Riforma fiscale: novità su Cig e pagamento quarantena

Il decreto sul fisco prevede 1,5 miliardi per la proroga della Cig, 900 milioni per pagare ai lavoratori l’indennità per la quarantena e 4-500 milioni per altre nove settimane di cassa gratuita. I partiti chiedono la sospensione delle cartelle e il tema della rottamazione ter a chi non pagato le rate. 

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Siamo alla vigilia della presentazione, attesa martedì prossimo, della Nadef, la Nota di aggiornamento al Def, che dovrebbe certificare una crescita e lo stato di salute dell’economia italiana. Successivamente il Governo potrà trarre le valutazioni sugli interventi da fare sull’atteso decreto per la riforma del fisco.

Intanto il Governo è al lavoro per i provvedimenti d’urgenza che si rendono necessari sul fronte lavoro, relativamente alla copertura delle risorse necessarie all’Inps con le quali liquidare i periodi di quarantena per i lavoratori che sono dovuti rimanere in isolamento, non coperto dalla malattia, causa Covid. 

Un altro provvedimento necessario riguarderà i contratti di somministrazione, che richiederanno il finanziamento della cassa integrazione fino alla data attualmente prevista dal governo per la fine dello stato di emergenza (31 dicembre 2021) in considerazione della fine del blocco dei licenziamenti per alcuni settori merceologici, piccoli e il terziario fissata per il prossimo 31 ottobre. 

Sul fronte fiscale c’è il nodo cartelle esattoriali, con i partiti politici che chiedono una nuova sospensione alle notifiche degli atti per la riscossione ripartite a inizio settembre e la concessione della quarta rottamazione. 

Il pacchetto sul lavoro

Il pacchetto lavoro, proposto dal titolare del dicastero Andrea Orlando, dovrebbe prevedere la norma sulla quarantena, che andrà a coprire il pregresso da gennaio e si estenderà fino al 31 dicembre, che è la data con cui attualmente si prevede la fine dello stato d’emergenza decretato dal governo Draghi. La cifra stimata di circa 900 milioni di euro andrà così a risolvere il pagamento degli stipendi dei lavoratori in quarantena. 

Con lo stesso provvedimento d’urgenza, si andrebbe anche ad intervenire sul tema della continuità occupazionale di 100mila lavoratori in somministrazione. La proposta ha l’obiettivo di eliminare la scadenza del 31 dicembre 2021 per tutti quei lavoratori che sono stati assunti a tempo indeterminato dalle agenzie per il lavoro, ma che sono stati impiegati nelle aziende a tempo determinato. 

Riguardo la CIG il pacchetto, in attesa della riforma complessiva che è stata rinviata alla legge di Bilancio, dovrebbe inserire altre 8 o 9 settimane di cassa integrazione gratuite.

Le settimane gratuite previste, secondo le stime circolate, avrebbero un costo di 4-500 milioni.  La finalità del ministero è di estendere la CIG fino a dicembre, con l’obiettivo di gestire l’uscita graduale dal blocco dei licenziamenti.

Le settimane, per tutti coloro che hanno esaurito o stanno per esaurire, entro il mese di ottobre l’ammortizzatore, dovrebbero essere accompagnate da un impegno delle imprese circa l’utilizzo prima di valutare di procedere ai licenziamenti del personale. 

Salario minimo 

L’Ocse continua a ribadire la necessità di iniziative e misure funzionali a favorire una decisa azione della ripresa dell’economia e il premier Mario Draghi, gestire le emergenze su Green pass e bollette autunnali, mantiene una particolare focus sulla riduzione del cuneo fiscale escludendo espressamente, come ha ribadito recentemente a Confindustria, aumenti della tassazione.

Intanto però alcuni partiti della maggioranza di governo, M5S e Pd - Leu, insieme alla Cgil, tornano sul tema del salario minimo, con l’obiettivo di far crescere le retribuzioni e in contrasto al dumping contrattuale. In proposito è intervenuto anche il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico che sul tema, sempre delicato e divisivo, ha sottolineato come, secondo la sua opinione, sia intollerabile che ben 2 milioni di lavoratori in Italia guadagnino 6 euro lordi l’ora e che il salario minimo può essere determinante per giovani e le donne. 

Le ultime analisi a riguardo sono antecedenti alla crisi pandemica e determinarono che sotto la soglia dei percettori di salario minimo inferiore a 9 euro lordi l’ora si comprendevano tre milioni di lavoratori privati a cui si sarebbero dovuti aggiungere quelli appartenenti al settore domestico (864mila) ed una parte del settore agricolo (350mila).

Complessivamente circa i quattro milioni riportati recentemente dal presidente dell’Inps a supporto del suo intervento. Nelle stime effettuate nel 2019 dai consulenti del lavoro si rilevò come l’adeguamento della retribuzione ai 4 milioni di lavoratori, avrebbe generato un aumento 

L‘effetto conseguente all’incremento dei livelli retributivi sopra i 9 euro, genererebbe, secondo le stime dell’Istat un aumento del costo del lavoro triplicato per le imprese (12 miliardi di euro). Istat e Inapp, in varie audizioni parlamentari si mostrarono scettici sulla proposta del ministro Catalfo, evidenziando come essa generasse significativi incrementi di costi, diretti e indiretti si andavano a scaricare in qualche modo sulle imprese.

Sul tema va ricordato in passato ci fu una proposta, poi rimasta in stand-by, da parte dell’ex ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo. I contrasti ci con l’allora maggioranza (Lega) e la caduta del governo Conte I non fecero dare seguito all’iniziativa.

Nodi e contrasti, che si riproporrebbero anche oggi tra i partiti della maggioranza a cui aggiungere che in Italia, il perimetro delle garanzie e delle tutele offerte dai contratti collettivi nazionali a favore dei lavoratori che essendo molti estesi rappresentano un valore incrementale al mero salario economico minimo.

L’Ocse, si era espressa sull’argomento attraverso un suo economista che mostrò il confronto internazionale: i 9 euro lordi l’ora corrispondono all’80% del salario mediano. In media nei Paesi Ocse i salari minimi variano tra il 40% e il 60 % del salario mediano e in Germania si scende al 48% dello stesso valore.

Pertanto, in Italia ciò significherebbe dover considerare un costo tra i 5 e i 7 euro l’ora e i 9 euro sarebbero abbastanza generosi. Si tratta di confronti del 2019 da aggiornare in considerazione della pandemia ma, che tuttavia, spiegano in modo chiaro il fenomeno. 

Un dibattito che proseguirà proprio mentre la riforma degli ammortizzatori, politiche attive e formazione rappresenta il fulcro della riforma ancora in fase “di bozza” (probabilmente si discuterà a ottobre in legge di bilancio e con un confronto con le regioni). 

La Nadef e lo stato dell’economia

Si attende l’ufficializzazione della Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e Finanza, per confermare i dati fin qui raccolti sulla crescita e lo stato di salute dell’economia italiana. Anche ieri il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ad un convegno sul Pnrr non ha mancato di ribadire il dato di crescita del Prodotto interno lordo che quest’anno sarà pari al 6 per cento (rispetto al tendenziale 4,1% previsto ad aprile) e l’anno prossimo è previsto almeno al 4 per cento.

Un trend di crescita dell’economia migliore delle aspettative se si considera che lo scorso l’Italia aveva perso nove punti di Pil. Obiettivo per il ministro dell’economia sarà però crescere stabilmente nel tempo secondo le logiche auspicate nel Recovery Plan per cui gli alti tassi di crescita dovrebbero essere generati come effetto dell’attuazione delle riforme in particolare di quella che comporterebbe uno strutturale taglio sulla fiscalità. 

Riguardo al tema del debito pubblico, decisamente più basso del 159,8% nei dati riportati con pubblicazione dei dati lo scorso aprile, il ministro Franco ha tenuto a sottolineare che il dato risulta essere migliore delle previsioni in considerazione di tanti aspetti di cui si è giovato, primo tra tutti l’ottimo andamento dell’economia. Dati estremamente positivi a cui si associa un deficit intorno al 10% in discesa rispetto all’ l’11,8% preventivato nel Def. 

Le coperture per la riforma sul fisco

Con queste indicazioni l’esecutivo potrà anticipare al 2021 alcune spese del 2022 liberando spazi fiscali che saranno funzionali al taglio del cuneo e alla riforma del fisco. 

Risorse che, rispetto all’aprile scorso, porterebbero in dote all’esecutivo di Mario Draghi circa 10-12 miliardi derivanti dal maggior gettito fiscale per effetto della crescita del PIL. Disponibilità utilizzabili per finanziare alcuni degli interventi fiscali previsti dall’esecutivo.

A queste si andrebbero ad aggiungere quelle stanziate, e non utilizzate, relative ai decreti anti-crisi dell’ultimo anno, ad esempio i circa 3 miliardi appartenenti al pacchetto ristori che non sono stati erogati perché non richiesti. Sono anche da considerare i crediti d’imposta settoriali (per esempio quello per la moda) in attesa del decreto attuativo. 

Gli obiettivi di Confindustria

Basteranno questi fondi per attuare le auspicate riforme sul fisco? In base ai calcoli di Confindustria, però, solo per ridurre in modo percepibile il cuneo fiscale occorrerebbero fra i 10 e i 13 miliardi.

Il Presidente di Confindustria Bonomi ha evidenziato che non basta l’annunciato provvedimento sull’aliquota Irpef del 38% ma, richiamando le recenti indicazioni provenute dall’Ocse, all’Italia è richiesta una riduzione importante del cuneo fiscale su imprese e lavoro.

Nel corso dell’assemblea annuale di Confindustria, alla presenza del premier Draghi, il presidente Bonomi ha ribadito le esigenze delle imprese a partire dal taglio del cuneo fiscale e la cancellazione dell’Irap. Su quest’ultima ha bocciato l’idea di fondere Irap e Ires, con la creazione di un addizionale rispetto a quest’ultima, poiché non produrrebbe, a suo giudizio, vantaggi né per la crescita né per gli occupati.

Si è detto favorevole ad una ricerca di imposizione fiscale sui redditi delle società che presenti maggiore appeal rispetto a quello attuale. Il leader di Confindustria auspica una riforma del fisco a tutto campo con una radicale revisione di tutti quei bonus che sono stati introdotti da entrambi gli schieramenti politici, che hanno generato distorsioni e iniquità inaccettabili nell’Irpef. 

La leva fiscale sui redditi societari, per Bonomi, deve portare ad una maggiore competitività internazionale, sostenendo gli investimenti con alto valore aggiunto relativamente alla ricerca, al digitale e alla efficienza energetica.

Bonomi ha proposto, inoltre, di ripensare all’utilizzo delle perdite fiscali, ricorrendo al carry-back e prevedendo una maggiore flessibilità del loro utilizzo, con un trattamento fiscale più favorevole dell’indebitamento. è di trasformarne una parte in «cofinanziamento delle nuove politiche attive del lavoro», a patto però che la riforma si basi sulla pari dignità fra centri pubblici per l’impiego e agenzie private per il lavoro