Dove è finita la TASI? Occhio ai versamenti IMU!

Parliamo della TASI e del perchè crea così tanta confusione con l'IMU, cambiano i nomi ma la sostanza è quasi sempre la stessa!

La battaglia con gli acronimi legati alle tasse da pagare continua e non fa altro che creare confusione nei cittadini!

Come se gli acronimi non bastassero, anche le continue riforme che fondono, cancellano e creano nuove tasse, peggiorano la situazione, tanto da non rendere più chiaro cosa si stia pagando e cosa no.

Oggi parliamo della TASI e del perchè, spesso, quando se ne parla crea una immensa confusione con l’IMU.

Oggi in questo articolo vedremo cos’è la TASI, a cosa si riferisce, chi deve pagarla, tutte le riforme legate alla TASI e il suo legame con l’IMU che tanto ci confonde quando è il momento di pagare le tasse!

TASI: cos’è?

Iniziamo dicendo che l’acronimo TASI sta ad indicare il “Tributo per i servizi indivisibili”, un tributo del sistema tributario italiano.

Già dal nome non capiamo bene cosa sono questi “servizi indivisibili”.

Per “servizi indivisibili” intendiamo tutti i servizi rivolti omogeneamente a tutta la collettività che ne beneficia indistintamente, con l’impossibilità di quantificare l’utilizzo da parte del singolo cittadino e il beneficio che lo stesso ne trae.

A differenza quindi di altri tributi, questo non è propriamente legato ad una caratteristica del cittadino o alla sua attività, ma è appunto inquantificabile da valutare, quindi si sceglie di pagare una specie di “quota fissa”.

In questi servizi rientrano per esempio la manutenzione del verde pubblico, delle strade comunali, del verde urbano, dell’illuminazione pubblica e l’attività svolta dalla polizia locale.

Insieme con l’IMU e la TARI, la tassa sui rifiuti, è una delle tre componenti dell’imposta unica comunale detta IUC istituita dalla legge di stabilità del 2014.

O almeno questo fino alla Legge di Bilancio 2020, in cui la TASI è stata abrogata ed è stata istituita la nuova IMU 2020, tutt’ora in vigore.

Qui nasce tutta la confusione.

Attualmente, la TASI, risulta quindi abrogata, o meglio incorporata nell’IMU, mentre prima era una tassa a sè rispetto all’IMU stessa che concorreva all’interno della IUC.

Il presupposto di pagamento della TASI era, ed è, il possesso o la detenzione di fabbricati o aree edificabili ad esclusione quindi dei campi agricoli.

Ha ancora senso però parlare di sola TASI se abbiamo detto che adesso è stata introdotta la nuova IMU 2020?

TASI e IMU 2020: cosa è cambiato

 L’abolizione della TASI ha fatto pensare che il contributo da pagare sarebbe diminuito.

In realtà, l’abolizione della TASI ha portato ad una riscrittura di tutta la normativa legata all’IMU con un aumento non indifferente.

Con decorrenza già dal 2020, la Legge di Bilancio ha posto questa manovra di semplificazione della disciplina dei tributi immobiliari, unificando di fatto TASI e IMU, giustificando che tenessero in considerazione la medesima base imponibile.

Rifacendoci ai riferimenti di legge, il comma 738 della Legge di Bilancio 2020 ha abolito di fatto la IUC, cioè il “contenitore” in cui confluivano dal 2014 IMU, TARI e TASI.

Se per la TARI, sono rimaste in vigore le vecchie disposizioni, per l’IMU le cose sono cambiate al fine di incorporare effettivamente la TASI.

Se per la maggior parte della normativa dell’IMU nulla è cambiato, nel 2020 ci sono state alcune novità molto rilevanti:

  • l’aliquota di base per gli altri immobili diversi dall’abitazione principale è stata stabilita nella misura dello 0,86%, con possibilità da parte dei Comuni di aumentarla fino all’ 1,06% oppure di azzerarla.
  • gli immobili ad uso produttivo rientranti nel gruppo catastale D (come, per esempio, i capannoni industriali) hanno un’aliquota ugualmente fissata allo 0,86%, sommatoria dell’IMU allo 0,76% e della TASI allo 0,1%. Ai comuni si riserva la possibilità di aumentare o diminuire l’aliquota in un range tra lo 0,76% e l’1,06%.
  • fatta salva l’esenzione per le abitazioni principali non di lusso, quelle classificate in categorie catastali come A/1,A/8 o A/9, quindi di tipo signorile, ville, castelli o palazzi, presentano un’aliquota stabilita allo 0,5% aumentabile dal Comune fino allo 0,1% o diminuirla fino all’azzeramento.
  • abolizione del “trattamento di favore” per immobili posseduti da cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani residenti all’estero).

Queste sono le principali novità ma è possibile leggerne altre a questo link.

La TASI non c’è più ma l’IMU è più cara

Nonostante i buoni propositi di voler rendere più semplice il pagamento delle tasse relative ad IMU e TASI, effettivamente questa semplificazione ha portato ad un aumento effettivo dell’IMU in un comune su due.

Infatti, se da un lato si è tentato di cancellare un contributo “gemello” sullo stesso immobile, con la riforma del 2020 effettivamente si è data molta più libertà ai Comuni di poter aumentare le aliquote.

Infatti, poichè l’abolizione della TASI avrebbe portato ad una perdita delle entrate, molti sindaci non hanno esitato a sfruttare questa possibilità di aumentare le aliquote e l’hanno fatto.

Prendendo ad esempio i dati del Sole24Ore sulla questione, confrontando le delibere tributarie del 2020 rispetto a quelle del 2019, si evince che circa 3.755 Comuni hanno aumentato l’aliquota ordinaria e 4.029 hanno modificato anche quella relativa all’abitazione principale, per i circa 75 mila casi in cui l’immobile è considerato di “lusso” da parte del Catasto.

Quando quindi si parla di abolizione della TASI, effettivamente si sta parlando di una sostituzione, o meglio ancora di un nome che cambia, poichè alleggerire dai tributi i proprietari di immobili avrebbe voluto dire alleggerire di troppo anche le casse Comunali.

L’obiettivo della semplificazione sarebbe dovuto essere quello di creare una specie di griglia con i casi possibili e le aliquote già prestabilite, così da poter garantire l’arrivo del “bollettino precompilato”, promesso fin dal 2012, reso però impossibile da applicare anche con questa nuova riforma poichè le variabili comunali sono troppe.

Il Governo centrale non ha, quindi, potuto garantire l’unica semplificazione che effettivamente ci si aspettava, cioè una sorta di unificazione del pagamento a parità di situazioni, poichè i Comuni hanno la possibilità di modificare le proprie aliquote ogni anno.

L’arrivo del Covid poi non ha certamente facilitato la situazione.

La crisi economica, infatti, ha colpito profondamente i bilanci locali e il Governo.

Questa situazione non solo ha dato origine ad una serie di aiuti da parte dei Comuni ai propri cittadini, ma anche il via ad una serie di proroghe che hanno creato non pochi buchi da chiudere all’interno dei bilanci Comunali.

IMU 2022: quindi cosa dobbiamo pagare?

Tutta questa retorica, fatta di riforme non ben riuscite, ci porta ovviamente a porci adesso un’unica domanda:

è possibile capire cosa bisogna pagare?

Come abbiamo detto, essendo venuto meno il “bollettino precompilato” che avrebbe garantito un’unificazione del pagamento in tutta Italia a seconda dei casi, dobbiamo fare i conti ogni anno con delle nuove aliquote.

Secondo la Legge di Stabilità 2022, sono state previste fondamentalmente 2 tipi di novità:

  • misure di sostegno per il pagamento dell’IMU per le categorie considerate più deboli finanziariamente ed economicamente, come i pensionati
  • correttivi della disciplina di base dell’IMU, volti a chiarire le controversie applicative della norma.

Per quanto riguarda la prima modifica, ci rifacciamo ai pensionati residenti all’estero, titolari di un diritto reale, di proprietà o usufrutto, su immobili siti nel territorio italiano.

La Legge di Bilancio 2022, prevedere per il solo anno 2022, la misura dell’imposta municipale ridotta al 37,5%.

Lo scorso anno la riduzione era pari al 50%.

Per quanto riguarda, invece, un dibattito sempre presente,  parliamo dell’esenzione del pagamento IMU sull’abitazione principale.

Come già noto, l’esenzione IMU per gli immobili adibiti ad abitazione principale è stata disposta già a partire dal 2014. 

Fino ad oggi, l’esonero IMU richiedeva che l’immobile fosse iscritto nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore abita stabilmente e risiede anagraficamente.

Il problema a livello legislativo è nato per coloro i quali, per esempio una coppia di coniugi, per motivi lavorativi, avessero stabilito residenza e domicilio in abitazioni diverse, nello stesso Comune o in Comuni diversi.

La problematica questione è stata risolta dal Decreto fisco-lavoro, in cui si è chiarito che l’agevolazione dell’esenzione IMU è applicabile ad un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare.

A tal proposito consigliamo un video esplicativo della situazione descritta a cura di Procida Vivone & Partners:

BONUS IMU 2022:cos’è?

Infine, parliamo forse della novità più chiacchierata di questa riforma: il Bonus IMU 2022, rivolto a tutti i contribuenti di piccoli comuni, abitanti o esercenti.

Consiste praticamente nell’esonero del pagamento IMU, con lo scopo di limitare lo spopolamento di piccoli centri abitati e favorire le categorie che più sono state colpite dalla situazione economico-sanitaria.

Per il solo biennio 2022 e 2023 è stato dunque riconosciuto, per esercenti con attività di commercio al dettaglio che iniziano, proseguono o si trasferiscono con la propria attività in un comune con una popolazione fino a 500 abitanti delle aree interne, un contributo per il pagamento dell’IMU.

Importante è sottolineare che questo Bonus è riferito ai soli immobili strumentali, ovvero quelli posseduti ed utilizzati per l’esercizio di un’attività e non agli immobili residenziali e inoltre il contributo sarà erogato in base alle risorse disponibili che per il momento sono di circa 10 milioni di euro per anno.

Le modalità di attuazione del contributo saranno definite da un successivo decreto del Ministro della Cultura, congiuntamente ai ministri di Sviluppo Economico, Economia e interno.

Agli stessi soggetti che possono usufruire del Bonus IMU è concessa anche la possibilità di ricevere in comodato beni immobiliari di proprietà dello stato, delle regioni o di altri enti locali.

Il comodato avrà una durata massima di 10 anni e anche se si tratta di un comodato d’uso gratuito, tutte le spese saranno a carico del comodatario.

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