Viaggio dentro i partiti: Forza Italia!

Perno stabile della triade di partiti che guidano il centrodestra, Forza Italia continua a mantenere percentuali di consenso non disprezzabili ma coagulate, oggi come il primo giorno, intorno alla figura del suo leader Silvio Berlusconi. All’affacciarsi, prima o poi inevitabile, non si sa quanto imminente, di una successione al vertice, che sarà di Forza Italia?

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Che Silvio Berlusconi potesse essere considerato immortale ci aveva provato già il suo medico Umberto Scapagnini, nel lontano 2004, a dirlo.

Che al Cavaliere interessasse l’elisir di lunga vita, tanto da investire, in passato, assieme a Leonardo Del Vecchio e in collaborazione con storici (mal)affaristi della sanità come Luigi Verzé, in ambiziosi progetti di ricerca medica sulla longevità e l’immortalità, era già noto o comunque facile da immaginare.

E si può dire che, sebbene qualche colpo l’abbia perso anche lui, Berlusconi continua a essere leader di un partito che si attesta intorno all'8% e che attualmente è la terza stampella irrinunciabile della coalizione di centrodestra assieme a Fratelli d’Italia e alla Lega.

Né  questi ultimi possono permettersi di farne a meno, dal momento che non solo i suoi voti li ha eccome, ma questi sono anche i voti di un elettorato più moderato, incline a credere ancora (ancora?!) alla rivoluzione liberale dell’imprenditore self-made più che alle sparate sovraniste di Meloni e Salvini.

Il tutto, naturalmente, nel contesto di un partito interamente costruito sul culto della personalità del suo fondatore, del suo azionista di maggioranza, si può dire del suo proprietario.

La storia recente d’Italia, a dirla tutta, risente di questo personalismo esasperato: la nozione gramsciana di cesarismo (Quaderni del carcere 13,27) si è rivestita di una patina nuova e corrispondente all’imporsi del neoliberismo, e il mutamento antropologico cui il berlusconismo ci piega ci consegna nozioni nuove di denaro, potere, successo, forse intelligenza.

Una delle ultime prove, in tempi recenti, del legame a doppio filo tra Forza Italia e il suo fondatore è stato il tentativo di Raffaele Fitto di scalare il partito dall’interno pur senza esserne il finanziatore.

Uno schema volto a ricalcare quanto fatto da Salvini nella Lega? Possibile, nelle intenzioni; impossibile nella pratica, anche per il diverso sostrato elettorale: la Lega affrontava allora il terremoto interno dei 49 milioni e la conseguente crisi di consenso derivante da una grossa questione morale.

Lo storico elettorato leghista, infatti, ben prima di riscoprirsi fascista, amava chi tuonava contro Roma ladrona, e una volta subito lo shock di ritrovarseli in casa, i ladroni, mollò la baracca attorno al 4%.

Forza Italia, invece, ha fatto breccia nel cuore degli Italiani proprio per questa sua capacità di relativizzare ogni questione morale, di gridare alla persecuzione anziché sottoporsi a equi processi, di trasformare in ribellismo romantico l’evasione fiscale – un paradigma estesosi ben oltre le aule parlamentari.

Il ricordo del potere

Sapientemente, ma non ci stiamo dicendo niente di nuovo, il Berlusconi delle origini creò un cocktail di elementi già presenti nei malumori del popolo italiano, da un diffuso senso di rivalsa nei confronti delle istituzioni grigie e barcollanti di Tangentopoli al desiderio traffichino di arricchirsi alla svelta (e impunemente), dall’insofferenza verso le tasse al sentimento anticomunista tutt’ora esistente ed egregiamente sopravvissuto a quello comunista.

Non è certamente questa la sede per riepilogare l’ascesa al potere di Berlusconi, le piste aperte puntualmente lasciategli dagli avversari, la capacità di risorgere dalle proprie ceneri e a volte da quelle altrui.

Impossibile riepilogare anche i numerosi processi, molti di natura penale, a carico dell’ex premier, il più grave dei quali, almeno in termini di esito definitivo, è stato il processo Mediaset, conclusosi nel 2012 con una condanna a quattro anni per frode fiscale.

Basti dire, a titolo di carrellata, che Berlusconi è stato capo del governo per ben quattro volte – un record imbattuto nella Seconda Repubblica e superato nella Prima solo da mastri burattinai del potere come Alcide De Gasperi (presidente del Consiglio per ben otto mandati nella transizione dalla monarchia alla Repubblica), Amintore Fanfani (sei volte), Aldo Moro, Mariano Rumor (cinque) e ovviamente Giulio Andreotti (sette).

Stiamo parlando, però, di un periodo in cui ancora era pienamente applicato il dettato costituzionale, in particolare in quanto esso prevede un maggiore rilievo del Parlamento rispetto al governo, e un suo effettivo appannaggio sull’esercizio del potere legislativo; i governi si avvicendavano dunque con più disinvoltura nel corso delle legislature, e senza che detti avvicendamenti avessero ogni volta un sapore di cambiamento epocale.

Ma lasciamoci alle spalle i fasti passatisti della Prima Repubblica e proseguiamo coi record del nostro: Berlusconi è stato in grado di rialzarsi da oscillazioni di consenso anche molto ampie, come il crollo del 2011, frutto di un combinato disposto tra le oscene verità che emerse dal Rubygate e le tirate d’orecchie europee che portarono alla rimozione del Cavaliere ‘perché sennò rischiamo di finire come la Grecia’ e, no, non si parlava di agorà.

Ben quattro partiti attualmente presenti nell’arco parlamentare, anche seduti ad angoli opposti, hanno almeno una volta, nel corso della loro storia, sostenuto un governo di o con Berlusconi (PD, Lega, Fratelli d’Italia o perlomeno i suoi prodromi, chiaramente Forza Italia).

Se rifacciamo il conto concentrandoci sui segretari di partito, il numero sale ancora: si dovranno tenere questo marchio Enrico Letta, agnello sacrificale delle prime larghe intese, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, che nel governo Berlusconi IV era addirittura ministra, e Matteo Renzi, emulo smaccato di Berlusconi, e al quale il marchio tutto sommato non pesa.

Ed è proprio con le larghe intese, il sogno migliorista di Napolitano avveratosi tra il 2011 e il 2013, e poi trasformatosi in prassi, che Forza Italia mostra di essere la fenice di cui sopra e di sapersi continuamente reinventare!

Una mutazione antropologica anche interna: le larghe intese

Gli anni appena menzionati sono stati anni in cui Berlusconi e la sua creatura politica hanno rischiato di passarsela male – solo rischiato, per la verità, dal momento che pare ormai definitivo che l’unico avversario in grado di cancellare Berlusconi dalla politica sia la morte.

A oggi si vocifera (e quando non si è fatto?) una sua possibile elezione al Quirinale, a oggi circola forse il pentimento, nei suoi avversari di un tempo, per non aver mai varato una legge sul conflitto d’interessi in nome di una grandeur che li rendeva superiori all’uso delle leggi ad personam – e invece adesso c’è Renzi, quindi ad personam non proprio – o forse in nome di diffusi e indimostrabili scheletri nell’armadio.

Ma sulle prime albe del decennio scorso un brivido deve aver percorso la schiena del Caimano quando, in una manciata di mesi, nuovi processi con una (sacrosanta) enorme eco mediatica, quelli comunemente denominati RubyGate, la caduta del governo che già se la passava male e la condanna definitiva per frode fiscale si sono susseguiti a ritmi vertiginosi.

Senza l’aiutino del Presidente della Repubblica – il soprannome Re Giorgio è poi così irriverente? – e senza la capacità, da parte del nostro, di cogliere fulmineamente il mutamento di fase, ci saremmo forse liberati, in termini politici, del personaggio più losco della nostra storia recente.

Invece non solo non è accaduto, ma Berlusconi, o chi per lui, ha saputo rimodulare la propria presenza nello scenario politico senza mollare un centimetro più del necessario, inserendosi nella nuova coalizione di centrodestra con Lega e Fratelli d’Italia e rimanendone stampella indiscussa.

Certo, i consensi non sono più quelli di una volta, quelli del plebiscito e dell’acclamazione, ma nemmeno Berlusconi è più quello di una volta, e la natura personalistica di Forza Italia è rimasta pressoché inalterata.

Qualcosa sta cambiando, e si vede: il personalismo non dura all’infinito, o per sua natura non può durare più della persona stessa; ma intanto, con ricorrenza singolare e inquietante, le vele tricolori del partito sono gonfie.

Draghi fuor di dubbio!

Ci possiamo dire due verità, a proposito dell’orientamento politico stricto sensu di Forza Italia: la prima è che essa, il suo leader, i suoi esponenti di punta, si sono sempre presentati come liberali puri nel campo economico, neoliberisti in quello politico; il loro inneggiare a una sorta di rivoluzione liberale e lo scempio fatto del welfare pubblico ne sono sufficienti prove.

La seconda è che, più o meno per opinione comune a chiunque non sia ancora un aficionado del Cavaliere, in realtà di ammantatura ideologica ne serviva lo stretto indispensabile, almeno in origine, per fondare un partito, venderlo come fosse una batteria di pentole e salvare il Cavaliere dalla galera.

Ora, se nei nostri pensieri prevale la seconda, non ci sarà argomento politico che tenga: finché la barca va…

Ma se prevale la prima, sarà necessario ammettere che nessuno quanto l’ex governatore della Banca Centrale Europea, di Bankitalia e consigliere d’amministrazione nel bureau di Goldman Sachs (tra il 2002 e il 2005 oltretutto, proprio nel periodo in cui GS gonfiò e contrasse a ruota libera i prezzi dei mutui immobiliari statunitensi coi risultati disastrosi che conosciamo) può andare a braccetto con tali connotati ideologici.

Un premier come Draghi, che fa o ha fatto parte indiscussa del gotha delle istituzioni mondiali funzionali al tardo capitalismo, piace a tutto l’arco parlamentare – nel valzer delle privatizzazioni e dei fondi europei per il PNRR ci dovrebbe essere un biscottino per tutti – ma ad averne il ‘diritto’ politico sono soprattutto due partiti: Forza Italia e Italia Viva.

Abbiamo una lunga sequela di potenziali esempi che dimostrano quanto sia ormai lapalissiano e di relativa importanza inserire il neoliberismo tra gli orizzonti ideologici di qualche compagine politica quando è dovere di ciascuna, almeno in Italia, essergli perfettamente compatibile.

Tuttavia, partiti con pretese residue di previdenza sociale o con dichiarati programmi sovranisti (anche oltre il tempo massimo!) hanno dovuto faticare un po’ di più per giustificare l’entusiasmo filo-Draghi rispetto a realtà come quelle appena citate, che della libertà di arricchirsi in tutti i modi, e in particolare se ci si chiama Berlusconi o Renzi, hanno fatto una bandiera.

Dunque, intanto Draghi a ogni costo, e senza che questo costituisca poi una grossa contravvenzione alla natura di Forza Italia; per il futuro, tra tante incertezze relative al piano nazionale e a quello locale, una recente riconferma dà il polso di quanto ancora serva Berlusconi al centrodestra.

Il feudo Calabria

Le ultime elezioni amministrative sono state una mazzata per le destre: Roma, Milano, Napoli, Bologna e Torino sono finite in blocco nelle mani di coalizioni, più o meno rodate, di centrosinistra; Milano, Napoli e Bologna addirittura al primo turno!

Chiaro, Forza Italia è parecchio fuori dai giochi, quantomeno nelle città i cui esiti elettorali sono specchio e influenza del piano politico nazionale, infatti il ceffone a piena mano è stato percepito come tale principalmente dalla Lega, che infatti è riuscita a salvare il salvabile e ad accaparrarsi almeno un capoluogo di regione – Trieste, con la riconferma di Dipiazza.

Ma negli equilibri fra territori e Paese, e nei gettiti di voti (che un tempo si chiamavano pacchetti) provenienti dai singoli territori non è da poco la vittoria bulgara – 54,46% – di Roberto Occhiuto alle elezioni regionali calabresi.

Occhiuto, le cui dichiarazioni post-voto si trovano nel video di Calabria News 24 poco più sotto, è stato eletto come successore della precedente governatrice Jole Santelli, scomparsa nel 2020; le elezioni suppletive si sono svolte in contemporanea al primo turno delle amministrative e hanno incoronato il candidato della coalizione di destra.

Questi, come già Santelli prima di lui, è stato sì sostenuto da una variegata coalizione che andava da Forza Italia alla Lega a Fratelli d’Italia e a varie altre liste minori, ma è un fedelissimo di Berlusconi.

Si ferma a poco più del 27% la sfidante Amalia Cecilia Bruni, anche lei sostenuta da PD e Cinque Stelle come i più fortunati Lepore e Manfredi, neo-sindaci di Napoli e Bologna, ma nettamente sconfitta – cosa che sarebbe accaduta anche se non avesse avuto la ‘concorrenza’ di un’altra lista di sinistra, quella guidata da Luigi De Magistris.

E, benché in Calabria lo schema dei partiti a sostegno dell’una o dell’altra parte sia stato piuttosto tradizionale, da un’altra regione dell’estremo Sud nonché, in altri tempi, altra roccaforte forzista, la Sicilia, arriva un’altra notizia solo apparentemente irrilevante o ‘locale’.

Oltre Draghi… e oltre Berlusconi!

Il riferimento alla somiglianza tra Berlusconi e Matteo Renzi non è né così casuale né così superficiale – quale banalità basarlo sulla sola interpretazione elastica della legge! – ma riposa anche su certe dinamiche squisitamente politiche.

Il governo Draghi piace a tutti, questo si è ormai capito; i denari del Recovery Fund europeo fanno gola a tutti, d’accordo; il PNRR è una ghiottissima torta da spartire, nessuno lo può negar. Ma dopo?

Il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni, ci insegna James Freeman Clarke (no, l’aforisma non è di De Gasperi). Solo lo sprovveduto non pensa al futuro, e qui di sprovveduti non ne abbiamo e di statisti, a occhio e croce, nemmeno

Infatti è fresca di pochi giorni la notizia di una prima ufficializzazione del flirt Renzi-Berlusconi che per molti non va oltre l’affinità elettiva data dal narcisismo politico.

Invece è una chiara scelta di campo, e tale resterà in qualsiasi eventuale sviluppo futuro: se la coalizione di centrodestra – prima possibilità – resta salda, non possono che giovarle i voti d’Italia Viva, per quattro spiccioli che siano (e con buona pace della dignità di partito e fondatore).

Se invece dovesse profilarsi l’ipotesi del terzo polo, spesso auto-etichettatosi, in passato, come ago della bilancia, Renzi e Forza Italia sarebbero il gatto e la volpe perfetti per ordire la trama di un grumo di partitini da poche unità percentuali di consenso ma senza il quale nessuno può governare.

E in fondo, tra Italia Viva, Azione, +Europa e  simili realtà pulviscolari, mettendo magicamente da parte i rancori sedimentati e recenti tra Renzi e Calenda e altre amene questioncine, l’idea non è così pellegrina (e ha quel retrogusto traffichino che piace molto a Renzi, forse meno a Berlusconi, abituato a un accentramento decisamente più plateale).

Esiste poi una terza opzione, che opzione non è perché riposa nelle mani della natura: dopo trentennale esperienza, che gli augureremmo poter diventare centenaria se non avesse già avuto il potere per abbastanza tempo, alla morte di Silvio Berlusconi morirà con lui Forza Italia. E allora?

Allora dovranno trovarsi una nuova casa politica i vari quadri del partito; quanti non hanno questo problema perché anziani quasi quanto il capo non se lo porranno. Gli altri hanno già iniziato a porselo.

E così, vediamo un fiorire di partitini e movimenti che, già da quello ciellino di Fitto e Maurizio Lupi, Noi con l’Italia, segnalano questo andazzo. La nave affonda perché affonda il suo capitano: non gliene voglia, ma molti riempiono già le scialuppe.

Lo ha fatto Giovanni Toti, governatore della Liguria e fondatore di Cambiamo!, poi ‘perfezionatosi’ in Coraggio Italia fondato assieme al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, nonché storicamente vicino alle posizioni più sovraniste presenti in Forza Italia e simpatizzante della Lega.

E lo ha fatto anche Mara Carfagna, fondando un movimento (non ancora un partito) chiamato Voce Libera, con la partecipazione d’insospettabili sodali come l’economista Carlo Cottarelli e l’ex sindacalista Renata Polverini, le cui linee guida sono a tinte liberali, anti-assistenzialiste e venate di femminismi – un tema che, a onore del vero, mai si sarebbe ardito sperare nella compagine politica che pose il voto sulla parentela Ruby-Mubarak e che, pur moderatissimo com’è quello di Carfagna, fa piacere se proveniente da una figura politica con i suoi trascorsi lavorativi.

Non è nulla di rilevante, nessuno di questi partiti o movimenti (l’ultimo in particolare non è un partito nelle intenzioni della fondatrice) ha goduto di più di un debutto in elezioni locali.

Eppure è evidente la strategia di munirsi di un paracadute politico per quando l’avventura Forza Italia terminerà, assieme ai giorni di vita del Cavaliere, e sarà necessario per i quadri reinventare il proprio posizionamento.

Una necessità non estranea ai vari Cicchitto, Brunetta ed ex socialisti craxiani assortiti, magari una novità per i forzisti appena citati. Assisteremo al grande centro, nelle prime elezioni politiche post-Draghi, o alla rapida dissoluzione dell’arcipelago senza nemmeno il gusto di essere un Krakatoa ed esplodere?

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