Polemica alla sfilata parigina di Elsa Schiaparelli: teste di leone e lupo sugli abiti

La sfilata parigina di Schiaparelli ha acceso un'aspra polemica: ecco cos'è successo.

Che la casa di moda fondata dalla stilista Elsa Schiaparelli sia sopra le righe è orami bene noto. Schiaparelli si è sempre distinta per un design fortemente strutturato, dando vita a delle vere e proprie sculture sartoriali in grado di segnare profondamente la storia della moda.

L’ultima sfilata parigina di Schiaparelli, affidata allo stilista Daniel Roseberry, ha però suscitato accese polemiche, soprattutto sui social, e che hanno aperto un vero dibattito. Vediamo allora che cosa è successo.

La sfilata di Schiaparelli fa polemica (e Chiara Ferragni non aiuta)

Tutto (almeno in Italia) è partito con un post Instagram di Chiara Ferragni, fra gli invitati alla selezionatissima sfilata di Schiaparelli che si è tenuta il 23 gennaio al Petit Palais di Parigi.

Chiara Ferragni ha infatti condiviso uno scatto accanto alla modella americana Kylie Jenner, che ha sfilato in passerella con un lungo abito nero, corredato da una testa di leone a grandezza naturale.

Il leone non è però l’unico animale “portato in trionfo” da Schiaparelli, dato che altre modelle indossavano abiti con teste di lupo e di leopardo che, sebbene realizzati artificialmente, hanno fatto in breve montare un’accesa polemica.

L’intento dello stilista era però squisitamente letterario, e rappresentava un’esplicita citazione alla Divina Commedia, come dichiarato dallo stilista Daniel Roseberry:

In questi abiti nulla è come sembra. Oltre a richiamare il senso dell’organizzazione dantesca (tre look per ciascuno dei nove gironi dell’inferno), mi sono anche ispirato direttamente ad alcune delle sue immagini più avvincenti. Il leopardo, il leone e la lupa, che rappresentano la lussuria, l’orgoglio e l’avarizia, trovano forma in spettacolari creazioni.

Prima di entrare all’Inferno guidato da Virgilio, infatti, Dante si imbatte in tre bestie simbolo dei peccati più gravi dell’umanità, un leone (l’orgoglio), una lupa (l’avarizia) e una lonza (che può anche essere interpretata come un leopardo), che rappresenta la lussuria.

Dante è infatti assediato dai dubbi del peccato, così come lo è lo stilista prima di mettersi all’opera per la realizzazione di una nuova collezione.

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Gli animalisti: no alla spettacolarizzazione dei trofei di caccia

La critica, tuttavia, non è stata tanto sulle teste di animale in sé (che sono realizzate in finta tassidermia, e sono costruite a mano con schiuma, resina e altri materiali artificiali).

Le teste, anche se finte, ricordano infatti i trofei di caccia esotica, che spingono ogni anno bracconieri e cacciatori di tutto il mondo a devastare la fauna selvatica di Africa ed Asia, mettendo a rischio specie protette.

Altre voci criticano inoltre l’idea di poter utilizzare degli animali come ornamenti, mostrando una totale assenza di rispetto nei loro confronti.

Nonostante ci siano dei lati indubbiamente legittimi in questa polemica (in particolare quelli relativi alla caccia di trofei), ci sono due aspetti che vanno considerati.

Il primo, è che le sfilate di alta moda si trasformano spesso in performance artistiche, per cui, nel momento in cui l’artista sceglie di utilizzare un determinato mezzo espressivo per raccontare una storia, quest’ultimo va letto di conseguenza.

Le teste non vanno interpretate come trofei di caccia semplicemente perché rappresentano qualcosa di totalmente diverso, ovvero la rilettura di un’opera letteraria medievale.

In secondo luogo, Schiaparelli non è sicuramente l’unica casa di moda a proporre tessuti con fantasia animalier o finte pellicce, vendute e apprezzate in tutto il mondo. Certo, si potrebbe obiettare che nel suo caso oltre alla pelliccia c’è anche la finta testa.

Tuttavia, è qui forse che si annida il paradosso maggiore: indossare una pelliccia (anche finta) va bene, ma a patto che non ci sia alcuna allusione al fatto che sia fatta con un animale (o che ne richiami l’aspetto).

La collezione di Roseberry, per quanto a tratti inquietante se non disturbante, ha almeno il merito di non nascondere i propri riferimenti, e di ricordare a scanso di equivoci come proprio dagli animali derivino ancora numerosi materiali dell’industria dell’abbigliamento.

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