Crisi politica e spread: non contiamo sulla Bce

Se la crisi politica dovesse precipitare, la Bce non sarà un argine per un eventuale attacco speculativo sul debito italiano. Gli acquisti di titoli pubblici della banca centrale riflettono la dimensione relativa dei paesi, non quella dei loro debiti.

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Se la crisi politica dovesse precipitare, la Bce non sarà un argine per un eventuale attacco speculativo sul debito italiano. Gli acquisti di titoli pubblici della banca centrale riflettono la dimensione relativa dei paesi, non quella dei loro debiti.

Crisi politica e mercati finanziari

La crisi di governo ha finora avuto un impatto limitato sulla Borsa e sul mercato del debito pubblico italiano. Le oscillazioni dello spread (differenza tra il tasso di interesse sui titoli pubblici decennali italiani e quello sugli analoghi titoli tedeschi) sono state contenute entro una ventina di centesimi: da un livello poco sopra i 100 punti base a quasi 120. Lo Stato italiano continua a pagare tassi di interesse molto bassi sui suoi debiti: tra i 60 e i 70 centesimi sulla scadenza decennale, addirittura negativi sulle scadenze più brevi. È il risultato della politica monetaria ultra-accomodante messa in atto dalla Banca centrale europea, attraverso i suoi massicci piani di acquisto di titoli pubblici: il Public Sector Purchase Programme (Pspp), già esistente e riavviato nel 2020, e soprattutto il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp), lanciato nel marzo scorso di fronte allo scoppio della pandemia e dei relativi lockdown. Si potrebbe pensare che la rete di sicurezza stesa dalla banca centrale, insieme ai programmi di assistenza fiscale decisi a livello comunitario (primo fra tutti, il Recovery Fund) rendano i mercati finanziari insensibili alle turbolenze della politica nostrana, mettendo così il costo del nostro debito pubblico al riparo dalle evoluzioni della crisi di governo.

L’ombrello della Bce non è infinito

Temo che non sia così e che la relativa calma sui mercati sia legata a una scommessa: quella che la crisi di governo si risolverà, in un modo o nell’altro, senza il ricorso alle urne. Se, viceversa, la crisi dovesse prendere una piega che porti alle elezioni e si prospettasse un governo anti-Europa, che mettesse a rischio la possibilità di concordare con le istituzioni europee il Recovery Plan e l’erogazione delle relative tranche di finanziamenti, la reazione dei mercati finanziari sarebbe assai più vistosa.

La Bce ci verrebbe in aiuto, gettando acqua sul fuoco di eventuali attacchi speculativi sul nostro debito pubblico? Non credo, per il semplice fatto che i programmi in atto (Pspp e Pepp) non sono stati concepiti per questo scopo. Sono stati messi in campo per aumentare il grado di espansione (stance) della politica monetaria, al fine di sostenere l’economia della zona euro duramente colpita dalla pandemia, non per venire incontro alle esigenze di singoli paesi e per fare da calmiere degli spread tra un membro e l’altro dell’area euro. La distribuzione per paese degli acquisti di titoli deve rispettare la loro dimensione relativa, misurata in base alla popolazione e al Pil, non la dimensione dei loro debiti e tantomeno l’umore degli investitori.

Il principio delle capital keys

Su quest’ultimo punto va fatta una precisazione. Il criterio della distribuzione per paese viene applicato nel seguente modo. La distribuzione geografica degli acquisti dovrebbe essere proporzionale alle cosiddette capital keys: le quote detenute da ciascun paese membro della zona euro nel capitale della Bce, che a loro volta dipendono dalla dimensione dei paesi. In realtà, la Bce ha reso noto che il Pepp non deve necessariamente seguire in modo rigido questo criterio, ammettendo possibili deviazioni dalle capital keys. Ma quanto è stata effettivamente usata finora questa flessibilità?

Qualche indicazione ci viene dalla tabella 1, che illustra appunto le deviazioni dalle capital keys avvenute finora (in base ai dati disponibili, che arrivano al novembre scorso): ciascuna colonna riporta la differenza tra la quota percentuale di acquisti assegnata a ciascun paese e la rispettiva capital key. La prima colonna si riferisce ai primi tre mesi di attuazione del programma: da marzo a maggio 2020. In questa fase, l’Italia è stato il paese che ha tratto il maggiore beneficio dalla flessibilità del Pepp, usufruendo di una deviazione positiva dalla sua capital key per 4,7 punti percentuali. Segue la Spagna con un punto percentuale. Al contrario, la Francia è stata “sotto-pesata” negli acquisti della Bce per quasi sette punti percentuali. Non essendo stata fornita alcuna spiegazione ufficiale per le deviazioni, possiamo solo presumere che il nostro paese sia stato trattato con un occhio di riguardo per il fatto di essere stato il primo, in ordine tempo, a subire l’attacco della pandemia e ad avere preso forti misure restrittive delle attività economiche. Tuttavia, nei mesi successivi la flessibilità si è notevolmente ridotta, e la distribuzione geografica degli acquisti è tornata a rispettare il principio delle capital keys.

La seconda colonna della tabella riporta le deviazioni per tutto il periodo marzo-novembre. Sono nettamente più contenute di quelle della prima colonna: in particolare, il “favore” accordato al nostro paese si è dimezzato. La tendenza sembra quindi segnalare un ritorno al rispetto delle capital keys, senza favorire un paese o l’altro. Ricordiamo peraltro che la flessibilità, indicata come una possibilità per il Pepp, non è neppure prevista per l’altro programma, il Pspp.

Mes e Omt: armi spuntate

Se i due programmi della Bce, Pspp e Pepp, non sono finalizzati a fare da calmiere agli spread, è anche vero che ne esiste un altro che è stato concepito proprio per questo scopo: quello denominato Outright Monetary Transactions (Omt), introdotto da Mario Draghi nel 2012. Peccato che preveda, come condizione per accedervi, il ricorso alla assistenza finanziaria del Meccanismo europeo di stabilità, il famigerato Mes. Si noti: non l’attivazione della nuova linea di credito, quella introdotta l’anno scorso per finanziare spese nel settore sanitario, ma quella tradizionale, con tanto di condizionalità macroeconomica. Non a caso l’Omt non è stato mai attivato, e ben difficilmente potrebbe essere usato nel prossimo futuro a favore dell’Italia: quale governo, dopo la cattiva pubblicità che ne è stata fatta, oserà mai ricorrere al Mes?

Di Angelo Baglioni

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