Perché conviene investire nella biodiversità

La forte crescita della popolazione mondiale e l’aumento della richiesta di cibo portano a uno sfruttamento intensivo delle risorse che sta già avendo effetti negativi sulle varietà della natura. E, in futuro, farà sentire le sue conseguenze anche economiche.

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La crescita della popolazione mondiale può essere una grande opportunità di investimento, soprattutto per chi guarda ai segmenti che formano l’agribusiness. Dal punto di vista di Madre natura, però, tutto questo rappresenta un pericolo in termini di sfruttamento delle risorse e di biodiversità.

Secondo uno studio delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale raggiungerà i 9,8 miliardi di persone nel 2050 per poi arrivare a superare gli 11 miliardi nel 2100. La crescita demografica avrà inevitabili effetti sulla richiesta alimentare e su come questa, anche in termini di sostenibilità ambientale, sarà soddisfatta.

Dall'inizio del ventesimo secolo a oggi, l'agricoltura e l’allevamento sono diventati sempre più industriali, intensivi ed espansivi. Secondo l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), la produzione agricola globale è cresciuta di oltre il 150% tra gli anni '60 e il 2010, mentre l'espansione di terreni coltivabili in quello stesso periodo è salito del 12%. Sistemi sempre più efficienti di produzione di cibo a prezzi inferiori hanno permesso di nutrire una popolazione più che triplicata dal 1950. Per tenere il passo con la crescita della popolazione prevista entro il 2050, la produzione alimentare dovrà aumentare del 70% rispetto ai livelli del 2005.

Tutto questo porta a una serie di problemi, anche legati alla redditività di lungo periodo dell’agribusiness. Sempre secondo la Fao, entro il 2050 la disponibilità di terra arabile e produttiva sarà scesa di un quarto rispetto ai livelli del 1960.

Calo della produttività dei terreni

“L’accelerazione della deforestazione e la perdita della biodiversità riducono la sicurezza alimentare a causa della diminuzione della fertilità dei terreni e dell’aumento della vulnerabilità delle sementi ai parassiti e alle malattie”, spiega Martin Vezér, Manager della Thematic research di Sustainalytics (gruppo Morningstar). “La capacità di produrre cibo è minata anche dal fatto che il 75% della diversità genetica dei semi è già stata persa. Lo sviluppo di una crisi alimentare ha il potenziale per destabilizzare la crescita economica”.

Come si vede nella tabella sotto, il settore alimentare è quello che ha un maggiore impatto sulla biodiversità del pianeta. Una conseguenza inevitabile, se si considera l’effetto che il comparto ha sull’emissione di gas serra, sull’utilizzo dei terreni e sullo sfruttamento e impoverimento delle acque.

Impatto ambientale del settore food

Rischi e strategie

“Questi impatti, uniti a un maggiore controllo da parte dei consumatori e delle autorità regolamentari espongono le aziende del settore food a crescenti rischi ESG”, spiega Vezér.

Pericoli che potrebbero poi trasferirsi sugli investitori. I produttori agricoli, ad esempio, possono esporre i loro azionisti a rischi ESG attraverso l’utilizzo di pesticidi dagli effetti nocivi come emissioni tossiche o l’avvelenamento delle acque. Incognite analoghe si corrono con le aziende che producono o utilizzano fertilizzanti. “Gli investitori possono affrontare la situazione limitando l’esposizione a questi problemi, sviluppando portafogli adatti e attuando pratiche di engagement con le aziende di cui sono azionisti”. 

In un segmento complesso come quello della biodiversità (che abbraccia l’agricoltura, l’allevamento, l’acquacoltura, i pesticidi, il packaging e tutte le tecnologie annesse) un buon sistema per investire potrebbe essere quello di utilizzare fondi che guardano alle società specializzate nell’economia circolare. Una scelta che può dare soddisfazione anche in termini di rendimento. Quelli venduti in Italia da inizio anno hanno guadagnato quasi l’8%, che si aggiunge al +13% segnato nel 2020.

Fondi che investono nell’economia circolare

La selezione è stata fatta tra i fondi che hanno la definizione circular economy nel nome.

Di Marco Caprotti