato sempre più facile, anche se il costo medio unitario è superiore al contante.

E non a caso: per quanto possa costare avere un canone mensile o annuo per i servizi della carta, nel lungo periodo conviene.

Sebbene il costo unitario del contante si aggiri in media sui 0,35 euro, contro quello delle carte di debito (0,60 euro) e di credito (1,58 euro), il denaro rimane il pagamento più oneroso per via delle numerosissime transazioni. Infatti il costo per abitante è di 122,53 euro all’anno, rispetto ai 18,09 euro delle carte di debito.

Anche per ridurre il costo statale del contante, e rendere difficile qualsiasi operazione di riciclaggio, negli anni i vari Governi hanno puntato molto sull’uso di pagamenti elettronici.

Ricordiamo ad esempio quelli degli ultimi tre anni, dal Governo Conte a quello Draghi:

  • credito d’imposta del 30% sui costi legati ai pagamenti elettronici;

  • cashback e super-cahsback del 10% per i pagamenti elettronici (esclusi gli acquisti online);

  • Lotteria degli scontrini” per chi paga o accetta pagamenti cashless.

A queste si aggiungono anche le normative sull’obbligo del POS, con tanto di regime sanzioniatorio per chi si rifiuta di accettare pagamenti elettronici e/o digitali tramite POS.

Tutto questo non solo porterebbe ad un risparmio annuo sempre più crescente, anche più dei già registrati 500 milioni d’euro, ma garantirebbe maggior sicurezza da parte di consumatori ed esercenti, in termini di furto, smarrimento e deterioramento.

Leggi anche: Meglio pagare a rate o subito in contanti? Ecco cosa conviene per gli acquisti

Cosa succederà quando non ci saranno più i contanti

Ad oggi, stando allo SPACE 2022, studio annuale della Banca Centrale Europea sulle abitudini di pagamento, l’Italia si conferma in Europa:

  • quarta nazione per numero di pagamenti in questa forma (69%);

  • ottava nazione per valore delle transazioni (49%).

Ma nel futuro il contante diventerà un lontano ricordo, perché la carta e i pagamenti via smartphone diventeranno la norma, o addirittura un vero e proprio costume se si pensa alle nuove generazioni.

Il problema di fondo sarà il costo di commissione per la transizione, così come il mantenimento del POS, ma è indubbio che il sistema bancario, con una clientela sempre più estesa, potrà provvedere a ridurre il più possibile i costi.

Solo per il POS ggi la spesa media è di 22,82 euro contro i 61,74 del 2017. E le stesse commissioni sono scese del 30-40% negli ultimi 10 anni, andando a favore soprattutto dei piccoli esercenti.

Leggi anche: Pagamenti tracciabili: quali sono e a cosa fare attenzione

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