Sale l'inflazione, cosa fare con le azioni?

L’aumento dei rendimenti sui titoli di Stato Usa ha raffreddato il trend rialzista delle azioni. Chiediamo ad un esperto se è ancora il momento di comprare

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La flessione della quale sono stati protagonisti i principali indici di Wall Street, S&P, Nasdaq e Dow jones, scesi al di sotto della media mobile a 50 giorni (indicatore che sintetizza con la sua posizione rispetto ai prezzi la condizione del trend di breve/medio periodo, che ha virato quindi al ribasso), è secondo molti osservatori correlata con l’aumento dei tassi sul decennale del Tesoro statunitense. L’andamento di grandezza a sua volta mostra come i tassi del Tesoro USA scontano le aspettative inflazionistiche del mercato espresse nella cosiddetta struttura a termine dei tassi, la curva dei tassi (in inglese Yield Curve).

Abbiamo chiesto a Mauro Antonio Rotunno, Analista Finanziario Indipendente, di spiegarci queste correlazioni e di fornire una sua valutazione del sentiment dei mercati in questo momento.

D. Dott. Rotunno, i recenti ribassi sono occasione di acquisto?

R. E’ interessante analizzare come sono interrelate all’interno del ciclo economico e finanziario statunitense i tassi di interesse e la borsa e di conseguenza tentare di ipotizzare cosa potremmo ragionevolmente aspettarci nei prossimi 3-4 mesi per poter orientare scelte di “asset allocation” per chi si trovasse ad essere esposto ai mercati finanziari USA. A partire da queste considerazioni è poi possibile tentare anche di prevedere che effetti a cascata si potrebbero produrre sugli altri mercati globali che, direttamente o indirettamente, risentono dell’andamento complessivo  di Wall Street. 

In pratica la domanda che ci poniamo, alla luce dei dati oggettivi si riassume in questa: “buy on the dip?“ 

D. Dott. Rotunno, quali sono i “leading indicator”?

R. Per dare una risposta a questo quesito partirei con un dato, incontrovertibile e capace di esprimere lo stato di salute complessivo dell’economia USA per i risvolti importanti di “leading indicator” che svolge: le condizioni del sistema finanziario e del credito nel suo complesso.

Tra i diversi indici che potremmo utilizzare, ne abbiamo scelto uno in particolare, il ANFCI (Adjusted National Financial Conditions), della Federal Reserve Bank of Chicago, derivato dal NFC, National Financial Conditions, che già tiene conto delle condizioni del mercato monetario, del credito, dell’equity e dello shadow banking del sistema USA, ma corretto (adjusted) per tenere conto anche delle condizioni macroeconomiche complessive. 

L’indice ANFCI della Fed di Chicago

Dalla lettura di tale indice, aggiornato settimanalmente e che i lettori possono trovare sul sito della Federal Reserve di Chicago, emerge dal suo valore di sintesi, una sostanziale assenza di criticità delle variabili finanziarie (valori negativi esprimono l’assenza di tensione nel sistema finanziario complessivo) leggermente corrette verso l’alto dall’insorgente inflazione. Nel complesso l’indicatore esprime assenza di condizioni di rischio del sistema finanziario. 

D. Dott. Rotunno, come è possibile misurare il “rischio di credito”?

R. Vi sono anche altri modi di misurare il “rischio credito”, anche di immediata applicazione per il lettore. Uno di questi è il grafico esprimente il rapporto tra due ETF, LQD (iShares Investment Grade Corporate Bonds ) e IEF (iShares 7-10 Y Tresury Bond) che misura indirettamente il rapporto tra i tassi corporate Investment grade e quelli Treasuries alle medesime scadenze. 

E’ un modo per rappresentare il livello di rischio credito percepito dal sistema. Quando aumenta  il valore dei titoli corporate, i relativi tassi sono bassi rispetto ai Treasuries, quindi la percezione del rischio credito è bassa. 

Il dato comunque è che, attualmente, dopo lo shock esogeno dato dal Covid 19, ci troviamo ancora in una fase del ciclo finanziario che riflette la politica monetaria espansiva, anche se il recente annuncio del FOMC del 22 settembre scorso di procedere al “tapering” si è riflesso immediatamente nell’aumento del tasso sul decennale che era ridisceso, dopo l’impennata da panico inflattivo di inizio anno. 

D. Dott. Rotunno, cosa pensa la Fed dell’inflazione?

R. La Fed in realtà, come traspare dal suo ultimo comunicato a seguito del FOMC, al momento ritiene che, nel suo complesso e nel medio periodo, l’inflazione sia sotto controllo e il mercato sui tassi sembra confermare il suo atteggiamento. La banca centrale giudica il ciclo economico abbastanza solido da poter procedere a cambiare rotta nella sua politica monetaria. 

Il comunicato FOMC ha avuto la conseguenza, come abbiamo detto, di innalzare i rendimenti sul decennale dopo la correzione in atto da aprile, contribuendo  di nuovo ad un leggero aumento della pendenza della curva, soprattutto tra i rendimenti da due a 10 anni. 

D. Dott. Rotunno, la curva dei tassi è “sana”?

R. Il rialzo dei rendimenti, se da un lato testimonia la conferma che l’inflazione sta risalendo, dall’altro mantiene la  curva dei rendimenti più simile a quella che la teoria abbina ad un ciclo monetario normale, con i rendimenti sulla parte a lungo della curva superiori a quelli a breve, concedendo margini di manovra per una normalizzazione della politica monetaria.  

D. Dott. Rotunno, un cambiamento di rotta è imminente?

R. L’atteso tapering e il preannunciato aumento dei tassi a breve (Federal Funds Rate) ha prodotto dapprima la traslazione verso l’alto del rendimento decennale, per consentire il futuro aumento dei tassi a breve con l’atteso appiattimento della curva. Ci troviamo, cioè, all’ultimo punto di rottura prima del cambio definitivo di politica monetaria. D’altro canto i salari orari statunitensi mostrano un tasso di crescita elevato e sappiamo che, in ultima analisi,  la Fed “legge” l’inflazione attraverso le pressioni salariali. Il grafico che si può trovare sul sito della Fed di St. Louis “Average Hourly Earnings of All Employees, Total Private” riflette tale situazione.

D. Rotunno, cosa fare quindi con le azioni?

R. Ci troviamo quindi di fronte  ad un mercato che, lentamente, sta incorporando la fine di un ciclo monetario ultra espansivo e che preannuncia un innalzamento dei tassi. I prezzi dell’azionario USA incorporano i tassi attesi di profitto del corporate americano e l’atteso aumento dei tassi non può far altro che raffreddare le valutazioni e i multipli. Meglio quindi in questa fase essere prudenti, senza tuttavia andare ancora a ridurre l’esposizione sull’azionario, operazione da attuare invece in caso di violazione della media mobile esponenziale a 200 giorni, passante a 4135 punti circa. da parte dell’S&P500.

(Alessandro Magagnoli)