Appuntamento con l’inflazione, finalmente

L’attesa immobile dei mercati per l’appuntamento con l’inflazione è stata lunga e noiosa. Ha occupato tutta la prima parte della settimana e probabilmente occuperà ancora la prima parte della seduta odierna europea.

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L’attesa immobile dei mercati per l’appuntamento con l’inflazione è stata lunga e noiosa. Ha occupato tutta la prima parte della settimana e probabilmente occuperà ancora la prima parte della seduta odierna europea.

Poi, finalmente e, oserei dire, certamente, se non fosse che sui mercati di certo c’è solo la campanella di inizio e fine seduta, i mercati prenderanno una direzione che dovrebbe portarli a fare assai più strada di quella che hanno fatto nelle ultime 3 sedute.

Ieri la terza seduta noiosa consecutiva ha realizzato su SP500  un’oscillazione tra massimo e minimo di seduta di soli 18 punti, appena uno in più dei 17 mostrati lunedì e 10 in meno dei 28 di martedì. Se misuriamo l’oscillazione della settimana in corso, che ha già vissuto oltre metà del suo tempo, troviamo una differenza tra il punto più alto toccato e quello più basso di soli 26 punti. Ciò significa che, se la settimana fosse terminata ieri, sarebbe stata la più immobile e noiosa degli ultimi 3 anni e mezzo.

Credo allora che sia del tutto inutile sprecare spazio e tempo a raccontare il nulla.

Dedichiamo l’attenzione a quel che succederà oggi.

Siccome il mercato ha passato tre giorni a togliere denaro dal piatto, ciò può significare due cose. La più normale è che nessuno degli operatori che quando si muovono trascinano gli indici sia a conoscenza in anticipo di quel che uscirà oggi alle ore 14,30. Perciò le mani forti attendono il dato con cautela e senza muoversi a vanvera più di tanto, non avendo captato sussurri dalle gole profonde dell’Ufficio Statistico USA.

La seconda possibilità è che i sussurri siano arrivati e parlino di dati in linea con il consenso degli analisti, che, lo riepilogo a vantaggio dei lettori, mediamente si attendono per il dato globale sulla variazione mensile del mese di maggio dell’Indice dei Prezzi al Consumo (sigla CPI in USA) un aumento di +0,4%, che seguirebbe la variazione molto elevata (+0,8%) di aprile. Stessa variazione mensile è attesa per la versione “core” di questo indice, cioè quella che elimina dal paniere i prodotti energetici e gli alimentari freschi, perché ritenuti più volatili e destabilizzanti. Perciò l’inflazione USA a maggio dovrebbe attestarsi ad un valore annuale (da giugno 2020 a fine maggio 2021) del 4,7% nella versione globale e del 3,4% nella versione “core”.

Dato che le previsioni degli analisti sono già incorporate nei prezzi attuali di mercato, la mancanza di sorprese non dovrebbe provocare sussulti.

Questo significherebbe che i mercati azionari potrebbero riprendere la salita e sfondare finalmente i massimi storici sia di SP500 che del Nasdaq100, dopo diversi giorni in cui l’indice delle 500 principali azioni USA bivacca a pochi punti dalla vetta.

Sarebbe ovviamente rialzo ancor più impulsivo e convinto se uscisse un dato inferiore alle attese, perché darebbe conferma ed autorevolezza alle ripetute dichiarazioni dei membri FED sulla transitorietà  dell’aumento dei prezzi che si è visto in questa prima parte del 2021 e che ha accompagnato la ripresa dell’economia USA. La FED avrebbe quindi un motivo in più per non abbandonare la politica accomodante di tassi ufficiali a zero e QE da 120 mld $ al mese per acquistare titoli obbligazionari sul mercato, al fine di favorire il riassorbimento della disoccupazione creata dalle chiusure per Covid e, soprattutto, per finanziare il copioso deficit di bilancio presente e futuro attuato dal governo Biden.

La corsa dei mercati azionari subirebbe invece un drastico stop se il dato oggi fosse significativamente peggiore delle attese, poiché porrebbe in dubbio la capacità di guida e di previsione della Federal Reserve, smentita dai fatti, e farebbe aumentare il numero dei falchi che vorrebbero cambiare presto la politica monetaria in senso restrittivo per impedire che il focolaio dell’inflazione divampi in un incendio difficile da domare.

Questo scenario renderebbe evidente agli occhi di tutti la presenza e le dimensioni della bolla speculativa che i mercati hanno gonfiato con i soldi stampati dalla FED e potrebbe richiedere un drastico ridimensionamento delle quotazioni.

Il mercato comunque nei giorni scorsi ha mostrato cautela ma non paura. Se è vero che l’azionario non è salito, è altrettanto vero che non è nemmeno sceso. Il Vix, l’indice che misura la paura di ribasso attraverso la volatilità implicita delle opzioni su SP500, si è riportato nei giorni scorsi sui minimi di aprile, sotto i 16 punti, che sono anche i minimi del post-pandemia. Ieri è risalito solo leggermente, chiudendo sotto i 18 punti.

I rendimenti dei Treasury Bond decennali, che erano risaliti fino a 1,77% a fine marzo, negli ultimi giorni stanno correggendo in modo piuttosto significativo ed attenderanno il dato sull’inflazione su rendimenti inferiori a 1,50%. Anche l’indice che misura le aspettative di inflazione futura, il Breakeven Inflation Rate a 5 anni, dopo essere salito fino al 2,72% a metà maggio, ha iniziato da alcuni giorni un processo di correzione ed è tornato a 2,41%. Entrambi questi dati sono tutt’altro che indicativi di paura immediata di recrudescenze dell’inflazione. Sull’obbligazionario sembra anzi esserci più un’attesa che l’inflazione salga meno delle previsioni degli analisti, che il contrario.

Insomma: l’insieme di tutte queste valutazioni mi porta a credere leggermente più probabile che oggi l’inflazione di maggio venga comunicata a livelli meno paurosi di quelli attesi dagli analisti. Con conseguente via libera alla ripresa del rialzo dell’azionario e maggior tranquillità sull’obbligazionario.

Ma, ovviamente, un conto sono le valutazioni probabilistiche, un altro è la certezza del senno di poi. Questa arriverà alle ore 14,30.