A che punto siamo con la crisi della supply chain?

È ancora troppo presto per pronosticare quando la situazione tornerà alla normalità, dicono gli analisti di Morningstar.

Con la fine del Covid, si sperava, tutto sarebbe tornato come prima e non ci sarebbero più stati ritardi nelle forniture. La verità, invece, è che la guerra in Ucraina ha aggiunto nuovi colli di bottiglia all’approvvigionamento delle merci e ora quasi tutti i settori sono colpiti da questo problema.

“Nessuno sa davvero quando tutto questo finirà. Quasi tutte le aziende sono coinvolte e i margini a loro disposizione per poter intervenire sono sempre più ristretti. La cosa positiva, tuttavia, è che la disponibilità di manodopera in aree chiave, come i porti, è aumentata, e questo contribuirà a facilitare lo spostamento di merci in tutto il mondo”, afferma Michael Field, analista senior di Morningstar.

Tra le industrie più colpite dalla carenza della catena di approvvigionamento globale ci sono quelle dei semiconduttori, delle auto e del retail. Di seguito, analizzeremo la situazione in ognuno di essi.

Semiconduttori

Le aziende produttrici di semiconduttori sono state tra le più colpite dall’interruzione della supply chain producendo forti ripercussioni su altre industrie come quella delle auto e degli smartphone.

Le chiusure degli stabilimenti causate dallo scoppio della pandemia hanno creato una coda nell’esecuzione degli ordini di microchip e i produttori sono stati costretti a dare priorità ai chip a più alto valore aggiunto che vengono utilizzati nella produzione degli smartphone di ultima generazione e dei computer. “Aziende come Apple (AAPL), Nvidia (NVDA) e Advanced Micro Devices (AMD) sono state tra quelle che hanno speso miliardi per assicurare i propri ordini commissionati alla Taiwan Semiconductor”, afferma Abhinav Davuluri, technology strategist di Morningstar. L’incognita principale è rappresentata dalla guerra in Ucraina, che rischia di interrompere il flusso delle materie prime necessarie per la produzione, ma nel lungo termine, dicono gli analisti, le cose dovrebbero migliorare in maniera sostanziale: “I produttori di chip stanno cercando di migliorare la loro capacità produttiva, anche se questo richiederà del tempo. Inoltre, le aziende stanno investendo per diversificare le loro catene di approvvigionamento in altre parti del mondo. Taiwan Semiconductor, Samsung e Intel (INTC) stanno lavorando per aumentare la propria capacità negli Stati Uniti e anche il governo della Casa Bianca ha stanziato circa 52 miliardi di dollari per espandere la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti”, aggiunge Davuluri.

Auto

L’industria automobilistica è stata tra le più colpite dall’interruzione degli approvvigionamenti delle materie prime e in particolare di chip. Ciò ha contribuito a innescare una carenza di auto nuove e ha portato a un enorme aumento dei prezzi delle auto usate. A questo, poi, si è aggiunto il conflitto in Ucraina.

Volkswagen (VO3) ha dovuto chiudere due stabilimenti in Germania a causa della mancata fornitura di sistemi di cablaggio per veicoli.

Alla fine di marzo, la mancanza di semiconduttori ha costretto Ford a interrompere la produzione nel suo stabilimento di Flat Rock, nel Michigan, mentre la General Motors ha fermato il centro di assemblaggio di Lansing Grand River a causa di una carenza temporanea di componenti.

“Non c’è molto che le aziende possano fare nel breve termine, l’unica opzione a loro disposizione è quella di allocare le scarse forniture di chip nella produzione dei modelli più redditizi, cosa che si è tradotta nelle ultime trimestrali in un miglioramento dei margini di profitto del settore. Ma nel lungo periodo la tendenza delle case automobilistiche sarà quella di trovare delle strategie per tutelarsi da future carenze nella catena di approvvigionamento. General Motors, ad esempio, sta lavorando per ridurre del 95% il numero di chip utilizzati nei veicoli passando a microcontrollori in grado di consolidare le funzioni svolte dai singoli chip”, dice David Whiston, sector strategist di Morningstar. Un segnale del graduale miglioramento delle condizioni del comparto è il calo del 5,7%, dai massimi registrati lo scorso gennaio, dell’indice Manheim Used Vehicle Value, l’indicatore che misura il livello del prezzo dei veicoli usati.

Retail

Le aziende del settore retail sono interessate dal problema nel reperimento della manodopera e nel trasporto delle merci. Tuttavia, alcune se la sono cavata meglio di altre.

“Le imprese con catene di approvvigionamento nazionali come le statunitensi Bath and Body Works (BBWI) e William-Sonoma (WSM) sono state in grado di aumentare la produzione negli Stati Uniti e sono ampiamente protette dai ritardi di spedizione globali”, afferma Jaime Katz, analista azionario di Morningstar.

“Per cercare di risolvere questo problema e di sopperire alla crescita dei costi di trasporto prodotta dall’inflazione, molte aziende hanno deciso di spostare la produzione in strutture più vicine ai consumatori. Il produttore di giocattoli Mattel (MAT) ha investito 50 milioni di dollari in uno stabilimento di produzione in Messico, ora il più grande del mondo. E lo stesso stanno facendo altri operatori del settore retail che vogliono diversificare le loro catene di approvvigionamento fuori dalla Cina. Infine, nell’ottica di aumentare le scorte in magazzino, molte società hanno iniziato a ordinare i prodotti in largo anticipo in modo da poter sostenere tempi di consegna più lunghi”, dice Zain Akbari, analista azionario di Morningstar.

Di Francesco Lavecchia

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