Sul finire del 2020 è uscita su Netflix una miniserie (davvero mini, solo tre episodi per un totale di circa due ore e mezzo: in sostanza, un film) di cui si è parlato davvero poco.
In un momento storico come quello che stiamo attraversando in questi mesi in Italia, con in DDLZan che è ancora ridicolamente in attesa alla cornetta, aspettando la risposta da un paese che sembra non voler seguire il ritmo del tempo che, inesorabilmente, si muove vero il futuro, abbiamo l’occasione di affacciarci a quello che, davvero da pochissimo, abbiamo la fortuna di chiamare passato.
Il 16 ottobre 2020 esce su Netflix la miniserie Qualcuno Deve Morire (in lingua originale Alguien tiene que morir) diretta da Manolo Caro, una storia che parla chiaramente, attraverso immagini toccanti e una sceneggiatura ben scritta, di molti temi, primo fra tutti quello dell’omosessualità.
Prima di proseguire con le mie riflessioni, e quello che cercherò di raccontare di questo buon prodotto, vi lascio come sempre il trailer della miniserie, distribuito dal canale ufficiale di Netflix.
Qualcuno deve morire è un’intensa e struggente riflessione sull’omosessualità, sulla condizione della donna e sul piú semplice istinto di esistere per come sei in una società piegata sotto il peso del potere.
Omosessualità, sessismo e razzismo raccontati con crudezza in Qualcuno deve morire
Questa storia si apre in Spagna, nel pieno del periodo franchista, durante il quale piú che mai ogni aspetto della vita veniva dominato da un’aspettativa che la società pretendeva tu rispettassi, di regole rigide dentro cui muoverti senza possibilità di ritrattare.
È in questo tormento che incontreremo la famiglia Fàlcon, dalla condizione piú che benestante esternamente, ma compromessa all’interno.
In cima alla piramide sembra esserci Amparo (Carmen Maura), la matriarca ostile e priva di scrupoli, che influenza e domina senza ripensamenti la casa di famiglia, teatro di grande sofferenza.
Gregorio (interpretato da Ernesto Alterio), è padrone di casa, figlio di donna Amparo. Un vice direttore del penitenziario della cittá che si lascia corrompere spesso e volentieri.
A chiudere il trio troviamo poi Mina (Cecilia Suárez), la moglie del capo famiglia. La donna è una messicana immigrata in Spagna, senza possibilità di apportare le sue opinioni all’interno del nucleo famigliare, poiché costantemente vittima di violenza e razzismo da parte della matrona.
È in questo circo di limiti, impossibilità di esprimere la propria persona, libera da preconcetti e dogmi, che vedremo l’ingresso dell’ultima figura della famiglia. Un giorno varcherà la soglia di casa Gabino (Alejandro Speitzer), figlio della coppia e unico nipote della signora Amparo, di ritorno a casa dopo dieci anni vissuti in Messico.
Se le ragioni del suo allontanamento non ci vengono raccontate subito, il suo ingresso in casa appare atteso dal padre in seguito ad una serie di accordi presi con l’amico Santos Aldama (Juan Carlos Vellido), proprietario di una fabbrica di scarpe con cui il padre Gregorio suole chiudere accordi illegali.
Ad attendere Gabino non ci sono solo una madre sofferente, un padre stereotipo di una società dittatoriale ed una nonna priva di scrupoli, ma anche un matrimonio programmato con la figlia di Santos, Cayetana Aldama (la famosissima Ester Expósito) e un lavoro presso la fabbrica.
Quello che nessuno si aspetta, è che ad accompagnare Gabino ci sia Lázaro (interpretato dal talentuosissimo Isaac Hernández), un ballerino di danza classica messicano, con il quale il giovane erede Fàlcon intrattiene un legame affettuoso e ambiguo, che velocemente provocherà non poche chiacchiere, in famiglia come in paese.
Sull’omofobia, il pregiudizio e la verità delle cose in Qualcuno deve morire
Se la verità è un tra le questioni piú stimolanti quando si ha voglia di fare esercizi di scrittura e pensiero, dacché la verità può essere una unica e inconfondibile, ma si può anche pensare che ogni persona a questo mondo possa portare una personale verità, diversa dalle altre, su un medesimo evento; altra cosa è il giudizio che un fatto, per quanto piccolo esso sia, provoca nel mondo circostante.
Ecco infatti che scopriamo solo nel corso degli eventi che, quella che tutti pensavano essere (e noi con loro) a tutti gli effetti una relazione omosessuale tra Gabino e Lázaro, non era a conti fatti altro che un’amicizia sincera e profonda.
Gabino era effettivamente attratto dall’amico, ma Lázaro è invece consapevole di provare attrazione per le donne (soprattutto dal momento che inizia un lungo corteggiamento con Mina, la madre dell’amico).
A complicare ulteriormente le cose ci penserà un personaggio che ancora non ho introdotto: parlo di Alonso Aldama (Carlos Cuevas), fratello di Cayetana, con cui Gabino, si intende facilmente, aveva avuto un legame romantico prima di partire per il Messico.
Quale piú ironico e maledetto destino può esistere a questo mondo per un omosessuale che non è pronto a dichiarare la propria sessualità al mondo intero, che sentire la noiosa cantilena del “quelli che odiano i gay sono gay repressi”.
Eppure ecco Alonso, che come abbiamo già detto, aveva avuto un (forse occasionale) incontro romantico con il nostro protagonista ma, crescendo dentro la dittatura franchista, aveva ritrovato un piu stretto ma rassicurante destino nel ruolo di umile e rigido servo della dittatura.
Il ritorno di Gabino nella terra natale, che aveva visto dare la luce alla sua timida ma inconfondibile sessualità, mette in chiara difficoltà Alonso che, se da un lato ha paura di sentire le proprie pulsioni riaccendersi, dall’altro sicuramente teme che Gabino possa voler raccontare ai piú la sua vera identità (non posso fare a meno di scrivere con teatralità le vicende, sentendo dentro la testa la cantilena di un riassuntone da telenovela).
Se il tema dell’omofobia appare centrale, soprattutto perché gli sviluppi centrali della storia partono univocamente dal sospetto di una relazione tra Lázaro e Gabino, questo non è l’unico quadro riportato in scena in Qualcuno deve morire, che ci permette di affacciarci ancora una volta ai terribili limiti della società, anche la nostra, anche quella contemporanea.
Il ruolo di una madre: razzismo e pregiudizio in Qualcuno deve morire
Non solo di omofobia è abitata quella stanza buia e fredda dell’animo umano: tanti sono gli aspetti che ci allontanano, ci spaventano. In Qualcuno deve morire assistiamo anche al racconto di figure di donne (o, come direbbe Emanuela Fanelli, “Voci di donne”) distanti ma tutte complesse, tutte con la possibilità di redimersi, crescere ed evolvere.
Prima fra tutte Amparo, dura e decisa come deve essere stata educata lei stessa a sua volta, profondamente attaccata a preconcetti e pregiudizi nemici non solo delle minoranze (che minoranze non sono mai in termini meramente numerici, ma per quanto riguarda la percentuale al comando, al potere, o anche solo con il diritto di replica).
Espressione massima della dittatura, spietata con i piú deboli senza capacità di una tenerezza, aspetto evidente anche nel rapporto con il nipote Gabino. Scopriremo infatti che l’allontanamento di Gabino dalla Spagna è avvenuto in seguito all’omicidio del nonno, per mano della nonna Amparo, in cui il piccolo è divenuto testimone oculare.
La madre, Mina, per proteggerlo, ben consapevole dei pochi scrupoli della suocera, ha deciso di mandarlo in Messico per allontanarlo dalle grinfie di Amparo. Mina è, difatti, una figura complessa che, a differenza di Amparo (e Cayetana), riesce a raggiungere un cambiamento e una strada di riscatto, per quanto di cattivo gusto.
Non è una donna senza idee e opinioni questa donna, ma vive un incubo: quello di abitare una casa in cui la sua voce non è richiesta ma anzi fortemente sconsigliata. Ecco che l’arrivo di Lázaro diviene per Mina una via di fuga, un fratello messicano di fronte el quale non deve vergognarsi delle sue origini, oltre che un bellissimo ragazzo di cui infatuarsi.
Infine c’è Cayetana, la piu giovane delle donne, un’altra generazione. Sarà lei la motrice del dramma, gelosa e prepotente, sarà lei a scatenerà ed accendere le ire degli uomini, come nelle piu fasulle morali al mondo, che mostrano la perfida donna indicare con gesto risoluto, la preda agli uomini (che di conseguenza non sono altro che manichini nelle mani della strega).
Omofobia, sessismo e pregiudizi: qualche riflessione su Qualcuno deve morire
Questa è una serie scorrevole: le aspettative non erano altissime.
L’attrazione principale per molti era la presenza di Ester Expósito, la cui presenza all’interno del cast in realtà non è assicurazione di un’elevata qualità, ma piuttosto il contrario esatto. Invece questa serie, mantenendo sempre un’aria da commedia, con intrighi tra i vari personaggi a volte fastidiosi, ha trattato e parlato di temi accurati e scelti con un’evidente consapevolezza di fondo. La figura della donna, il tema del razzismo, l’indicibile malattia dell’omosessualità che non resiste a nessuna forma di cura.
Tanti sono i momenti toccanti, accompagnati non solo da una bella regia ma anche da una fotografia cupa, quasi claustrofobica. Non mi sento di consigliare Qualcuno deve morire con troppo trasporto però, perché ho visto di meglio, ascoltato di meglio e conosciuto attori migliori. Diciamo semplicemente che è una serie che parla di dittatura, che tanto sembra lontana da noi e invece poi ritroviamo troppe similitudini nella mentalità di personaggi, sarà anche per la narrazione, risultano antagonisti, e poi sono i nostri dirimpettai.
“La prima volta non avvenne in cittá, ero in campagna. Passavo lì due mesi con i miei nonni. Il figlio devi vicini mi invitava ogni giorno perché andassi a nuotare insieme a lui. Era un po’ piu grande, mi portava in bicicletta. Io avevo paura. Poi un giorno mi disse di stringermi a lui, che così non sarei caduto. Sentivo solo il canto delle cicale. Arrivati alla piscina naturale disse di non avere il costume. Torniamo a casa, dissi io. Rispose che non ce n era bisogno. A quel punto si tolse i pantaloni. Poi si avvicino per togliermi i miei. Io non me lo aspettavo, ma lo avevo sognato così tanto. Inizio a baciarmi i l collo, le spalle. Mi sentivo come quando sei ubriaco, capace di tutto. Poi mi lascio la mano e si mise dietro di me. Era enorme. Mi disse di non avere paura e mi aiuto. Ti si restringe lo stomaco. È come cadere da un burrone e un istante prima di schiantarti cominci a volare”
Questa è una parte dell’intenso monologo di Gabino.
Ed è per momenti come questo che vale la pena di guardarla.