L’associazione è inevitabile: il fallimento della banca americana, Silicon Valley Bank, ha richiamato immediatamente quello di un altro (e ben più celebre) istituto di credito, Lehman Brothers, che nel 2008 ha innescato una delle più gravi crisi finanziarie della storia e ha disintegrato il mantra del “too big to fail”, aprendo di fatto una crisi globale e di sistema.
Premesso che il caso Silicon Valley Bank ha caratteristiche proprie, non paragonabili a situazioni precedenti, come ha sottolineato il direttore generale Abi Giovanni Sabatini, tuttavia il suo fallimento non è però un evento che si può minimizzare, perché rappresenta un allarme che riguarda tutti all’interno del sistema finanziario: il sistema bancario, la vigilanza, le banche centrali, le agenzie di rating, gli intermediari che operano sui mercati e gli investitori.
E’ evidente che sono stati commessi degli errori, sia nella gestione della banca sia nei mancati interventi della vigilanza, come ha sottolineato il Wall Street Journal in un editoriale dove si evidenzia senza mezzi termini “la spiacevole verità che Washington non ammetterà mai”, ovvero gli errori della politica monetaria e regolatoria e le responsabilità della FED e delle autorità americane.
Ne emerge lo sviluppo di un ecosistema in cui il fallimento di una banca non solo è possibile ma diventa probabile. Non a caso, dopo il fallimento di Svb è arrivato quello di Signature Bank che ha creato tensione su altri istituti bancari regionali americani, primo fra gli altri First Republic Bank. Il fatto che SVB non sia un semplice caso isolato ma il primo campanello d’allarme sulla solidità dell’intero sistema a livello globale diventa ogni giorno più evidente. E anche Piazza Affari, come le altre borse europee, sta pagando un ritorno all’incertezza che diventa globale nonostante sia partito da una banca locale negli Stati Uniti.