Nike oltre le attese nonostante i problemi alla supply chain

Nike in rally a Wall Street dopo un trimestre oltre le attese. Il colosso dello sportswear è riuscito a gestire i problemi alla supply chain che hanno ridotto le scorte.

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Se Adidas lo scorso mese lanciava l'allarme su un Natale a rischio, la rivale Nike può per lo meno festeggiare risultati trimestrali oltre le attese del mercato grazie a una gestione della crisi della supply chain che le permette comunque di crescere. Certo, i ricavi sono aumentati di appena l'1% annuo nel secondo trimestre dell'esercizio 2022 (brusca frenata se si considera che nell'intero semestre il progresso è stato dell'8%) ma in ogni caso gli 11,36 miliardi di dollari mesi a bilancio si sono rivelati superiori agli 11,25 miliardi del consensus di FactSet. Abbastanza per spingere in rally di oltre il 3% il titolo Nike in premarket al Nyse.

Trimestre oltre attese per Nike nonostante problemi a supply chain

Nike nonostante i problemi ha messo a segno un Black Friday da record in Usa e nell'intero trimestre le vendite in Nordamerica, suo maggiore mercato, sono cresciute del 12% annuo. Quelle dirette sono salite 9% a 4,70 miliardi e anche le vendite online hanno segnato un rialzo del 12% rispetto al pari periodo dello scorso esercizio. Se si aggiunge il fatto che nei tre mesi allo scorso 30 novembre l'utile per azione è salito da 78 a 83 centesimi, contro i 63 centesimi del consensus di Refinitiv, si capisce la reazione positiva di Wall Street. "Nike è brava nell'ottenere le scorte più ampie possibili. E nel lungo periodo non vedo esaurirsi questa tendenza perché i suoi prodotti sono così ambiti dai consumatori", sottolinea Jessica Ramirez, analista di Jane Hali & Associates citata da Reuters.

Nike è brava nel gestirla ma la crisi della supply chain è concreta

Certo la crisi della supply chain è concreta, anche per Nike. Il chief financial officer Matt Friend ha ammesso che gli stop nei suoi impianti del Sud-Est asiatico hanno ridotto la produzione di circa 130 milioni di pezzi. Nike come molti gruppi occidentali ormai produce prevalentemente in Vietnam e nel Paese le attività sono state bloccate per mesi dalla pandemia. Ora che gli impianti vietnamiti sono tutti operativi la capacità è comunque all'80% dei livelli pre-pandemici. E se questo non ha impedito di ottenere risultati confortanti in patria, in Greater China ha causato un declino delle vendite del 20% nel trimestre chiuso lo scorso 30 novembre.

Nike più forte della crisi della supply chain resta buy a Wall Street

Prima dell'ultima trimestrale, Nike aveva battuto il consensus di FactSet per cinque volte consecutive, ma in termini di utile. Nel primo trimestre 2022 aveva infatti deluso per quanto riguarda i ricavi. Secondo Jonathan Komp, analista di Baird citato da MarketWatch prima della pubblicazione della trimestrale, le pressioni ribassiste, anche in Cina, rimangono limitate per Nike, grazie anche alla leadership in diverse categorie, dal basket al running. Baird giudica il titolo outperform, con prezzo obiettivo di 192 dollari. E la media dei 31 analisti che compongono il consensus di FactSet rimane overweight (equivalente del buy) con target price di 183,25 dollari (Nike scambia intorno a 163 dollari riavvicinandosi alla riapertura di Wall Street). (Raffaele Rovati)