Eni: la vendita del 49% di Enipower è solo un tassello

Eni conta molti progetti, dall'IPO di Plenitude, ai biocarburanti alle rinnovabili. Una cosa è certa: la transizione pretenderà investimenti importanti.

Lavori in corso. I negoziati sull’eventuale cessione del 49% di Enipower trovano qualche spazio nella cronaca finanziaria di queste settimane e costituiscono un utile spunto per descrivere la revisione del portafoglio attuato dal Cane a sei zampe per finanziare la transizione energetica.

L’operazione sarebbe un sicuramente di peso, se dovesse andare a termine, qualcosa come 600 milioni di euro che quindi indicherebbero un EV di circa 1,2 miliardi di euro. Considerando che l’ultimo bilancio di EniPower mostra un patrimonio da 1,2 miliardi e crediti da 350 milioni circa, potrebbe essere una stima plausibile, anche perché poi i ricavi in gioco sono di 450 milioni, gli utili di 106 milioni.

Dai rumors risultano in gioco tre offerte vincolanti giunte ai primi di dicembre: una da Sixt Street che avrebbe come advisor l’ex ad di Iren Massimiliano Bianco, l’altra da BlackRock e la terza da Eig Global Energy Partners. Il gruppo guidato dal CEO Francesco Giunti (in foto), sembra insomma interessare il mercato.

Enipower: quali asset in gioco

In pratica in vendita c’è una corposa quota di minoranza di una società che controlla 5,1 GW di potenza installata (la generazione complessiva italiana si aggira sui 120 GW in termini di potenza installata). Asset strategici per Eni in quanto spesso integrati con le attività della chimica della sua Versalis, ma non solo. Nel caso di Bolgiano (San Donato Milanese) e Mantova, le rispettive centrali di cogenerazione e a ciclo combinato alimentano anche reti di teleriscaldamento al servizio di circa 75 mila abitanti.

A Brindisi la centrale è inserita nel locale polo petrolchimico e si serve di tre centrali a ciclo combinato e di di una quarta con turbogeneratori alimentati dal vapore di recupero del cracking di Versalis.

A Ferrera Erbognone (Pavia), delle tre unità a ciclo combinato, una si serve del syngas (integrato da gas naturale) prodotto dalla gassificazione della vicina importante raffineria Eni di Sannazzaro de’ Burgondi.

A Mantova c’è una quota del 13,5% in mano alla multiutility locale TEA e serve aziende e cittadini con energia elettrica e teleriscaldamento, oltre alla citata Versalis. Anche a Ravenna c’è un legame storico con quella che oggi è Versalis.

A Ferrara la quota di Enipower in SEF (Società Enipower Ferrara) è del 51%, la quota rimanente del 49% è di Axpo, la multinazionale energetica guidata oggi da Christoph Brand che ha il 5% del TAP in portafoglio.

Si tratta (quasi) sempre di poli della chimica o dell’energia con tecnologie in via di sviluppo e impianti spesso all’avanguardia.

La famiglia del Pharmalene (una gamma di prodotti in polietilene) di Ravenna è stata ampliata con le termoplastiche su cui Eni sta puntando molto. Proprio a Ravenna è insediato il polo degli elastomeri del gruppo. Per rendere palpabile il tema, basti ricordare che sono prodotti destinati al settore degli pneumatici ad alte prestazioni e che l’impatto ambientale delle gomme degli pneumatici – è poco risaputo – è fondamentale nella comprensione dell’inquinamento aereo nelle nostre città.

A Mantova sono stati completati i test del progetto Hoop che punta a produrre nuovi polimeri (ossia plastiche) dai rifiuti in plastica mista (il cosiddetto plasmix): l’impianto dimostrativo dovrebbe avere una capacità di 6 mila tonnellate l’anno nel 2023.

Eni: da Enipower risorse per la transizione

Se l’operazione di cessione delle quote di minoranza di Enipower andrà in porto, le risorse saranno messe a disposizione della transizione ecologica, il faro strategico del gruppo sul quale nuova luce sarà gettata a febbraio in occasione dell’aggiornamento strategico.

Di certo di carne al fuoco ce n’è tanta. Plenitude entro l’anno dovrebbe essere quotata e raccogliere risorse da mettere al servizio della nuova dimensione rinnovabile di Eni (Eni gas e luce più un portafoglio di generazione da rinnovabili da 1,2 GW e la seconda rete di ricariche d’Italia).

Il business tradizionale del greggio, in una compagnia verticalmente integrata (quindi con effetti anche opposti in reazione ai prezzi fra le varie divisioni), sta intanto sicuramente fornendo soddisfazioni.

A fine ottobre il gruppo calcolava che un apprezzamento di un dollaro del Brent portava con sé 210 milioni di euro in più di Ebitda adjusted e 140 milioni di utile netto adjusted, anche se l’apprezzamento del dollaro forniva un effetto opposto e bisogna tenere conto anche dei margini di raffinazione.

Di certo le novità da Eni nei prossimi mesi non mancheranno.

(Giovanni Digiacomo)

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