Come leggere le decisioni delle banche centrali

In un contesto in cui la teoria economica fa fatica a spiegare gli effetti delle politiche monetarie, dice John Reckenthaler, vicepresidente della ricerca di Morningstar, meglio non rischiare asset allocation tattiche e tenere sotto controllo l’eccessivo indebitamento del sistema finanziario.

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Cosa dobbiamo aspettarci dalle Banche centrali nei prossimi mesi? E quali ripercussioni avranno sulle nostre scelte di investimento?

In passato siamo stati abituati a servirci della teoria economica per spiegare le decisioni degli istituti. Facciamo un esempio: la Federal Reserve, che ha il doppio obiettivo del controllo dei prezzi e della piena occupazione, aumenta la quantità di moneta in circolazione al fine di ridurre i tassi di interesse e stimolare l’economia, e di conseguenza far salire l’occupazione grazie alla crescita degli investimenti. Questo paradigma, a cui siamo stati sempre abituati, ha smesso di funzionare dopo la crisi finanziaria del 2008. Negli anni successivi allo shock prodotto dal fallimento di Lehman Brothers, la Fed ha iniziato ad iniettare moneta per superare le ripercussioni sull’economia reale, ma questo non ha indotto un aumento dell’inflazione che invece è addirittura scesa dal 3,2% del 2011 allo 0,1% del 2015. Un risultato analogo lo si è avuto nel 2020, quando la discesa dei tassi dall’1,5% di fine 2019 all’attuale 0% non ha sortito effetti sul livello dei prezzi.

La teoria fa fatica a spiegare la realtà

A venirci in soccorso nell’interpretazione dell’attuale quadro macroeconomico, secondo Laurence Siegel, Direttore della Ricerca per CFA Institute Research Foundation, è la teoria fiscale del livello dei prezzi (fiscal theory of the price level), secondo la quale l’inflazione è prodotta utilizzando la leva fiscale (aumento del debito e del deficit di bilancio), mentre gli interventi di politica monetaria avrebbero solo un’azione indiretta sul livello dei prezzi. Per vedere risalire il livello dei prezzi dovremmo quindi attendere un forte aumento della spesa pubblica da parte dei governi.

Un altro fenomeno che la teoria non riesce a spiegare è la tenuta del prezzo dei titoli di Stato nonostante il basso livello dei tassi di interesse. “Il fatto che un investitore sia disposto a non ricevere un corrispettivo o addirittura a pagare per dare in prestito il proprio denaro è un po' come se la forza di gravità ci spingesse verso l’alto e non verso il basso”, dice Siegel. “L’unico motivo che potrebbe spiegare l’attuale andamento dei prezzi dei titoli di Stato è che il mercato confida nel fatto che il debito verrà rimborsato interamente in termini reali. Ma perché ciò avvenga, i governi dovranno macinare in futuro degli avanzi primari (entrate meno spese diverse dagli interessi sul debito nazionale); una cosa difficile da immaginare in questo momento e che, secondo la teoria fiscale del livello dei prezzi non farebbe risalire l’inflazione”.

Concentrandoci sul comportamento delle Banche centrali nel prossimo futuro, le aspettative del mercato sono per un prolungato sostegno alla ripresa delle economie fortemente debilitate dalla pandemia.

Nell’ultimo meeting della Fed nel 2020 il Presidente, Jerome Powell, ha dichiarato la sua intenzione di sostenere la risalita del Prodotto interno lordo e del tasso di inflazione attorno all’obiettivo del 2%. Che, tradotto in numeri, vuol dire tassi di interesse vicino allo zero ancora per molto tempo.

La Bce, dal canto suo, ha dichiarato l’intenzione di mantenere invariato il livello dei tassi di interesse (attualmente pari allo 0%), o addirittura di ridurlo ulteriormente, fino a quando il tasso di inflazione non si sarà riavvicinato al 2% (cioè al suo obiettivo). Inoltre, al fine di stimolare ulteriormente la ripresa dell’economia della regione ha deciso di aumentare di altri 500 miliardi di euro il piano PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), che prevedeva uno stanziamento di 1.350 miliardi di euro per l’acquisto di titoli di Stato con lo scopo evitare qualsiasi tipo di speculazione sul debito sovrano, e di prolungarlo fino a marzo 2022.

Discorso analogo anche per la Bank of England e la Banca centrale giapponese che hanno lasciato invariati i loro tassi di riferimento, rispettivamente pari allo 0,1% e -a 0,1%, e la politica di sostegno all’economia a causa del Covid-19.

Quali conseguenze per gli investitori

Ma quali conseguenze avranno le decisioni delle banche centrali sui nostri investimenti? John Reckenthaler, vicepresidente della ricerca di Morningstar, mette in guardia quelli che anche in questo contesto volessero adottare un asset allocation tattica: “Cercare di ricavare un profitto nel breve termine giocando sul giusto timing per investire sul mercato obbligazionario piuttosto che su quello azionario, o viceversa, sarebbe come camminare al buio. Di solito questa strategia si basa sulla teoria degli investimenti o sulla ripetizione di modelli che si sono verificati in precedenza, elementi che difficilmente funzionerebbero in contesti inesplorati come quello attuale”.

Va inoltre evidenziato come tassi di interesse così bassi favoriscano altre forme di investimento alternative al reddito fisso, cosa che contribuirebbe a spiegare le elevate valutazioni dei listini azionari nonostante una delle peggiori crisi economiche a livello mondiale. Reckenthaler pone poi l’accento anche sui possibili effetti negativi di una così elevata quantità di liquidità nel sistema: “Il denaro facile produce un maggiore indebitamento e dunque una più elevata leva finanziaria e abbiamo visto in passato come un livello di debito eccessivo abbia fatto entrare il sistema finanziario in crisi. Questo, però, non vuol dire che la scelta migliore sia quella di uscire dal mercato. Al contrario, è sempre la decisione peggiore. Sia se si ragiona nel breve periodo, che nel lungo termine”.

Di Francesco Lavecchia