Paradisi fiscali, giro di vite per i trasgressori e sanzioni

Da sempre la vita offshore ha permesso a imprenditori e persone abbienti di ridurre l’imposizione fiscale in alcuni paesi, come l’Italia, piuttosto gravosa. In alcuni casi, poter usufruire di alcuni escamotage ha permesso la sopravvivenza stessa dell’azienda; in tanti altri però, aggirare fisco e Stato, grazie ai paradisi fiscali, è diventato un modus vivendi, tale da arrivare a camuffare operazioni al limite del legale).

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Quella che si prospetta è l’inclusione in automatico, di numerosi paesi nei cosiddetti paradisi fiscali. Il giro di vite renderà più difficile la vita agli imprenditori? Quali saranno le conseguenze per i paesi trasgressori, ora evasori alla luce del sole? Per quanto riguarda le sanzioni, cosa è stato previsto? 

Vediamo nel dettaglio cosa sta accadendo in questi giorni al Parlamento Europeo, per quanto riguarda la fiscalità internazionale e una nuova lista 2.0 dei paradisi fiscali in Europa e nel mondo.

Come cambia la blacklist dei paradisi fiscali

Stiamo assistendo alla richiesta di una svolta, da parte del Parlamento Europeo, in materia di fiscalità a livello mondiale: l’obiettivo è “stanare” quanti più paradisi fiscali possibile. Più trasparenza, maggiore severità nei criteri di controllo e sì, l’ipotesi di un’inclusione in automatico nella lista nera dei paradisi fiscali, se il paese non risulta compliant con le nuove normative. 

Il testo per riformare la blacklist è già stato approvato dai parlamentari europei, in seduta plenaria la scorsa settimana: 587 voti a favore, 50 contro, con la presenza di 46 astenuti.

Un provvedimento atteso, perché l’elenco dei paesi con il bollino di paradiso fiscale in vigore fino a quel momento, sembra che sia risultato alquanto inutile. Dal 2017, data in cui si stilò la prima lista in materia, fanno parte dei cosiddetti paradisi fiscali solo quei paesi che comportano una perdita, a livello di gettito fiscale mondiale, che si aggira intorno al 2%.

Va considerato invece che la stima delle risorse nascoste, nei paesi cosiddetti paradisiaci dal punto di vista fiscale, si aggira tra i 21 mila e i 36 mila miliardi di dollari: viene da chiedersi allora come sia possibile questa così palese sproporzione.

La prima stilata, come appena sottolineato, risale al 2017, anno in cui si individuarono quei paesi ormai famigerati da questo punto di vista. Ma si tratta di una lista che fin da subito ha mostrato pesanti gap in confronto alla realtà e gravi criticità.

Innanzitutto per la presenza di una grande zona grigia, accanto a quella nera, sulla mappa geografica mondiale dell’evasione fiscale. Rientravano infatti nell’area di colore grigio tutti quei paesi, tra cui anche quelli dell’ Europa che, per motivi reputazionali, non volevano nel modo più assoluto sentir parlare di un’eventuale inclusione nel girone infernale dei cosiddetti paradisi fiscali.

Eppure è sempre stato noto come Inghilterra, Malta o Irlanda in realtà siano ben inclini a questo tipo di pratica. 

Considerando quindi che è sotto gli occhi di tutti tale prassi e che tanti paesi presentano un’aliquota fiscale vicina allo zero, il legislatore ha deciso di intervenire, proponendo criteri più restrittivi, in grado di includere -in automatico nella blacklist- il paese interessato.

Inserire un paese in automatico nella lista dei paradisi fiscali significa innanzitutto cercare di rimettere in equilibrio una situazione che invece mostra evidenti errori di valutazione. 

Basti pensare ad esempio che le Isole Cayman sono uscite dall’elenco, pur avendo un’aliquota fiscale pressoché vicina allo 0%! Motivo per cui i parlamentari europei ora spingono per una revisione drastica e per criteri più severi sia per l’inclusione che per l’uscita dalla lista.

Isole Cayman fuori dall’elenco dei paradisi fiscali: perché?

Se il primo punto all’ordine del giorno ha riguardato la possibile inclusione di tanti paesi solo formalmente corretti, il secondo punto in agenda concerne invece l’esclusione troppo repentina di alcuni paesi, come le Cayman appunto, che come tanti altri presentano una pressione fiscale in pratica inesistente.

Per quale motivo è possibile che addirittura esca dall’elenco “nero”, permettendo quindi di fungere da vera e propria calamita per le società offshore, alla luce del sole?

Ebbene, il mistero è presto svelato. Allo stato attuale delle cose, è sufficiente una “tiratina d’orecchie” per spingere i paesi col dito puntato contro a introdurre un minimo di cambiamento. Con qualche ritocchino superficiale e assolutamente innocuo, possono però mostrare al mondo intero di aver avviato “la riforma”, mettendo in atto nuove misure fiscali che però alla fine dei conti si rivelano talmente blande quanto ininfluenti.

Alla stregua delle Isole Cayman, ci sono anche le Bahamas, Guernsey, insomma paesi che ormai sono entrati nell’immaginario collettivo come paradisi fiscali e che invece gli Stati Membri hanno formalmente escluso, apprezzando per così dire “i buoni propositi”. In realtà in maniera alquanto evidente hanno solo aggirato con sapienza l’ostacolo, mantenendo però inalterato e in sostanza identico il core del loro sistema fiscale.

Questione parallela e complementare riguarda a questo punto il metro di giudizio da impiegare. Ciò per cui si sta lavorando ai vertici riguarda in particolare il criterio di screening da adottare che, si auspica, debba risultare ovviamente equo per tutti i paesi in gioco.

Qual è l’unico strumento che in questo senso potrebbe smuovere le acque e modificare lo status quo? Solo un processo di valutazione formalizzato e che diventi vincolante dal punto di vista giuridico.

Paradisi fiscali: la situazione attuale

Allo stato attuale delle cose, i paesi inseriti nell’elenco dei cosiddetti paradisi fiscali sono 12:

• Samoa americane

• Anguilla

• Barbados

• Fiji

• Guam

• Palau

• Panama

• Samoa

• Seychelles

• Trinidad e Tobago

• Isole Vergini americane

• Vanuatu

Va da sé che allora la lista al vaglio si allunga inevitabilmente!

Basti pensare anche agli Stati Uniti, Svizzera, Monaco, Andorra, Olanda, Nuova Zelanda, la Polinesia francese, le Filippine, Hong Kong e ovviamente gli Emirati Arabi Uniti. E via di seguito, la lista non si esaurisce qui.

Alla luce di queste considerazioni, è ben evidente che la realtà si discosta in modo pesante dal riduttivo elenco attualmente in vigore, dal momento che è noto come alcuni stati rappresentino davvero un luogo idilliaco per investitori e imprenditori di ogni provenienza. Prendiamo ad esempio, come già evidenziato, la Svizzera, già dagli anni ‘30 denominata il rifugio dei rifugi, ben schermata sotto l’ombrello della sua neutralità. Oppure a Beirut ora sorpassato da Dubai, che attrae sempre più facoltosi russi nonché finanzieri islamici di spicco, e ancora il Lussemburgo e i Paesi Bassi.

Paesi Ue responsabili del 36% dell’evasione mondiale: i nuovi criteri per l’inclusione

Nell’occhio del mirino ci sono anche i paesi europei. Si cerca infatti di scovare quali siano i paradisi fiscali in Europa, dal momento che determinano, allo stato attuale delle cose, il 36% dell’evasione fiscale a livello mondiale. È ben probabile dunque che abbiano bisogno di un controllo più ravvicinato e con mezzi maggiormente in grado di metterli sotto pressione.

Per far sì che si possa prendere in considerazione il maggior numero di paesi possibile, oltre dunque a quelli “classici” e notoriamente poco onesti, il Parlamento Ue ha approvato la modifica del sistema fino ad ora adottato e attualmente in vigore.

La ratio preme per un metro di valutazione più trasparente, imparziale e coerente, in particolar modo. Come già evidenziato infatti non è possibile escludere dalla blacklist paesi che modificano solo da un punto di vista formale il loro sistema di pressione fiscale sui cittadini.

D'altra parte non è neppure possibile includere nella lista nera paesi responsabili “solo” del 2% degli ammanchi -nel flusso monetario derivante dal pagamento delle tasse- mentre i paesi europei di per sé arrivano già al 36%. Molto probabilmente, analizzando le giuste metriche, potrebbe essere possibile individuare nuovi criteri in grado di far venire allo scoperto quelli che, alla fine dei conti, sono veri e propri paradisi fiscali, anche se mai dichiarati tali.

Un sistema che oggi, visto sotto questa nuova luce, appare dunque, per stessa definizione delle parti in gioco, confuso e inefficace o che a ogni modo si è dimostrato non altezza del suo potenziale.

Un paese che permette l’attività imprenditoriale senza neppure prevedere le imposte sugli utili è un paese che eroga i suoi servizi in maniera gratuita a questi cittadini, vessando invece altre fasce della popolazione per trovare gli introiti. Senza una tassazione congrua, non è possibile garantirsi un gettito fiscale costante, né mantenere efficaci i servizi o tantomeno poter accrescere la ricchezza e il benessere generale. 

Paesi a rischio blacklist: quali sanzioni?

Un paese che non rispetterà dunque i nuovi parametri di conformità alla normativa fiscale, risultando di fatto un paradiso fiscale per super ricchi, rischierà di entrare a far parte della blacklist. Viene da chiedersi allora: cosa rischia chi opera su questi territori? Quali sono le pesanti sanzioni in cui potrebbero dover incorrere imprenditori e governanti? 

Ebbene, nonostante il lavoro svolto dal Parlamento Europeo a tal riguardo, non c’è stato alcun tipo di accenno alle eventuali sanzioni per i trasgressori

Nel 2017, una parte della discussione virò proprio sulle misure quantomeno deterrenti da mettere in atto per arginare questo malcostume dilagante. Così però non è stato nell’ultima seduta 2021 del Parlamento Europeo, ovviamente lasciando la questione delle sanzioni per i paradisi fiscali nella nebbia e con tanti punti interrogativi ancora in attesa di risposta.