Titoli di coda per Trump

Siamo finalmente arrivati alle battute finali del reality show “Trump alla Casa Bianca”.

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Siamo finalmente arrivati alle battute finali del reality show “Trump alla Casa Bianca”.

Ancora poche ore e quello che, se abitasse in un condominio, sarebbe certamente “il vicino piantagrane”, lascerà la Casa Bianca. In uno sforzo di ottimismo voglio pensare che il trapasso politico di Trump e l’insediamento del mansueto e un po’ sonnecchiante nonno Biden avvenga senza inconvenienti.

Per evitarli è stato mobilitato l’esercito. Un imponente apparato di sicurezza di oltre 25.000 uomini ed un esteso dispiegamento di mezzi ha blindato Capitol Hill, dove avverrà nel pomeriggio americano il giuramento solenne del nuovo Presidente. La mitica FBI è molto preoccupata per la notevole intensità di messaggi sui social che invitano ad impedire in modo violento l’insediamento dell’”usurpatore” Biden.

Ulteriore elemento di preoccupazione è l’alto numero di manifestazioni previste non solo a Washington, ma anche in altre città, certamente meno presidiate della capitale. 

Intanto l’imprevedibile Donald per una volta non ha elargito effetti speciali nel suo discorso d’addio, trasmesso ieri. Ha immancabilmente celebrato i suoi successi e promesso che il suo impegno politico continuerà, ma ha confermato che non parteciperà alla cerimonia dell’insediamento del suo successore. Non è mai successo prima, nella storia degli USA, che il presidente uscente diserti l’insediamento del successore. Non parteciperà neppure Pence, il vice di Trump.

Come ultimo atto presidenziale ha graziato o commutato le pene a ben 142 persone, quasi tutti amici o ex collaboratori con scheletri negli armadi. Spicca tra loro il nome di Steve Bannon, guru del sovranismo, che fu suo consigliere molto ascoltato nella campagna elettorale che lo portò alla Presidenza e nei primi anni del suo mandato. Poi il legame si sciolse. Bannon scrisse due anni fa un libro piuttosto critico su Trump e trasferì i suoi interessi in Europa, dove cercò di organizzare una centrale sovranista in appoggio a Orban e Salvini per disarticolare l’Unione Europea. Ad agosto dello scorso anno fu però arrestato per essersi intascato una parte delle donazioni raccolte per finanziare la costruzione del muro al confine col Messico. Ora Trump viene in suo soccorso.

Ieri Wall Street, che ha riaperto i battenti dopo il ponte festivo, ha provato a rialzare immediatamente la testa dopo la scivolata di venerdì scorso.

Ad aiutarla ce l’ha messa tutta anche nonna Yellen, fresca ministra del Tesoro nominata da Biden, che in un’audizione alla Commissione Finanze del Senato ha invitato il Congresso a non preoccuparsi del debito e ad “agire in grande” per stimolare l’economia ad uscire dalla crisi pandemica.

Musica per le orecchie dei mercati, sempre ricettivi quando si promettono stimoli e aumenti di spesa pubblica. Yellen ha pure smentito che sia in arrivo un significativo aumento delle tasse, almeno non nel breve termine. Insomma, il messaggio è stato molto compiacente con le brame speculative del mercato.

SP500, dopo un inizio titubante, ha così potuto estendere il suo rimbalzo, riassorbire tutta la discesa di venerdì scorso e riportarsi in area 3.800, chiudendo con un significativo +0,81% ad una trentina di punti dal massimo storico del 8 gennaio di 3.827.

Ieri dovevamo anche verificare il giudizio del mercato sulle società che hanno presentato le trimestrali, dopo la reazione sorprendentemente punitiva vista venerdì. Ebbene, anche ieri il mercato è stato piuttosto severo, con un comportamento quasi rovesciato rispetto a quel che direbbe la logica. Goldman Sachs, che ha presentato una trimestrale brillante con ampio superamento delle attese degli analisti, è stata punita (-2,3%). Anche Bank of America è scesa (-0,7%) sebbene abbia superato le previsioni di utile, mentre Netflix, che ha mancato di poco le attese sui profitti, ma ha aumentato gli abbonati a 200 milioni, è salita meno di SP500, cioè senza infamia ma con poca lode.

Abbiamo perciò il secondo indizio, dopo quello di venerdì, che gli investitori sembrano portati a prendere profitto, a prescindere, sulle società che rilasciano i conti trimestrali. Due indizi però non sono ancora una prova. 

A brillare ieri è stato il comparto tecnologico, con il Nasdaq100 (+1,50%) che è riuscito a tornare in area 13.000, a meno di un punto percentuale dai suoi massimi storici.

Oggi potremmo assistere al tentativo di estendere i record da parte degli indici USA, specialmente se la cerimonia per Biden si svolgerà senza intoppi.

L’Europa ieri non ha brillato, chiudendo con modesto segno negativo quando Wall Street era sui minimi di seduta. Oggi potrebbe in apertura rimbalzare un po’, per recepire lo slancio finale di Wall Street. Ma avrà il freno a mano tirato, perché la cerimonia di Biden comincerà quando in Europa i mercati saranno già chiusi.

Chi dovrebbe rimbalzare un po’ di più è l’indice italiano, che beneficerà della mezza fiducia strappata dal governo Conte al Senato. Una maggioranza da 156 voti, relativa ma non assoluta. Sufficiente per tirare a campare, ma non per governare fino al 2023 con autorevolezza. Penso perciò che Conte abbia ancora parecchio lavoro da fare per rinsaldare la compagine ed attirare forze fresche, quelle che una volta erano disprezzati come volta-gabbana ed oggi invece vengono adulati come  “costruttori”.

Cambiano i tempi, cambiano le parole, ma è sempre l’attaccamento alla poltrona il principio guida della politica italiana.