Crisi Credit Suisse, quanto guadagnano i manager della banca svizzera?

La vicenda banche, il disastroso crollo della Credit Suisse e l'ordine di priorità seguita tra azionisti e obbligazionisti ha sorpreso e ha sollevato parecchi dubbi e questioni.

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La vicenda banche continua ad essere un argomento scottante e in rapida evoluzione. Si è visto il crollo vertiginoso delle azioni della Credit Suisse del 60%, tuttavia l'istituto sostiene che non ci saranno modifiche alle disposizioni sui salari e i bonus che verranno regolarmente versati il ​​24 marzo.

La notizia ha creato una certa indignazione sul perché i dirigenti, dopo aver condotto la banca al fallimento, dovrebbero continuare a ricevere dei bonus. Ecco quanto guadagnano esattamente i manager.

Il guadagno e i benefit dei manager di Credit Suisse

La stessa dirigenza ha ammesso che ci sono stati problemi endogeni riguardo il controllo interno, infatti aveva chiuso il 2022 in perdita, per un valore netto di 7,3 miliardi di franchi svizzeri. A gennaio dello stesso anno Antonio Horta-Osorio, l’allora presidente del CDA, aveva rassegnato le dimissioni a seguito di una serie di scandali, come l'uso del jet aziendale da settanta milioni di euro.

Secondo il Financial Times, Credit Suisse all’inizio del 2023 avrebbe promesso un maxi bonus ai suoi manager, per un valore di 350 milioni di franchi da dividere tra i 500 manager se fossero riusciti a portare avanti con successo il percorso di ristrutturazione dell'istituto. Oltre il normale stipendio che parrebbe ammontare a cifre come 436.702 franchi.

Manca totalmente il riconoscimento degli errori e delle responsabilità dei manager, che sembrerebbero essere riusciti a farsi confermare i bonus. Nella procedura di inglobamento gli azionisti riceveranno, in termini di azioni Ubs, un valore complessivo di 3 miliardi di franchi svizzeri. Nonostante le ingenti risorse che il governo ci si domanda se saranno i cittadini svizzeri a farne le spese.

Cos'è successo: il crollo e chi pagherà

Cerchiamo di far luce sui fatti antecedenti alla vicenda. Per capire cosa sta succedendo dobbiamo tenere in considerazione quanto accaduto alla banca americana Silicon Valley Bank, che giovedì 8 marzo ha subito il bank run ed è stata dichiarata insolvente dalla Federal Deposit Insurance Corporation. La banca aveva già dei problemi sia per quanto riguarda l'aspetto delle passività ma anche per quanto riguarda l'aspetto degli attivi che aveva visto una svalutazione per un valore di 15 miliardi di dollari. Nonostante abbia provato a risolvere la situazione, non ha potuto evitare la diffusione del panico, del resto la maggior parte dei depositi non erano coinvolti dall'assicurazione federale.

Gli effetti di questa vicenda hanno avuto risonanza anche in Europa, è il caso della Credit Suisse. Qui la seconda banca svizzera, che già aveva alle spalle anni di scandali e conti in rosso, è stata vittima dei timori dovuti alla crisi della SVB che hanno ulteriormente accelerato la sua crisi, portando all'evento epocale di acquisto da parte della sua storica rivale la Ubs.

Nelle crisi europee di insolvenza, l'onere di salvare le banche è stato da sempre fatto ricadere in parte sui correntisti e in larga parte sugli azionisti. Invece oggi per la Credit Suisse la perdita si scarica interamente sugli obbligazionisti che avevano sottoscritto l'Alternative Tier 1.

Il governo elvetico si dichiara pronto a sostenere eventuali perdite dall'acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs, fino ad una somma di 100 miliardi di franchi, un terzo del PIL del paese. In altri termini si tratterebbe di una potenziale spesa di 12milla e 500 franchi svizzeri per ogni cittadino della confederazione.

La fondazione per la protezione dei consumatori, si è opposta alla notizia dell'assegnazione dei bonus, chiedendo all'assetto manageriale di Credit Suisse di rinunciarvi.

“È inaccettabile che una banca di importanza sistemica venga condotta al baratro, che debba essere sostenuta dallo Stato e che allo stesso tempo vengano versati bonus”

Questo, inoltre, può creare un pericolo precedente. In Italia i detentori di AT1 di Credit Suisse erano Intesa Sanpaolo, Mediolanum, Unipol e Anima, tutte però con un'esposizione sostanzialmente nulla per quanto riguarda i profili concreti di rischio. Secondo il Financial Times infatti, in Italia la scarsa liquidità di tale strumento nelle maggiori banche le renderebbe poco esposte a rischi sistemici.