Paolo Sorrentino: biografia e film di un regista fenomenale

Dietro ad un grande regista c'è sempre una grande storia, e quella di Paolo Sorrentino è davvero ricca di avvenimenti importanti. Qui la biografia e i film.

Ha vinto un Golden Globe, un premio Bafta e non si sa nemmeno più quanti David di Donatello.

È il cineasta più importante della storia del cinema italiano nonché grande scrittore e sceneggiatore.

Di chi stiamo parlando?

Di Paolo Sorrentino, ovviamente.

Paolo Sorrentino: biografia e primi passi nel mondo del cinema

Paolo Sorrentino nasce nel maggio 1970 a Napoli, nel quartiere Vomero.

Gli anni della sua adolescenza non sono come quelli degli altri ragazzi della sua età, anzi, sono caratterizzati da un forte senso di perdita, da una mancanza che toglie il fiato e fa riflettere.

I genitori muoiono a causa di un incidente domestico avvenuto nella casa di montagna di famiglia, quasi salvando la vita del figlio lasciato a casa per andare a seguire il Napoli in trasferta.

Raggiunta l’età per potersi iscrivere all’università, Paolo decide di studiare alcuni anni alla facoltà di Economia e Commercio ma si rende conto molto presto di non voler fare lo stesso lavoro del padre (il bancario).

A 25 anni, quindi, decide di entrare a far parte dello straordinario mondo del cinema, dapprima come assistente alla regia poi come ispettore di produzione, aiuto – regista e poi come scrittore di sceneggiature.

Insieme ad un paio di esperienze negative (immancabili come in ogni ambito lavorativo) ed una gavetta non proprio semplice, Paolo comincia a lavorare anche per la televisione scrivendo qualche episodio per una serie tv intitolata “La squadra”.

Dopo questa esperienza, arriva il tanto atteso battesimo del fuoco con il cortometraggio “L’amore non ha confini” del 1998, il primo e vero lavoro scritto e realizzato da lui dall’inizio alla fine.

Quest’opera, oltre a palesarsi come un successo, diventa il trampolino di lancio verso altre produzioni cinematografiche in collaborazione con la Indingo Film.

Fino al 1999 scrive la sceneggiatura di “La voce dell’amore” con Umberto Contarello mentre due anni dopo si cimenta nella stesura de “La notte è lunga”, portando in scena una campagna contro l’uso di stupefacenti.

Sempre lo stesso anno partecipa al Festival di Venezia e vince vari premi tra cui il Nastro d’argento per il miglior regista esordiente nel film “L’uomo in più”, oltre al Ciak doro per la miglior sceneggiatura e a tre candidature al David di Donatello.

Il successo di Paolo è dunque consolidato.

Nel 2004, il film “Le conseguenze dell’amore” viene presentato al Festival di Cannes e la critica lo elogia ancor più di tutte le realizzazioni mai fatte fino a quel momento.

Vince altri 5 David di Donatello ed altri 3 Nastri d’argento.

L’innato talento, il suo modo di vedere il mondo e di raccontarlo sia su copione che su narrazione per immagini lo porta a solcare anche le onde del cinema internazionale.

Nel 2008 partecipa alla selezione ufficiale del Festival di Cannes portando il film “Il divo” (ispirato alla vita di Giulio Andreotti) ed ottiene una grande quantità di recensioni positive oltre che portarsi a casa gli applausi del pubblico.

Nel 2009 gira un videoreportage sul terremoto dell’Aquila e nello stesso periodo partecipa al progetto che vede la realizzazione ditata una serie di cortometraggi sul tema della fiducia, con Ermanno Olmi e Gabriele Salvatore.

A settembre si riunisce insieme ad altri firmatari per il rilascio del regista Roman Polanski e l’anno seguente pubblica il suo primo romanzo “Hanno tutti ragione” per Feltrinelli.

Gli anni a seguire sono un tripudio di opere cinematografiche che lasciano il segno, che appassionano e che emozionano il pubblico a tal punto da riconoscerlo come il cineasta italiano più carismatico e promettente di tutti.

Paolo Sorrentino: i film che lo hanno reso famoso

Di film, Paolo Sorrentino ne ha scritti e diretti tanti fino ad oggi ma quelli che ancora occupano un posto speciale nell’animo degli spettatori sono essenzialmente quattro.

Il primo prodotto cinematografico in lingue inglese è “This must be the place” del 2011, con l’attore Sean Penn come protagonista principale.

La storia narra di Cheyenne, una rock star ormai ritirata dalla scene,  che però continua ad indossare vestiti esagerati e a truccarsi come se dovesse tenere un concerto.

Esiliato per sua volontà nella casa di Dublino (dove vive con la moglie) trascorre intere giornate a seguire i propri investimenti in borsa fino a quando viene spinto a riprendere la vita sul palco.

Insicuro e ansioso, Cheyenne non vuole ricominciare ad esibirsi e dopo la morte del padre decide di dedicarsi alle ricerche di un ufficiale nazista che lo aveva umiliato in un campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale.

Una volta trovato, compie la sua vendetta lasciandolo fuori di casa con nient’altro che la sua pelle, a sopportare le rigide temperature invernali.

Cheyenne torna a casa e può dire finalmente addio all’identità di rockstar che l’ha sempre accompagnato e che non l’ha reso nient’altro al di fuori di questo per moltissimi anni.

Un altro film che ha riscosso particolare successo e che vale la pena di essere visto é “La grande bellezza” del 2013.

La narrazione si apre al pubblico con una citazione di Louis – Ferdinand Céline, proposta come chiave di lettura introduttiva.

Tutto inizia con il protagonista Jep Gambardella, un giornalista di costume e critico teatrale che vaga spesso tra gli eventi mondani della città eterna (Roma) e tenta di uscire da un blocco creativo che gli impedisce di scrivere altri libri.

Intontito da questa situazione, si concede frequentemente al vortice della mondanità, partecipando a feste tra amici. Una mattina, di ritorno da uno di questi incontri serali, trova il marito della donna che fu il suo primo e unico amore.

La notizia della di lei dipartita spinge il protagonista in una profonda e malinconica rivisitazione della sua vita e ad una considerazione amara che tutto ciò che lo circonda in quella Roma attraente, è solo inganno e pochezza.

Proprio quando la speranza sembra abbandonarlo, Jep ha un’illuminazione dovuta all’incontro con una missionaria cattolica che lo porta a scrivere del naufragio della Costa Concordia.

Il protagonista è tornato a scrivere, finalmente.

Di diversa fattura è il terzo film “Youth – la giovinezza” del 2015, in cui l’attore Micheal Caine è il protagonista (anche se ormai molti lo conoscono come l’Alfred di Batman).

La storia narra di Fred Ballinger, anziano compositore e direttore d’orchestra che si trova a trascorrere le vacanze sulle Alpi svizzere con la figlia ed un suo vecchio amico regista.

I due passano molto tempo a discutere della vita dei propri figli e su come sarà il loro futuro. Fred ormai non suona più mentre Mick ha difficoltà nel portare a termine il su ultimo film.

Il punto di svolta avviene quando viene chiesto al protagonista di suonare ancora una volta per Buckingham Palace ma egli rifiuta senza dare alcuna ragione.

Dopo una serie di eventi e litigi, il protagonista suona al cospetto della Regina Elisabetta e ritrova quello che aveva temuto di aver perso: la simbolica quanto reale giovinezza.

Il quarto film, è in assoluto il più bello ma occorre leggere il prossimo paragrafo per poterne gustare bene il racconto.

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Paolo Sorrentino: quale film ha riscosso maggior successo nel 2022

Il titolo è forse uno dei più significativi mai inventati da Paolo Sorrentino: “È stata la mano di Dio”

La citazione di Diego Maradona apre la narrazione al pubblico, riportando all’adolescenza del regista nel momento in cui ancora pregava i suoi genitori di poter seguire la trasferta del Napoli.

Ed è proprio in questa città che la trama si svolge, più precisamente negli anni ’80.

Il protagonista è un giovane spensierato che vive la propria adolescenza in compagnia dei suoi genitori e dei fratelli.

Circondato da una famiglia numerosa fatta di parenti e amici, la serenità che lega i rapporti viene ben presto distrutta da una serie di eventi: violenza, prostituzione, tradimento.

A alleviare il peso di questi problemi è l’acquisto di Maradona da parte del Napoli e l’intera famiglia vede nel protagonista, l’unica immagine di sensibilità ed emotività alla quale aggrapparsi.

Il punto di svolta avviene quando i genitori del giovane muoiono a causa di una perdita di monossido di carbonio, nella loro casa di montagna.

Se ben ricordate, lo stesso tragico evento che colpì i genitori di Paolo Sorrentino quando aveva 16 anni.

La disgrazia getta il giovane nello sconforto ma gli fa a che acquisire nuova consapevolezza riguardo la situazione vissuta.

Se non fosse stato trattenuto a Napoli, molto probabilmente sarebbe morto insieme a loro.

A salvarlo dalla disperazione sono le parole di zio Alfredo: “è stata la mano di Dio”.

Da quel giorno, il giovane vive attimi di vita intensi che si identificano nel suo primo rapporto sessuale, nella scoperta della delinquenza di quartiere fino alla scoperta di un fratellastro illegittimo.

Un giorno incontra il regista Antonio Capuano e gli chiede di poter andare a Roma per studiare cinema, una richiesta che lo stesso Capuano vede come grido d’aiuto per allontanarsi dalla depressione.

Compreso ciò, gli dice una sola frase: “non disunirti” , ovvero non fuggire dalla sua città e dal suo passato e gli propone così di fare cinema insieme.

Il giovane comprende di non poter resistere al dolore, lo accetta e parte per Roma.

Inizierà così una nuova vita.

La complessità di questo film e il messaggio profondo che ne colora la trama hanno fatto vincere a Sorrentino il Leone d’argento oltre ad essere il prodotto cinematografico che ha rappresentato l’Italia agli Oscar 2022.

Lo stile narrativo di Paolo Sorrentino

Non sono solo i film a fare di Paolo Sorrentino il bravissimo regista che tutti conoscono, bensì lo stile che egli adopera in ogni pellicola cinematografica.

Spesso ipnotico e poetico, a tratti contraddittorio ma sempre fedele agli eventi del passato.

Il cinema di Sorrentino è capace di smuovere lo spettatore grazie ad uno sguardo critico nei confronti dell’uomo contemporaneo e nelle situazioni che lo vedono vivere una vita spesso complicata.

I temi più cari al regista sono essenzialmente 3:

  • la solitudine: espressa dagli attori attraverso lo sguardo perso nel vuoto e l’abitudine di guardare in camera come per chiedere compagnia, personaggi sempre soli, cinici e vulnerabili.
  • il valore dei passi: predilezione per storie che non puntano necessariamente ad un meta.
  • i momenti stranianti: la sociopatia in cui il personaggio si spinge è data dalla presenza di una società decadente e corrotta e si manifesta quasi sempre all’improvviso sotto forma di epifania. Tanti suoi film sono pieni di momenti stranianti in cui lo spettatore viene preso alla sprovvista e si ritrova a dover elevarsi per capirne la trama.

Ad avere grande importanza anche il peso delle parole, utilizzate in maniera misurata nei dialoghi per rimanere impresse nella mente di chi guarda, una specie di morale definitiva dalla quale tutti potremmo imparare qualcosa. 

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