Luci e ombre dalla dichiarazione finale del G20 di Roma sul clima. Ora il testimone passa al Cop26 di Glasgow: dovrà fare un altro passo avanti e ottenere nuovi impegni concreti sul contrasto al cambiamento climatico.
A Roma, grazie all’impegno del premier italiano Mario Draghi, il filo del dialogo non si è interrotto ed è ripartito un approccio globale multilaterale che mancava da tempo.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha commentato: “Le speranze non sono soddisfatte, ma nemmeno sepolte”, come a dire che poteva andare meglio, ma anche molto peggio. I freni maggiori sono venuti soprattutto da Russia, Cina e India. Il presidente cinese Xi Jinping, che diserta gli incontri internazionali da 21 mesi ormai (non ha neanche ancora incontrato il presidente Usa Joe Biden), a Roma non era presente e anche questo è stato un freno. L’incontro però ha anche ottenuto dei risultati e soprattutto posto una piattaforma di confronto per Glasgow che non era affatto scontata.
Il secondo punto della dichiarazione finale ha sottolineato il ruolo cruciale e condiviso del multilateralismo per l’ottenimento di soluzioni condivise ed efficaci di contrasto al Covid e di supporto alla ripresa economica.
G20: risultati contradditori sul clima
Al punto 21 della dichiarazione le prime venti economie del pianeta, che coprono quasi l’80% delle emissioni di CO2, hanno confermato l’impegno dell’Accordo di Parigi a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi dai livelli pre industriali con l’obiettivo di limitarlo a 1,5°.
L’obiettivo insomma è stato posto e la palla adesso passa a Glasgow, rimane però una vaghezza che gli osservatori internazionali non hanno potuto ignorare e che rappresenta invece uno dei maggiori limiti dell’ultimo consesso romano.
In termini temporali il documento firmato dal G20 impegna le maggiori economie all’obiettivo della neutralità carbonica in una generica “metà del secolo all’incirca”. Non c’erano stati mai da parte di Russia, Cina e India impegni decisi sul fronte della neutralità carbonica, era circolato un generico riferimento alla fine del secolo e di recente la Cina aveva posto il target al 2060.
Si tratta dunque di un impegno nuovo, anche se per molti osservatori resta davvero troppo poco. Il premier Boris Johnson, che ora raccoglie a Glasgow l’eredità del Vertice di Parigi sul Clima, ha chiaramente detto che “non basta”.
Al G20 di Roma c’è stata però anche una promessa economica concreta per il supporto dei Paesi emergenti nella transizione climatica. Si tratta di 100 miliardi di dollari l’anno, tra il 2020 e il 2025, che dovrebbero aiutare i Paesi più fragili e che maggiormente sono stati colpiti dall’impatto dei cambiamenti climatici. Mario Draghi ha affermato che, nonostante le difficoltà riscontrate per raggiungere questi importi, si sarebbe ormai oltre gli 80 miliardi di dollari raccolti e che, su proposta della Francia sostenuta dall’Italia, si potrebbero impiegare anche i diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale per colmare temporaneamente il gap.
L’Italia ha comunque fatto il punto su questo aspetto con una nota del Tesoro che specifica anche l’impegno da 4 miliardi di dollari del Bel Paese su questo fronte.
Un altro impegno è provenuto dalla conferma dei commitment di Pittsburgh del 2009 per la razionalizzazione e l’uscita, nel medio termine, dai finanziamenti alle inefficienti fonti fossili che ne incoraggiano un consumo eccessivo. Confermata anche la volontà di ridurre l’intensità delle emissioni in linea con le tappe necessarie al raggiungimento degli obiettivi degli accordi di Parigi. In concreto adesso le nazioni del G20 si sono impegnate a bloccare il finanziamento pubblico di nuove centrali di generazione a carbone dalla fine di quest’anno 2021: è un impegno che potrebbe avere effetti molto tangibili nell’Est europeo e in Cina.
G20, le altre decisioni
Il consesso delle prime venti economie del Pianeta raggruppa qualcosa come il 90% del Pil mondiale e dunque non potevano mancare altre importanti intese destinate a indirizzare la ripresa del post-pandemia. I grandi hanno per esempio approvato la tassa minima globale al 15% per le multinazionali. L’iniziativa era partita dalla segretaria al Tesoro USA Janet Yellen, aveva ottenuto l’ok del G7 e ora incassa quello del G20, secondo i più ottimisti potrebbe ridisegnare le regole della finanza globale e contrastare l’erosione della base fiscale che danneggia anche le maggiori economie del mondo.
In pratica i colossi con oltre 20 miliardi di euro di proventi potranno essere tassati anche nei Paesi dove avvengono i consumi e i Paesi sedi delle multinazionali potranno imporre una tassa minima del 15%.
Assai più in concreto dovrebbe così tramontare il progetto della digital service tax europea che rischiava di scatenare dei dazi ritorsivi Usa. Entro il 2023 Italia, Francia e Spagna che avevano previsto imposte ai danni di colossi come Facebook, Amazon e Google, dovrebbero rimuoverle. Gli atlantici si sono riavvicinati insomma con Biden, che ha sottolineato questo rinnovato feeling con l’Europa.
Non a caso fra UE e Stati Uniti si è raggiunta una nuova e importante intesa sull’acciaio e l’alluminio. Washington rimuoverà i dazi anti-Ue (25% sull’acciaio e 10% sull’alluminio) che rischiavano di accendere una guerra commerciale, Bruxelles ritirerà le proprie contro-misure seguendo una procedura avviata al WTO (l’Organizzazione mondiale del commercio).
Si è parlato poi ovviamente anche di fronte comune contro il Covid e a supporto della ripresa anche nei Paesi Emergenti. Si è parlato di collaborazione sanitaria globale, di trasporti, di regolamentazione finanziaria, persino di investimenti in infrastrutture. Ma l’attenzione massima è stata per il clima, nel contesto di un crescente e sempre più frequente impatto degli eventi catastrofici. La palla passa a Glasgow, ma (quasi) tutti sono certi che bisognerà fare ancora di più.
(Giovanni Digiacomo)