L’attesa della FED congela i mercati

Dopo la volatilità mostrata la scorsa settimana, con 3 sedute ribassiste e due rialziste, ma soprattutto con candele giornaliere abbastanza lunghe, l’indice guida dell’azionario mondiale, cioè l’americano SP500, sembra paralizzato da due sedute nei pressi dei suoi massimi storici.

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Dopo la volatilità mostrata la scorsa settimana, con 3 sedute ribassiste e due rialziste, ma soprattutto con candele giornaliere abbastanza lunghe, l’indice guida dell’azionario mondiale, cioè l’americano SP500, sembra paralizzato da due sedute nei pressi dei suoi massimi storici. Anche ieri è finita in sostanziale parità, come già lunedì, e con la noia motivo dominante. L’indice non riesce a decidersi, né a superare il massimo storico, né ad allontanarsene. Ovviamente il congelamento americano blocca anche le borse europee.

Una situazione graficamente simile, cioè due sedute ingessate praticamente a ridosso dei massimi storici, su SP500, di recente, l’abbiamo vista due volte. L’ultima si è verificata il 6 e 7 aprile scorsi. Prima ancora si è vista il 29 e 30 marzo.

In entrambi i casi precedenti la pausa di riflessione si è risolta con la successiva ripartenza del rialzo in modo piuttosto impulsivo, con 3 o 4 candele consecutive rialziste.

Non so se capiterà anche stavolta, nonostante i proverbi (non c’è due senza tre) spingano nella direzione del rialzo.

Se così fosse, e finalmente l’indice riuscisse a violare chiaramente quota 4.200, verrebbe confermato lo sviluppo della onda 5 di (3), con possibile viaggio in direzione 4.400 punti nell’arco di qualche settimana.

La causa della pausa di riflessione in atto va cercata nell’attesa per le decisioni sulla politica monetaria della FED, che saranno rese note questa sera alle 20, e per la successiva Conferenza Stampa illustrativa del Presidente Powell.

L’appuntamento FED di aprile è piuttosto atteso, con un filo d’ansia. Da un lato fioccano sempre più generose previsioni sulla crescita economica USA per il 2021. Al 6,5% di incremento del PIL 2021 previsto dal FMI si affiancano uffici studi ancor più generosi, come Morgan Stanley, che prevedono più dell’8% di crescita. Inoltre i successi della vaccinazione potrebbero presto consentire un ritorno alla normalità sociale e la riapertura di tutte le attività ora ancora soggette a restrizioni, e i numeri dell’economia reale potrebbero ulteriormente crescere. L’espansione del reddito disponibile è stata poi drogata dalla valanga di sussidi a pioggia erogati da Trump nell’ultima fase della sua presidenza e ancor più dal Piano di Sostegno da 1.900 mld $ regalato da Biden. Intanto la FED ha finora dichiarato in modo sempre molto esplicito che la politica monetaria resterà super-accomodante ancora a lungo e che eventuali cambiamenti verranno annunciati con largo anticipo.

Ma nel frattempo si cominciano a vedere pressioni inflazionistiche sempre più evidenti, con strozzature nell’offerta di beni (ad esempio i microprocessori, che oggi sono il sale della produzione industriale) e lievitazione dei prezzi di tutte le materie prime. 

Molti temono che l’inflazione balzi nei prossimi mesi ben al di sopra del 2% tanto desiderato dalle banche centrali, e che poi non torni facilmente indietro.

La FED si trova di fronte alla difficile scelta: annunciare la fine della politica accomodante e prepararsi a rialzare i tassi per combattere l’inflazione, con la conseguenza di frenare un po’ la crescita e molto l’esuberanza dei mercati, oppure continuare a pompare liquidità per finanziare il debito pubblico federale, tenere comunque i tassi bassi (perciò farli diventare negativi in termini reali) per aiutare una crescita che non sembra più bisognosa di molto aiuto, rischiando così di dover inseguire poi un’inflazione imbizzarrita.

In entrambi i casi i mercati azionari ed obbligazionari dovrebbero restituire molta della crescita che hanno accumulato grazie alla droga monetaria. Penso che un grande “Reset” sia inevitabile.

La FED però può decidere i tempi del bagno di sangue. Cioè può scegliere tra un calo immediato e sperabilmente meno forte, oppure un calo tra qualche mese magari più doloroso. 

In altri termini, se deciderà di continuare la politica accomodante rinvierà di qualche mese la resa dei conti, e permetterà ai mercati di sognare l’infinito rialzo ancora per un po’, alzando ulteriormente i massimi storici, prima del tonfo. Se invece decidesse di agire d’anticipo, la caduta dei mercati sarebbe notevole, ma forse non devastante, e il rialzo dei tassi potrebbe forse spegnere il focolaio inflazionistico quasi sul nascere.

La FED ha imparato ad agire d’anticipo per combattere le recessioni. Infatti è questo che ha fatto ancor prima che la pandemia venisse ufficializzata, aiutando la veloce ripresa dell’economia e soprattutto dei mercati, dopo lo spaventoso tonfo di febbraio e marzo dello scorso anno.

Logica vorrebbe che se agisci d’anticipo ad aprire i rubinetti, lo stesso si faccia quando si tratta di chiuderli. Ma la FED per ora non la pensa così. La chiusura dei rubinetti monetari non si farà tanto presto, neanche se l’inflazione rialzerà la testa in modo evidente. Questo perché la FED crede che dopo essersi alzata, la testa dell’inflazione si riabbasserà presto  (e perché mai dovrebbe succedere, mi chiedo io?).

I mercati hanno creduto alla favola a lieto fine ed hanno cavalcato un rally dopo l’altro da aprile 2020 in poi. 

Ora hanno un po’ di fiatone e, guardando in basso, dove erano un anno fa, accusano un po’ di vertigini. Hanno bisogno di essere rassicurati e di avere questa sera dalla bocca di Powell la conferma di aver capito bene e che soprattutto la FED continua ad essere della medesima opinione.