Mercato del lavoro Usa ai record, le borse non scendono

L'economia Usa continua a sorprendere con dati macro positivi. Lo S&P500 ignora la guerra in Europa e i tassi in crescita e rimane al rialzo. Durerà?

L’economia Usa continua a sorprendere con dati macro positivi. Lo S&P500 ignora la guerra e i tassi in crescita e rimane al rialzo. 

Mercato del lavoro Usa da record

L’economia Usa continua a sorprendere con dati macro positivi. Oggi è stata la volta delle nuove richieste di sussidi di disoccupazione che nella settimana terminata l’18 marzo si sono attestate a 187 mila unità, il valore più basso degli ultimi 52 anni, dal settembre del 1969. Il dato è inferiore alle attese, di 210 mila unità, e al dato della settimana precedente, di 215 mila unità. Il numero totale di persone che richiede l’indennità di disoccupazione (calcolato sui dati all’11 marzo) si attesta a 1,350 milioni, inferiore alla rilevazione precedente di 1,417 milioni e a fronte di attese di 1,410 milioni. 

PMI manifatturiero in crescita

Che l’economia stia tirando forte non lo dice solo il mercato del lavoro. Markit ha reso noto che nel mese di marzo l’Indice PMI Manifatturiero (flash) è atteso a 58,5 punti in aumento dai 57,3 punti di febbraio. E’ in crescita anche l’indice dei servizi, salito a 58,9 punti da 56,5 precedenti. L’indice Composite è atteso a 58,5 punti dai 55,9 punti precedenti. 

La situazione macro favorevole paradossalmente può danneggiare le borse, dal momento che incoraggia la Federal Reserve a proseguire con il suo programma di una stretta monetaria aggressiva. Oggi però gli investitori fanno finta di ignorare l’atteggiamento da “falco” (in politica monetaria un atteggiamento “falco” è favorevole ai rialzi dei tass, uno “colomba” invece vede di buon occhio i tagli) della Fed, lo S&P500 sta infatti guadagnando lo 0,6% circa a 4484 punti.

La Fed indossa il costume da “falco” 

Negli ultimi giorni sono aumentati i commenti dei membri della Fed che sponsorizzano molteplici rialzi dei tassi da qui a fine anno nonostante le prospettive altamente incerte a causa della guerra in Ucraina. 

Secondo Loretta Mester, numero uno della Federal Reserve Bank (Fed) di Cleveland, i tassi d’interesse Usa devono salire al 2,50% per la fine del 2022 e crescere ulteriormente nel 2023 in modo da tenere l’inflazione sotto controllo. 

Settimana scorsa il Federal Open Market Committee (Fomc), dopo avere aumentato il costo del denaro in Usa per la prima volta dal dicembre 2018, aveva stimato, come si può rilevare dal “dot plot”, in media di portare i tassi all’1,90% per fine anno e al 2,80% nel 2023. “Considerando la solidità di fondo dell’economia e l’attuale livello molto basso dei tassi, ritengo utile anticipare alcuni degli aumenti necessari piuttosto che rimandarli, perché ciò metterebbe la politica in una posizione migliore per adeguarsi se l’economia si evolvesse in modo diverso dal previsto”, ha dichiarato Mester in un discorso alla John Carroll University.

L’inflazione è fuori controllo 

La ragione principale per il nervosismo della Fed è legato all’andamento dell’inflazione.

Jerome Powell, parlando lunedì alla National Association for Business Economics, ha ammesso che la narrazione secondo cui l’inflazione avrebbe raggiunto il picco nel primo trimestre è “andata in pezzi”. Nel corso del prossimo anno l’istituto centrale, ha sottolineato il chairman della Federal Reserve (Fed), non baserà la sua politica su previsioni ma vorrà vedere “progressi effettivi” in tema di prezzi.

In merito al ricorso a un incremento dei tassi d’interesse Usa di 50 punti base Powell è stato possibilista, come già per altro nella conferenza stampa successiva al meeting del Federal Open Market Committee (Fomc) di settimana scorsa. “Adotteremo le misure necessarie per garantire un ritorno alla stabilità dei prezzi. In particolare se concluderemo che sia opportuno agire in modo più aggressivo aumentando i tassi di oltre 25 punti base in uno o più meeting lo faremo”, ha spiegato Powell.

La banca centrale Usa prevede adesso un’inflazione (PCE inflation) al 4,3% nel 2022 e del 2,7% nel 2023, le stime precedenti di dicembre erano invece rispettivamente del 2,6% e del 2,3%. Per quello che riguarda la crescita del Pil adesso l’ipotesi è di un +2,8% nel 2022 e del +2,2% nel 2023 (+4% e +2,2% le stime di dicembre). 

La presidente della Fed di San Francisco Mary Daly, parlando ad un evento organizzato da Bloomberg, è stata chiara “With the labor market so strong, inflation, inflation, inflation is at the top of everyone’s mind”.

Salgono i rendimenti dei Treasury

Le borse fingono indifferenza, intanto le tensioni si scaricano sul mercato dei titoli di stato. Il Treasury con scadenza a 10 anni ha visto salire i rendimenti al 2,355%, sui massimi da tre anni. Quello a scadenza 2 anni ha un rendimento del 2,148%, la differenza tra i due è quindi ridotta a 20 punti base circa.

Ancora non siamo all’inversione della curva, ma poco ci manca. Secondo alcuni economisti già una compressione dello spread 10-2 anni sotto i 10 punti base può essere considerata come un segnale anticipatore di una recessione nel futuro. 

Segnali grafici di forza per lo S&P500

Lo S&P500 ha superato settimana scorsa il picco del 3 marzo a 4417 punti, inviando un segnale di forza che potrebbe anticipare adesso nuovi rialzi. Il prossimo livello critico per l’indice è quello dei 4550 punti, 61,8% di ritracciamento (percentuale di Fibonacci) del ribasso dal top di gennaio.

In caso di superamento anche di quei livelli aumenterebbero le possibilità di vedere tornare i prezzi sui massimi di inizio anno a 4819 punti.

Sotto area 4400 diverrebbe invece più concreto il rischio che il rimbalzo in atto dai minimi di febbraio a 4115 punti sia solo un intermezzo nell’ambito del trend ribassista intrapreso a gennaio, un trend che potrebbe riprendere forza per dirigersi verso i 4000 punti almeno.

(Alessandro Magagnoli)

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