Emergenti, il boom delle commodity potrebbe non bastare

L’America latina crolla, mentre l’Est Europa rialza la testa. A livello globale, comunque, i mercati in via di sviluppo continuano a soffrire.

L’Europa dell’est cerca timidamente di imboccare la strada della risalita, che si annuncia però tutt’altro che semplice da percorrere. Nell’ultimo mese il Morningstar EM Europe Index è rimbalzato del 4,5%, in controtendenza rispetto ai mercati emergenti globali (il Morningstar Emerging Markets Index ha perso l’1,1%). La performance dall’inizio dell’anno, tuttavia, resta in profondo rosso: -72% per l’Europa emergente.

Contemporaneamente, dopo i guadagni del mese di marzo, i mercati dell’America latina sono stati colpiti da prese di profitto, con l’indice Morningstar EM Americas scivolato dell’11,4% negli ultimi 30 giorni (dati in euro al 2 maggio 2022).

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Il ruolo delle materie prime

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha esacerbato una tendenza inflazionistica che era già in atto, facendo schizzare i prezzi delle commodity energetiche e agricole. Bastano pochi numeri per comprendere la rilevanza di questi due Paesi nel commercio mondiale delle materie prime.

La Russia è uno dei principali fornitori al mondo di commodity nei settori dell’energia (a Mosca fanno capo quasi il 10% delle esportazioni globali di petrolio e il 6% di quelle di gas), dei metalli (45% delle esportazioni globali di palladio e 15% di quelle di platino) e dei beni alimentari (5% delle esportazioni globali di grano). L’Ucraina, invece, è particolarmente importante per la produzione di beni agricoli: da sola pesa per il 10% delle esportazioni globali di grano, per il 14% di quelle di mais, per il 17% di quelle di orzo e per il 51% di quelle di olio di semi di girasole. Buona parte della produzione di questi beni avviene in aree dell’Ucraina dove attualmente si svolge la guerra, il che mette a rischio non solo le esportazioni di quest’anno ma anche le prospettive per le prossime stagioni.

In un tale contesto, ci si potrebbe aspettare che i Paesi emergenti, almeno i grandi esportatori di commodity, ne possano beneficiare. In realtà, l’impatto è stato finora limitato. Come mai?

“I Paesi emergenti (o una parte di essi) beneficiano dell’aumento dei prezzi delle materie prime soprattutto quando questi sono trainati da una crescita della domanda, cioè sono il risultato di un boom economico globale”, si legge in una nota a cura del team CEE & Global Emerging Markets di Raiffeisen Capital Management. “Ma al momento la causa principale dei rialzi dei prezzi è dovuta a problemi di offerta (sotto investimenti, sanzioni, interruzioni della catena di approvvigionamento). Questo, del resto, è anche un forte indizio che le banche centrali possono fare poco contro gran parte dell’attuale dinamica dell’inflazione con aumenti dei tassi di interesse e restrizione della liquidità e che il rischio di stagflazione stia crescendo”.

In generale, comunque, la reazione dei mercati nel contesto attuale non si è scostata da quanto osservato in occasioni passate. “Le aree più colpite sono state senza dubbio quelle limitrofe al conflitto, una porzione dell’Europa emergente (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e via dicendo) danneggiata non solo per le importazioni da Russia e Ucraina, ma anche attraverso altri canali dell’economia, come il turismo”, spiegano in una nota Marco Piersimoni e Flora Dishnica di Pictet Asset Management. “Ci sono poi alcuni Paesi emergenti fortemente impattati a causa della dipendenza dalle importazioni di beni agricoli dalla Russia e dall’Ucraina, come l’Egitto e la Turchia, oltre ad altre economie minori che dipendono in misura significativa dalle importazioni agricole da Russia e Ucraina, come Pakistan, Bangladesh, Libia, Marocco e Tunisia. Tuttavia, nel complesso questi Paesi hanno un’importanza molto marginale a livello di universo investibile, considerato che alcuni di essi non sono nemmeno accessibili agli investitori stranieri”.

L’India, anch’essa importatrice netta di beni, da un lato si trova a subire l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti fondamentali per la produzione nazionale di beni agricoli come grano e riso, necessari per coprire il fabbisogno domestico; dall’altro, avendo mantenuto attivo il commercio con la Russia, importa petrolio con contratti a sconto che dovrebbero aiutare ad attenuare l’effetto inflazionistico del rincaro energetico.

“I Paesi importatori di energia e beni alimentari, dunque, soffrono sia per gli effetti diretti dell’aumento del costo di approvvigionamento di questi beni, sia per l’effetto secondario tramite il canale dell’inflazione che, in risalita quasi dovunque, mette pressione sulle politiche economiche interne”, si legge nell’analisi di Pictet.

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Cina tra Covid e de-globalizzazione

Tra i grossi importatori delle materie prime, fa eccezione la Cina, poiché la relazione commerciale con la Russia prosegue per il momento a pieno regime. È possibile anche che la Cina possa avvalersi dello stato di “ultimo acquirente” per approvvigionarsi a prezzi convenienti di molte materie prime russe. Va detto, però, che in Cina è in vigore una politica di zero-Covid molto stringente, causa di forti rallentamenti all’attività economica del Paese e di potenziali pressioni al ribasso sulla domanda di materie prime (di cui il Paese è uno dei principali consumatori al mondo).

“La gravità della situazione sta causando una congestione senza precedenti in molti settori”, spiega Gilles Seurat, portfolio manager di La Française AM. “A causa delle severe misure anti-Covid, una parte significativa dei lavoratori portuali e dei camionisti sono assenti. A Shanghai, più di 300 navi sono in attesa di scaricare le merci rispetto alle sole 50 di febbraio. La situazione si è aggravata e risulta addirittura peggiore rispetto a quella del 2020 e del 2021”.

Il consumo di petrolio sta quindi diminuendo in Cina, vista la riduzione degli spostamenti in auto private. Anche i viaggi aerei stanno crollando, con solo un volo interno su quattro programmato. Tutti questi fattori pesano naturalmente sulla domanda di petrolio che, secondo le stime degli analisti di Bloomberg, dovrebbe diminuire del 9% nell’aprile 2022 (l’equivalente di 1,2 milioni di barili al giorno) rispetto all’aprile 2021.

Il mercato azionario cinese sta vivendo un periodo difficile, il Morningstar China Index ha perso il 10,1% dall’inizio dell’anno – lo 0,3% nell’ultimo mese (in euro, al 2 maggio 2022). Nella prima metà di marzo, in particolare, le azioni cinesi sono rimaste indietro rispetto ai loro omologhi globali di circa 20 punti. Dal 26 aprile scorso, le azioni cinesi hanno in parte recuperato terreno pur sottoperformando i mercati globali. Tuttavia, “le indicazioni del mercato sul prossimo futuro sono relativamente positive”, afferma Thibaut Dorlet, senior fund manager di Candriam. “Prevediamo che i casi di Covid diminuiscano, man mano che il clima diventerà più caldo e le misure di lockdown si attenueranno. Con gli stimoli fiscali e monetari che hanno già contribuito a spingere il PIL del 1° trimestre al di sopra delle aspettative (+4,8% su base annua), ci saranno nuove misure: la Banca centrale cinese (PBOC) ha tagliato il coefficiente di riserva obbligatoria (RRR) delle banche di 25 punti base e il coefficiente di riserva obbligatoria sui depositi valutari dell’1%”.

Secondo il gestore di Candriam, seppur in un contesto globale difficile per gli asset rischiosi, nei prossimi mesi le azioni cinesi potrebbero sovraperformare le azioni globali, poiché il flusso di notizie positive, insieme all’allentamento delle politiche monetarie e alle condizioni di credito incoraggianti, potrebbero sostenere le azioni cinesi, a differenza di altre regioni in cui le condizioni finanziarie sono state inasprite (Stati Uniti, Europa). Tuttavia, sul lungo termine, le azioni cinesi potrebbero trovarsi in difficoltà strutturali, a causa del processo di “de-globalizzazione” che è accelerato a seguito della pandemia e della guerra in Ucraina. 

Di Valerio Baselli

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Morningstar Italy è la filiale italiana di Morningstar Inc (basata a Chicago), leader nella ricerca indipendente sugli investimenti in Nord America, Europa, Australia e Asia. La società offre una vasta gamma di soluzioni e servizi online, di software e prodotti editoriali per i singoli individui, i promotori e le istituzioni finanziarie. Morningstar fornisce dati su circa 437 mila strumenti di investimento, incluse le azioni, i fondi comuni e veicoli simili, insieme a dati in tempo reale su oltre 10 milioni di azioni, indici, future, opzioni, commodity e metalli preziosi, cui si aggiungono i cambi valutari e i mercati obbligazionari. La società opera in 27 Paesi. Morningstar ha più di 200 analisti nel mondo e fornisce ricerca indipendente su oltre 2.000 fondi ed Etf, oltre a più di 1.800 azioni.
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