Il piatto del giorno

Vorremmo poter scrivere di qualcos’altro, e invece il grande tema (che condiziona tra l’altro quasi tutto il nostro mercato – oltre a condizionare i mercati collegati) continua ad essere la debolezza strutturale del USD. Di S.Berlinzani

Vorremmo poter scrivere di qualcos’altro, e invece il grande tema (che condiziona tra l’altro quasi tutto il nostro mercato – oltre a condizionare i mercati collegati) continua ad essere la debolezza strutturale del USD. Gli sforzi del Presidente Barak Obama di condurre il mondo fuori dalla recessione scavando una via d’uscita attraverso la spesa pubblica sta veramente infliggendo un duro colpo al greenback, provocando tra l’altro rally nei commodity e nei metalli preziosi in quanto gli investitori stanno cercando una forma di protezione contro la debolezza del dollaro e contro lo spettro dell’inflazione che, inesorabile come il destino, tornerà a manifestarsi quando si riuscirà a reinserire la marcia giusta (episodio che comunque riteniamo ben lontano ancora). Debito pubblico, tassi di interesse vicini allo 0, inflazione (quindi crescita) attorno allo 0, e quindi disoccupazione attorno al 10%. Gli investitori, e anche i partner commerciali che attuano transazioni in USD, si stanno stancando di questa debolezza del dollaro e quindi chi può si rifugia in Oro (siamo arrivati a $1062,70), petrolio, rame, alluminio. In mezzo a tutto questo marasma, è anche vero che il buon Timothy Geithner ha tutte le ragioni per volere un dollaro debole: esportazioni che comunque riprendono e riescono a ridurre un minimo il peso del deficit di bilancia commerciale che gli USA hanno; come detto ieri, comunque, un dollaro cronicamente debole andrà ad influire sul numero di partner commerciali che gli USA riusciranno a mantenere: non tutti continueranno a volere un dollaro che non vale niente. Da un punto di vista del trading, il trend è ancora a rialzo (si rinvia all’analisi tecnica di cui sotto) e quindi finchè nulla cambia, nulla cambia (repetita iuvant) e il trend è un amico. Ma iniziamo a cercare segnali di inversione (senza immaginarceli dal nulla comunque) perché più estesi saranno le perdite del USD, più si apre la possibilità di un rimbalzo. Comunque, se vogliamo soffermarci su un paese veramente devastato dalla recessione non dobbiamo guardare lontano: l’Islanda. Dopo il collasso delle tre maggiori banche l’anno scorso, il paese è piombato sull’orlo della bancarotta. Il mercato azionario ha perso il 97% del suo valore pre-crisi. Come a dire: c’è sempre chi sta peggio (in realtà anche noi in Europa dobbiamo fare i conti con una disoccupazione arrivata al 10% circa). Per cercare rendimenti e rialzi, quindi, in questo momento si guarda a Australia e Nuova Zelanda dove la spesa privata per i consumi tiene alto il morale, e come un circolo virtuoso stimola investimenti e prestiti. La chiave di tutto, spesso, si riduce a pochi concetti basilari, di cui uno in particolare rappresenta il pilastro su cui si fonda tutto il sistema economico-finanziario: la fiducia. Gli effetti sull’Aussie e sul Kiwi sono dettati dalla pura fiducia. Quando tornerà qui da noi?