Chi ha paura della riforma del catasto? Scuse su Isee e Imu

In questi giorni ci siamo dovuti soffermare sulla riforma del catasto e sulle inevitabili ricadute che avrà sulle aliquote Imu e sull'Isee. Ma di cosa ci dobbiamo preoccupare in realtà? Scopriamolo insieme!

Image

In questi giorni ci siamo dovuti soffermare sulla riforma del catasto e sulle inevitabili ricadute che avrà sulle aliquote Imu e sull'Isee. Da più parti si è fatto osservare come potrebbero esserci delle ripercussioni immediate per le tasche dei contribuenti. E questo è innegabile: nel momento in cui si dovessero aggiornate ai valori di mercati quelli contenuti nel catasto, i contribuenti dovranno scontrarsi con costi dell'Imu diversi e un Isee destinata a lievitare, con le ripercussioni dirette sulle varie agevolazioni fiscali, che molte famiglie continuano ad usufruire regolarmente (ho provveduto ad analizzare tutto questo nell'articolo dal titolo: Riforma catasto: cosa cambia per Imu, Isee e successione).

Ma a questo punto dobbiamo porci un'ulteriore domanda. Devono temere la riforma del catasto solo i contribuenti in odore di un'aliquota Imu più alta e di un aggiornamento dell'Isee con dati meno favorevoli? O dietro a queste mille polemiche contro una riforma, che il tempo ha reso necessario, c'è dell'altro? Rendere più aderente alla realtà l'anagrafe degli immobili italiani, fondamentalmente è il primo passo per creare un fisco più equo. Sì, sì, non neghiamo il fatto che molte persone alla fine ci rimetteranno, perché dovranno pagare di più. Ma chi deve temere maggiormente la riforma del catasto?

Riforma del catasto, quando l'Isee e l'Imu sono solo delle scuse!

A volte ci si sofferma a guardare solo la superficie e non si approfondiscono bene le cose. Per il momento l'attenzione degli osservatori si è fermata a guardare alle conseguenze immediate, che potrebbero esserci dopo il 2026 per le aliquote Imu e per l'Isee. Attenzione, abbiamo parlato volutamente del 2026, perché la riforma del catasto non verrà conclusa prima di quella data. Ma nessuno, fino ad adesso, si è soffermato a pensare ad un altro dato: gli immobili non dichiarati, che nel sud Italia costituiscono il 6,5% del totale, nel nord Italia il 2% mentre al Centro siamo a quota 3,2%.

Numeri che, sostanzialmente, ci fanno capire di quanto in realtà sia vasta la cosiddetta zona grigia del patrimonio immobiliare italiano. A mettere in evidenza i numeri relativi all'utilizzo delle proprietà immobiliari in mano alle persone fisiche, ci ha pensato il Centro Studi Locali (Csel), che ha elaborato un dossier molto particolareggiato per conto dell'Adnkronos. Stando a questa analisi, che si basa sui dati in possesso del Mef e dell'Agenzia delle Entrate del 2019, le unità immobiliari per le quali non sarebbe noto l'utilizzo sono, in totale, il 4,8%, vale a dire 2,7 milioni. Ovviamente come chiarisce direttamente lo Csel, questi immobili

non sono automaticamente riconducibili a comportamenti elusivi. Dietro molti di questi immobili ci possono essere proprietari residenti all’estero o informazioni sbagliate contenute negli archivi, ma sicuramente una fetta importante è da ricondursi, per citare il rapporto stesso, a comportamenti omissivi (evasione) da parte del proprietario.

Immobili fantasmi: e noi ci preoccupiamo di Imu ed Isee!

La riforma del catasto ha fatto accendere un enorme riflettore sulle aliquote Imu e sull'Isee. Ma in realtà l'avrebbe dovuto fa accendere anche su quegli immobili che, benché siano regolarmente presenti angli archivi catastali, non vengono inseriti nelle dichiarazioni dei redditi. Una situazione che avviene molto di più nel sud del paese, rispetto che al centro-nord. Facendo sempre riferimento agli immobili di proprietà di persone fisiche, questa situazione si riscontra, percentualmente parlando, per il 2% sul totale al nord, per 3,2% al centro e per il 6,6% al sud. Il Csel ritiene che questo andamento potrebbe essere spiegato con la propensione dei contribuenti del mezzogiorno ad emigrare all'estero o nel nord Italia. Tanto che potrebbero esserci più proprietari immobiliari residenti all'estero che nell regioni d'origine.

Giusto per avere un'idea dello stock degli immobili censiti, stiamo parlando di qualcosa come 76,5 milioni di proprietà immobiliari, o comunque di loro porzioni. Quasi 66 milioni di questi edifici - piccoli o grandi che siano - sono censiti nelle categorie catastali ordinarie e speciali, con attribuzione di una rendita. La somma delle rendite catastali (cioè la somma imponibile dal fisco) degli edifici di gruppo A, eccezion fatta per gli uffici, è di 17,2 miliardi di euro.

Catasto, e gli altri immobili?

Almeno 3 milioni e mezzo di immobili sono stati censiti all'interno della categoria catastale del gruppo F. Costituiscono, quindi, delle unità immobiliari non idonee, anche solo per un breve periodo, che non producono del reddito. Circa 6,8 milioni sono beni comuni non censibili, quindi sono immobili che costituiscono una proprietà comune e che non producono reddito. 

Gli immobili censiti nel gruppo F sono quelli che, per varie ragioni, non producono reddito - ricorda Csel - e che non risultano pertanto avere una rendita ai fini della tassazione. Vi rientrano: aree urbane (F/1), lastrici solari (F/5), unità in corso di costruzione (F/3), di definizione (F/4) o in attesa di dichiarazione (F/6), cioè unità che trovano in queste categorie una collocazione temporanea, alla quale dovrà seguire una classificazione rispondente alle definitive caratteristiche che assumeranno quegli immobili.