Al via i controlli Irpef sul conto corrente dei dipendenti

Anche i lavoratori dipendenti possono essere sottoposti ad un controllo del conto corrente e subire un eventuale accertamento Irpef.

Anche i lavoratori dipendenti possono essere sottoposti ad un controllo del conto corrente e subire un eventuale accertamento Irpef. Non è necessario essere dei titolari di un reddito d’impresa o esercitare la libera professione. Ad intervenire su questo delicato argomento ci ha pensato la Corte di Cassazione, attraverso l’ordinanza 10187 del 30 marzo 2022.

Il conto corrente può finire in qualsiasi momento sotto la lente d’ingrandimento del fisco. Le indagini, che generalmente coinvolgono i contribuenti, possono prendere di mira anche i lavoratori dipendenti: la legge presume che possano evadere le tasse tutti i cittadini italiani, indipendentemente dall’attività che svolgono. Anche se non sono titolari di redditi d’impresa. A finire particolarmente sotto la lente d’ingrandimento sono gli eventuali versamenti effettuati sul conto corrente, che potrebbero portare il contribuente a pagare più Irpef.

Spetterà al contribuente stesso dimostrare di essere estraneo ad eventuali operazioni, che possono essere ricondotte all’attività di impresa o professionale. Il giudice provvederà a verificare che le prove portate dall’imputato siano sufficienti a dimostrare questa presunzione.

Controlli Irpef sul conto corrente

Tirando le somme, questo significa che qualsiasi contribuente potrà vedersi fotografato ed analizzato il proprio conto corrente. Ma questo un po’ tutti lo sapevano. Adesso dovranno stare attenti anche i lavoratori dipendenti. Cerchiamo di scoprire nel dettaglio cosa sia accaduto e da quale vicenda deriva la decisione contenuta nell’ordinanza n. 10187 del 30 marzo 2022 della Corte di Cassazione.

La vicenda è partita nel momento in cui l’Agenzia delle Entrate provvedeva ad emettere un avviso di accertamento ai fini Irpef, il quale conteneva un maggior reddito imponibile. Gli ispettori del fisco avevano determinato questo maggiore reddito a seguito di alcune indagini finanziarie, che erano state condotte sul conto corrente di un contribuente. A dire il vero a finire sotto la lente d’ingrandimento sono stati più di un rapporto bancario, che lo stesso aveva in essere.

Il contribuente aveva quindi deciso di opporre ricorso, arrivando fino in CTR. In questa occasione i giudici avevano accolto l’appello e avevano deciso di annullare l’avviso di accertamento: avevano ritenuto che la presunzione legale di disponibilità di maggior reddito – così come era desumibile dal conto corrente – non dovesse operare nei confronti dei lavoratori dipendenti. Veniva quindi a decadere l’accertamento Irpef.

Purtroppo per il contribuente, l’Ufficio finanziario decise di proporre ricorso in Cassazione. Gli ispettori del fisco ritenevano che ci fosse violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973. La ricorrente riteneva che la CTR avesse palesemente errato nel ritenere che per i lavoratori dipendenti non dovesse operare la cosiddetta presunzione legale, che veniva posta dall’articolo 32. Purtroppo per il contribuente la Cassazione ha deciso di accogliere il ricorso, riaprendo la porta all’accertamento Irpef.

Conto corrente, quando arrivano gli accertamenti

Il nocciolo del contendere, sostanzialmente, ruota intorno agli accertamenti che possono essere effettuati sul conto corrente del contribuente. Soprattutto quando l’accertamento bancario viene effettuato sulla ricostruzione delle movimentazioni finanziarie, che non sono state giustificate dal titolare del rapporto bancario. La Corte di Cassazione ha voluto ribadire il principio per il quale l’esame ed il controllo del conto corrente non avviene unicamente per quanti stiano esercitando l’attività d’impresa commerciale o professionale, ma

si estende alla generalità dei contribuenti, come è reso palese dal richiamo, operato dal citato art.32, anche all’art. 38 del medesimo d.P.R., riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche (attinente ad ogni tipologia di reddito di cui esse siano titolari)”. In effetti il co. 1, n. 2 del citato art.32 prevede che i dati, notizie e informazioni acquisite nell’ambito delle indagini finanziarie “sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

Questo significa che, anche nei confronti del lavoratore dipendente, è possibile presumere che possano esistere dei movimenti rilevanti in entrata sul conto corrente, che non trovano un’adeguata giustificazione secondo i termini che sono stabiliti dalla normativa. Ma che, soprattutto, possono essere qualificati, in qualsiasi momento, come ricavi rilevanti ai fini dell’Iva e dell’Irpef. Considerando che ci troviamo davanti ad una vera e propria presunzione legale iuris tantum, spetterà direttamente al contribuente, che ha subito l’accertamento, offrire la prova che i movimenti effettuati sul conto corrente trovano riscontro all’interno della dichiarazione dei redditi. O che le registrazioni effettuate sempre sui suddetti rapporti bancari non siano operazioni imponibili.

Accertamenti fiscali, cosa deve dimostrare il contribuente

Nel momento in cui il contribuente riceva dei soldi a qualsiasi titolo, dovrà essere in grado di dimostrarne la provenienza. Per riuscire in questo scopo non dovrà limitarsi a fornire una prova generica, ma sarà necessaria una prova analitica, nella quale venga indicata la riferibilità di ogni singolo versamento effettuato sul conto corrente. Dovrà, quindi, riuscire a dimostra che le singole operazioni sia estranee da fatti imponibili e che non debbano essere sottoposte all’Irpef o all’Iva.

Sarà poi responsabilità del giudice verificare le prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata,

rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale. (Così Cass. n. 22089/2018).

Pierpaolo Molinengo
Pierpaolo Molinengo
Giornalista. Ho una laurea in Materie Letterarie, conseguita presso l'Università degli Studi di Torino. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin dal 2002, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, fisco, tasse e tributi, diritto, economia e finanza.
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