Cedolare secca, cosa cambia per l’inquilino e quali sono i pro e contro

Se il locatore decide di introdurre nel contratto d'affitto la cedolare secca, molte cose cambieranno per l'inquilino.

Quando si va in affitto il contratto di locazione diventa un obbligo necessario sia per il proprietario sia per l’inquilino: entrambi saranno obbligati a pagare rispettivamente tasse e canone, ed entrambi saranno tutelati sulla propria posizione.

Addirittura, sul piano fiscale e contrattuale, l’Agenzia delle Entrate ha reso disponibile da diversi anni una formula innovativa, la cosiddetta cedolare secca.

Se per il proprietario è vantaggiosa, almeno sul piano fiscale, per l’inquilino può garantirgli vantaggi e svantaggi al tempo stesso.

Cedolare secca, cosa cambia per l’inquilino

Per “cedolare secca” si intende un regime di tassazione facoltativo, disponibile dal 2011 come imposta sostitutiva all’IRPEF. Riguarda solamente i contratti di affitto ad uso abitativo, anche se fino al 2019 era utilizzabile anche per immobili ad uso commerciale.

La cedolare secca prevede due diverse aliquote, del 10 e del 21 per cento, applicate a diverse tipologie di contratti di locazione:

  • il 10% se il contratto è a canone concordato;

  • il 21% se il contratto è a canone libero.

Per il proprietario la cedolare secca è un grosso vantaggio, perché paga meno imposte grazie a questa “flat tax” sui redditi derivanti dall’affitto di un proprio immobile.

Per l’inquilino non cambia molto, perché non è obbligato al pagamento delle imposte sull’affitto. Avere a carico un affitto significa però beneficiare di una riduzione del reddito imponibile a fini fiscali, così come di un calcolo dell’ISEE più favorevole.

Semmai l’utilizzo della cedolare secca, rispetto ad altri regimi di tassazione, può garantire diversi vantaggi per l’inquilino, ma anche alcuni svantaggi, anche se questi ultimi dipendono per lo più dal locatore con cui si va a trattare.

Cedolare secca, quali sono i pro e contro

Il principale vantaggio della cedolare secca per l’inquilino è nel blocco degli aumenti. Se si richiede questo regime di tassazione, il canone di locazione rimarrà invariato per tutta la durata del contratto, anche nel caso di eventuale proroga e di adeguamento alla variazione ISTAT.

Non è un grosso vantaggio per il proprietario, perché dovrà accollarsi eventuali oneri dovuti ai rincari, come quelli odierni dovuti all’iper-inflazione. Rincari che avrebbe potuto compensare con un aumento del canone d’affitto se sottoposto a tassazione IRPEF.

Di contro, sia il proprietario sia l’inquilino beneficerebbero di un interessante risparmio: con la cedolare secca non si dovrà pagare né l’imposta di registro né quella di bollo, di solito distribuite al 50% tra proprietario e inquilino.

Si parla di una spesa da calcolare sul 2% del canone annuo moltiplicato per il numero delle annualità, più i bolli da 16 euro ogni 4 facciate oppure ogni 100 righe di contratto.

Uno svantaggio per l’inquilino sarebbe nel caso in cui lui subentrasse in qualità di nuda proprietà. Il regime di cedolare secca è limitato solo alle persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento.

In poche parole è limitato agli usufruttuari, anche perché la cedolare secca configura un’alternativa facoltativa alla tassazione dei redditi fondiari, pertanto solo gli usufruttuari possono beneficiare del regime fiscale, non quelli in nuda proprietà.

Mentre uno svantaggio per il solo proprietario è nel caso di utilizzo di bonus edilizi, come l’Ecobonus.

Qualora volesse cedere i bonus alle banche e si ritrovasse impossibilitato, per ottenere delle detrazioni fiscali da questi bonus il proprietario dovrebbe aumentare l’IRPEF. Essendo escluse le classiche aliquote IRPEF dal regime della cedolare secca, il proprietario non potrebbe ottenere alcun benefit.

La scelta della cedolare secca e la rinuncia ad aumentare il canone di locazione devono essere comunicate dal proprietario all’inquilino tramite raccomandata.

Leggi anche: Qual è il contratto di affitto più conveniente per inquilino e proprietario

Cedolare secca e IMU, quando è previsto l’obbligo

Il proprietario dell’immobile in affitto è tenuto a pagare sia le imposte sotto cedolare secca sia l’Imposta Municipale Unica.

Ricordiamo invece che l’unico obbligo fiscale per l’inquilino è solo quello della TARI, qualora la durata del contratto sia superiore a 3 mesi.

Un vantaggio della cedolare secca nel pagamento dell’IMU proviene dalle aliquote locali.

È possibile richiedere uno sgravio minimo del 75%, più diverse riduzioni dell’aliquota locali, ma questo non dipende dalla normativa nazionale, ma dalle disposizioni locali. Per questo bisogna verificare Comune per Comune.

Per ottimizzare al meglio il risparmio consigliamo di sottoscrivere il contratto di locazione con canone concordato. Invece di pagare il 21% delle imposte, si potrà arrivare al 10%. Ma questo dipende dal Comune in cui si trova l’abitazione.

In genere si può sottoscrivere il contratto nei Comuni con carenze di disponibilità abitative, come i capoluoghi di Regione o nei comuni capoluogo di Provincia, oppure nei comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Cipe.

Come l’IMU, l’acconto dovuto deve essere pagato:

  • in un’unica soluzione, entro il 30 novembre, se l’importo è inferiore a 257,52 euro;

  • in due rate, se l’importo dovuto è superiore a 257,52 euro.

A differenza dell’IMU, la prima rata corrisponde al 40% della quota complessiva, e dovrà essere versata entro il 30 giugno. La seconda, invece, corrisponde al restante 60%, e dovrà essere versata entro il 30 novembre.

Leggi anche: La cedolare secca è sempre conveniente? In alcuni casi no: ecco quando non conviene

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