Bond e tecnologia in purgatorio, nessuna condanna definitiva

L’inferno esiste, ma è vuoto. Il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar negò fino all’ultimo di avere espresso questa idea eterodossa, che pure gli venne spesso attribuita. Ma non rifiutò mai e anzi rivendicò l’idea che è perfettamente legittimo sperare che tutti, alla fine, vengano salvati.

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L’inferno esiste, ma è vuoto. Il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar negò fino all’ultimo di avere espresso questa idea eterodossa, che pure gli venne spesso attribuita. Ma non rifiutò mai e anzi rivendicò l’idea che è perfettamente legittimo sperare che tutti, alla fine, vengano salvati.

La questione della salvezza universale percorre il cristianesimo fin dalle sue origini. Da una parte Agostino è chiarissimo sull’eternità delle fiamme dell’inferno, mentre il concilio di Costantinopoli condanna come eretico chi afferma il contrario. Dall’altra Origene riprende il concetto stoico dell’apocatastasi, la reintegrazione nello stato originario di tutte le cose, per sostenere che, alla fine dei tempi, tutti torneranno nello stato di grazia, un’idea di nuovo prevalente nella teologia della speranza dei nostri tempi.

Quanti si salveranno è anche il tema oggi più dibattuto nel profanissimo mondo dei mercati. Da una parte c’è chi emette sentenze di condanna alle fiamme per il tasso fisso e per la tecnologia, dall’altra ci sono i teorici della salvezza universale per tutti gli asset finanziari e reali in un contesto strutturale di politiche superespansive (che spingono verso l’alto economie e borse) e di repressione finanziaria (che mantiene fermi i tassi, e quindi i bond, anche se sale l’inflazione).

I primi sostengono che qualcosa di epocale sta accadendo. Inflazione e tassi, scesi quasi senza sosta per quarant’anni, si stanno incamminando sulla strada del ritorno e nulla vieta di pensare che, nel nuovo clima, saliranno per altrettanti quarant’anni. Ecco allora i bond a tasso fisso passare, in questa visione, dal paradiso del capital gain anno dopo anno (cui siamo abituati dall’inizio degli anni Ottanta) all’inferno dell’erosione sempre più evidente del potere d’acquisto, alla perdita secca sul prezzo di mercato e alla tassazione via via più aggressiva delle magre cedole (quando ci sono).

Allo stesso modo, il prodotto finale della lunga discesa dei tassi, ovvero l’esplosione dei multipli della tecnologia e la stellare performance del settore negli scorsi dieci anni, si appresta a trasformarsi, ora che i tassi salgono, in un’implosione che potrebbe durare altrettanti dieci anni, come accadde dopo la bolla di Internet scoppiata nel 2000. Gli angeli caduti non finiscono mai in purgatorio, vanno direttamente all’inferno.

A questa cupa visione si contrappone l’idea, ancora prevalente nel mercato, che una moderata ripresa dell’inflazione non manderà i bond all’inferno, ma li costringerà semplicemente a un breve purgatorio che potrebbe già terminare alla fine dell’anno, quando la crescita americana, (fortemente stimolata da una politica fiscale da tempi di guerra e da una politica monetaria il cui orientamento espansivo viene ogni giorno riaffermato dalla Fed nonostante i segnali di ripresa ormai evidenti) toccherà il suo picco e da lì inizierà a scendere.

Immaginiamo allora il Treasury a fine anno, stando larghi, al 2-2.25 per cento e una crescita americana che, arrivata nel quarto trimestre vicino al 5 per cento, si trova davanti un 2022 in cui, anche per effetto base, dovrà iniziare a rallentare. Ecco che il Treasury, da lì in avanti, ritornerà attraente per due categorie di investitori, i tradizionali compratori di tasso fisso da una parte e, dall’altra, i gestori di fondi risk parity che, come nota David Zervos, su quei livelli riapriranno bottega e riprenderanno a comperare insieme bond e borsa contando sui capital gain sui bond per bilanciare eventuali perdite sull’azionario.

Quanto alla tecnologia, l’anima sua potrebbe non solo evitare l’inferno, ma limitarsi a mettere piede sulla spiaggia dell’antipurgatorio, senza addentrarsi troppo nell’area del pentimento e limitandosi a pratiche rituali di purificazione. Tutto fa infatti pensare che la battaglia tra i multipli in contrazione da una parte e gli utili in formidabile crescita dall’altra si concluderà alla pari. Parliamo della tecnologia solida, naturalmente, quella che fa utili o che si prepara a farne in tempi ragionevolmente brevi. La tecnologia concettuale e la tecnologia giocattolo di trading avranno momenti più difficili, con cadute di prezzo anche pronunciate che però non saranno ancora definitive.

Le due visioni che abbiamo provato a disegnare non sono per forza inconciliabili tra loro. È possibile infatti pensare alla prima (il rialzo strutturale di inflazione e tassi) come strategica e alla seconda (il rialzo temporaneo di inflazione e tassi) come tattica. A favore della prima, più ancora dei fattori economici incerti (nessuno ha idea di quante risorse inutilizzate possano diventare produttive prima di creare inflazione) gioca la considerazione politica che nessuno ha più lo stomaco per imbarcarsi in programmi di austerità fino al giorno in cui si vedrà un’inflazione vivace (che quindi un giorno arriverà). A favore della seconda c’è la considerazione che anche i grandi trend non sono mai lineari e che dopo un rialzo del rendimento del Treasury dallo 0.50 di un anno fa al 2 per centro e oltre (in ipotesi) di fine 2021, sarà ben possibile avere una fase di ritracciamento anche non breve.

In pratica, da qui in avanti avrà senso, nella gran parte dei portafogli, alleggerire (senza azzerare) la presenza di bond lunghi governativi a tasso fisso e di tecnologia, sovrappesando invece crediti, obbligazioni bancarie e settori ciclici nell’azionario. Dall’altra parte, tuttavia, chi si trovasse oggi con un portafoglio di cash e ciclici, potrebbe impiegare il 2021 per ribilanciarsi lentamente, cominciando ad accumulare su debolezza la tecnologia solida con i multipli più bassi e, più avanti nell’anno, una modica quantità di tasso fisso come assicurazione contro eventuali ribassi azionari.

In questo quadro in cui tutti sembrano potere evitare l’inferno e molti possono ancora gustare il paradiso per molto tempo, l’oro è l’unico asset che sta andando nella direzione sbagliata. La spiegazione che cerca di essere razionale è che l’oro brilla in fondo alla notte della recessione e diventa opaco quando il sole della ripresa diventa visibile sull’orizzonte. È successo così anche nel decennio scorso. Giocano i tassi reali, certamente, ma giocano ancora di più i flussi, che in una fase di ripresa ciclica hanno molte classi di asset di nuovo attraenti su cui riversarsi e ridimensionano o abbandonano l’oro. In questa fase, quindi, l’oro andrà pensato soprattutto come assicurazione contro vuoti d’aria nella ripresa e contro improvvisi grandi ribassi di borsa.